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Sommario


Editoriale

Una svolta per l’agricoltura

Una tutela per i prodotti regionali

La scheda degli enti che operano nel settore

La risorsa allevamenti

La rinascita della vite sarda

La scheda delle Cantine private

Segnali positivi per l’industria alimentare

Per il turismo nuove linee di sviluppo

 

La risorsa allevamenti

 

Bovini in una stalla ad Arborea
Bovini in una stalla ad Arborea
Da solo l’intero comparto zootecnico sardo contribuisce a formare circa il 33,9% della Plv agricola regionale (il cui valore, nel 2001, è stimato, a prezzi costanti, in 1.471.950,00 migliaia di euro e, a prezzi correnti, in 1.545.323,00 migliaia di euro). Alla formazione di questo fatturato concorrono, in maniera determinante, le oltre 17 mila aziende in cui si allevano ovini e caprini, la cui produzione di latte, da sola, concorre al 20% della Plv agricola regionale.

Il patrimonio zootecnico isolano, sulla base dei dati ufficiali del 2001, vede ancora la prevalenza degli ovi-caprini, sia come numero di capi allevati che come numero di aziende. Con 3.018.200 capi, di cui 2.808.713 ovini e 209.487 caprini, 17.750 aziende, che occupano il 38,5% della superficie agricola isolana, il comparto rappresenta il 41% di quello nazionale, pari a 7.732.302 capi, e il 54%, sempre a livello nazionale, rispetto ai bovini e ai suini. Seguono 249.350 bovini, 16.487 equini, 193.947 suini,  984 bufalini e 1.139.323 avicoli-cunicoli.

Gustosa, genuina, sana e certificata. Sono le caratteristiche della carne proveniente dagli allevamenti della Sardegna che, dall’ottobre 2000, ha conosciuto un vertiginoso calo dei consumi, con un picco del 47% nel mese di aprile 2001. Colpa della Blue tongue e della Bse. Il settore bovino, provato dal blocco delle esportazioni dei capi che devono raggiungere il Nord della penisola per l’ingrasso, è sicuramente quello che ha più risentito della gravissima crisi che ha colpito gli allevamenti sardi. 

I consumi di carne sono stimati attorno ai 50-60 chilogrammi pro capite annui e l’isola è costretta ad importare circa il 60% del suo fabbisogno da allevamenti di incerta provenienza.

Carne bovina. Sono 249.350 i capi bovini presenti nell’isola, allevati in 8.595 aziende (di cui 460 da latte). Il comparto ancora provato dall’impossibilità di esportare i vitelli verso i centri della penisola per l’ingrasso, a causa della Blue tongue, mostra segni di debolezza. Nel 2000, dei 132.400 capi macellati e dei 280.000 quintali di carni bovine, solo il 40% è stato prodotto in Sardegna. Il resto è stato importato dai paesi esteri, in particolare dalla Germania (36.000 capi) e da altre regioni della penisola (35.600 capi). A questi dati vanno aggiunti quelli relativi ai bufalini, che contano 250 capi macellati e una produzione di 1.000 quintali di carne, e agli struzzi, con 2.000 capi macellati e 700 quintali di carne.

Lo scorso anno, ad opera dell’Associazione regionale allevatori e di consorzi operanti nel settore bovini isolano, cooperative e privati, è stato costituito il Consorzio sardo carne, che persegue una serie di obiettivi, «la cui finalità – sottolinea Marino Contu, direttore dell’Aras – è il ripristino della fiducia del consumatore verso l’utilizzo di prodotti di origine animale, garantendo la sicurezza alimentare attraverso la certificazione dell’intera filiera. Contribuendo così alla valorizzazione di una importante risorsa locale, all’aumento della produttività e della redditività delle aziende e alla salvaguardia delle razze tipiche sarde».

Del nuovo organismo fanno parte due Consorzi già operanti nell’isola: quello del «bue rosso» (razza rustica sardo-modicana, presente principalmente nella zona del Montiferru) e quello del «bue biologico», al quale aderiscono 20 aziende.

Allevamento sperimentale di pecore in un ovile dell'Istituto zootecnico caseario della Sardegna
Allevamento sperimentale di pecore in un ovile
dell'Istituto zootecnico caseario della Sardegna
Carne ovina.
La produzione di carne ovina è pari al 37% di quella nazionale e rappresenta il 10% della Plv agricola regionale. I consumi sono stimati attorno agli 8,5 chilogrammi annui contro l’1,7 kg annui pro capite a livello nazionale. Nel 2000 sono stati macellati 2.350.000 capi, con una produzione di 180.000 quintali di carne. Una quantità pari al 50% e riferita espressamente alla carne d’agnello, viene esportata nella penisola ma anche in Grecia, Spagna e Sud Africa. Sempre dal 2000, la carne dei nostri agnelli è garantita dal marchio Agnello di Sardegna Igp. Un distintivo che potrà essere concesso dal relativo Consorzio di tutela, con sede a Nuoro, non appena verrà perfezionato il “Manuale di controllo”.

Carne suina. Diminuisce il numero delle aziende dedite all’allevamento dei suini, ma aumenta il numero dei capi per azienda. La consistenza del patrimonio regionale è di 193.947 capi, di cui 80 mila scrofe. L’allevamento viene esercitato da 12.228 aziende, con una consistenza media di 15 capi per azienda, posizionate prevalentemente in collina e in collina litoranea. L’indirizzo produttivo è orientato, prevalentemente, alla produzione del suinetto da latte, del peso di 5-6 kg, da destinare al consumo alimentare. Il tasso di approvvigionamento dell’isola è del 50%, pari a 250 mila quintali – 35% dei quali viene trasformata – contro quella nazionale del 78%. Ulteriori 250 mila quintali provengono dall’esterno. La disponibilità per il consumo interno ammonta a 300 mila quintali, pari ad un consumo medio pro capite di 16 kg, contro un consumo nell’Ue di 39 chilogrammi.

Carne equina. Sono 4.455 le aziende che allevano 16.487 equini, con un numero di capi per azienda di appena 3,7. Pur essendo apprezzata e ricercata dal consumatore sardo, la produzione di carne equina è del tutto marginale. Nell’isola, il cavallo, viene prevalentemente allevato per l’equitazione. Sono 11 mila i capi  macellati annualmente, in prevalenza provenienti dai Paesi dell’Est Europa, in particolare dalla Polonia; 24 mila quintali la quantità di carne commercializzata.

Avicoli, cunicoli. Anche i capi avicoli e cunicoli sono calati in numero consistente, - 43,4% rispetto al 1990. L’isola conta oggi 4.910 aziende con 1.139.323 capi. Il tasso di autoapprovvigionamento degli avicoli è pari al 40%; l’importazione, di conseguenza, è del 60 per cento.  I capi macellati annualmente si aggirano sui 5 milioni, mentre la produzione di carne è pari a 20 mila quintali. La produzione di carne di coniglio è pari a 20 mila quintali, che rappresenta circa il 40% dell’autoapprovvigionamento. Il consumo medio pro capite è di circa 4 chilogrammi/anno. Unitamente agli avicoli, i cunicoli muovono un fatturato di quasi 26 milioni di euro.

 

Il comparto lattiero-caseario

Nel sistema agroalimentare della Sardegna il comparto lattiero-caserario occupa una posizione di risalto. Nell’isola, infatti, il sistema di allevamento della pecora da latte ha registrato, negli ultimi trent’anni, un’eccezionale intensificazione. Questo fatto ha determinato un aumento delle produzioni di latte ovino tale da rendere unica la situazione di mercato della Sardegna rispetto a quella degli altri bacini di produzione: 4.700.000 quintali, di cui si stima che 900.000 siano destinati all’alimentazione degli agnelli e 3.800.000 alla trasformazione. Nel 2000, con un valore medio annuo pari a 196 milioni di euro, la produzione di latte ovino ha rappresentato il 13,4% della Plv regionale, mentre l’offerta di formaggio, stimata intorno ai 300 milioni di euro, è riuscita a coprire il 25% del fatturato industriale.

L’allevamento ovino, che si attua su 17mila aziende, occupa 14-15 mila unità mentre sono 2 mila quelle occupate nel settore industriale. Il sistema di trasformazione regionale ha perduto quasi integralmente il carattere artigianale di produzione presso l’azienda pastorale; modalità che si conserva, attualmente, quasi soltanto per il formaggio Fiore Sardo. Solo una piccola parte, circa il 5%, viene destinato alla trasformazione nell’ambito familiare, al di fuori della rete commerciale. La trasformazione industriale coinvolge 37 caseifici di proprietà privata, che trasformano circa il 59,7% della produzione di latte, ed in 40 stabilimenti ad organizzazione cooperativistica, che raccolgono il 41,3% del latte presente sul mercato.

La produzione totale di formaggi oscilla, attualmente, intorno ai 600 mila quintali, il 50%  dei quali è rappresentato dal Pecorino Romano.

Il panorama dei prodotti caseari ovini risulta composto da formaggi a pasta dura, semidura, molli, ricotte e altri prodotti tipici. Nel loro insieme costituiscono un fatturato stimato in 300-310 milioni di euro, pari al 25 per cento dell’intero fatturato agro-industriale della Sardegna. Nel 2002, l’export dei prodotti lattiero-caseari, in prevalenza formaggi ovini a pasta dura (per lo più Pecorino Romano), ha raggiunto il valore di 106 milioni di euro, che colloca l’isola al terzo posto tra le regioni italiane.

Gli altri formaggi ovi-caprini rappresentano circa il 48 % e comprendono Pecorino Sardo dop per 60 mila quintali; Fiore Sardo dop per circa 3.000 quintali; diversi tipi di Canestrati: Calcagno, Crotonese, Pepato, Foggiano, Feta (circa 20-25 mila quintali, prodotti per due terzi nelle cooperative); formaggi a pasta molle (stagionatura medio-breve, 25-40 giorni) tipo Caciotta o Caciottone, oppure a rapida maturazione tipo Bonassai, per una produzione stimata intorno ai 100 mila quintali, di cui l’80 % prodotto da industrie private; prodotti freschi come la ricotta gentile, con tempi di conservazione inferiore alla settimana, prodotta in quantità pari a circa 100-120 mila quintali, consumata in parte in Sardegna e in parte esportata nella penisola; le stagionate ricotte Testa di morto, Toscanella, Moliterna e Mustìa, a conservazione medio-lunga. Altri formaggi non classificabili nei dop, ma del tipo Pecorino Sardo, per 100 mila quintali circa.

I formaggi tutelati dalla denominazione di origine protetta sono il Pecorino Sardo, nei tipi dolce e maturo, il Fiore Sardo, il più antico e saporito, e il Pecorino Romano, il cui nome deriva dal luogo dove veniva prodotto anticamente in maggiore quantità.

Pecorino Romano. Per quanto  la sua denominazione possa trarre in inganno, il Pecorino Romano è una delle espressioni più tipiche della produzione casearia sarda. Esso è definito romano in quanto, originariamente, veniva prodotto nell’agro romano. In Sardegna la produzione è stata avviata alla fine del 1800 da commercianti laziali per far fronte alle richieste degli emigrati italiani negli Stati Uniti: era il sapore della propria terra e della propria cucina.

Attualmente, la produzione è limitata alle aree della Sardegna, della regione Lazio e della provincia di Grosseto in Toscana. Pur con l’introduzione delle innovazioni che la tecnologia casearia ha reso disponibili, ne è stato mantenuto intatto il processo di produzione. È ottenuto dalla coagulazione di latte di pecora, crudo o termizzato, intero, ad acidità naturale, addizionato di caglio in pasta di agnello. Raggiunti i cinque mesi di maturazione, può essere immesso al consumo come formaggio da tavola, mentre dopo otto mesi può essere commercializzato come formaggio da grattugia. Per il suo aroma caratteristico ed il gusto piccante viene usato nei condimenti dei primi piatti, ai quali conferisce particolare gradevole sapore.

Dei 340 mila quintali di Pecorino Romano prodotti ogni anno, il 90 per cento proviene dalla Sardegna. Il restante 10 per cento, pari a 20 mila quintali, viene garantito dai produttori laziali. Circa il 60 per cento (220 mila quintali) varca l’Oceano per finire negli Stati Uniti, mentre il restante 40 per cento è destinato al mercato italiano ed europeo. Pur rappresentando soltanto l’8 per cento della produzione casearia nazionale (il 70 per cento è costituito da Grana padano e da Parmigiano reggiano), è il più esportato dei formaggi dop italiani. In termini occupazionali, la produzione del Pecorino Romano assicura lavoro, tra Agro romano e Sardegna, a più di 25 mila persone. Una percentuale dell’intero prodotto, esportata principalmente nel Sud Italia e in parte negli Usa, viene prodotta con il metodo della «cappatura nera». Ed è sempre l’isola a garantire la maggior quantità di cappato nero.

Dal 1951 il pecorino Romano è riconosciuto internazionalmente come una denominazione di origine tutelata e nel 1996 ha ricevuto il riconoscimento europeo di denominazione di origine protetta. Dal 1979, per volontà di un gruppo di operatori del Lazio e della Sardegna, è stato costituito il Consorzio per la tutela del Formaggio Pecorino Romano, al quale, attualmente, aderiscono tutti i caseifici produttori di questo formaggio. Nel 1982 ha iniziato la marchiatura del formaggio «a fresco». Oggi il Consorzio ha, tra i suoi principali compiti, quello di garantire ai consumatori le preziose caratteristiche del prodotto. Con decreto del 24 aprile 2002, il ministero delle Politiche agricole, dopo aver riconosciuto che lo Statuto del Consorzio è conforme alle disposizioni generali del decreto 12 aprile 2000, ha concesso al Consorzio l’autorizzazione allo svolgimento delle funzioni di tutela, promozione e informazione rivolta ai consumatori. Prima conquista ottenuta dalla Sardegna, in sede europea, nell’ambito della produzione alimentare di qualità.

A partire dalla scorsa annata, il Pecorino Romano ha registrato un calo di produzione, dovuto principalmente alle difficoltà dei mercati e alle emergenze che hanno colpito il comparto agricolo isolano. Nel recente passato, il pagamento in dollari ha contribuito a non abbattere la remuneratività del latte e del formaggio; oggi, però, preoccupano sia il rafforzamento dell’euro sul dollaro, sia la crisi economica e finanziaria in corso negli Usa, ma ancor più la riforma della Pac, la Politica agricola comunitaria, con l’eliminazione degli aiuti alle esportazioni, la concorrenza sleale e quella dei Paesi dell’Est pronti a fare il loro ingresso nell’Ue.

Pecorino Sardo. Ottenuto  dalla coagulazione presamica di latte di  pecora  proveniente dal territorio della Sardegna, termizzato intero ad acidità naturale, addizionato di caglio di vitello; due tipologie differenti  per tecniche di lavorazione, caratteristiche dimensionali e organolettiche; una produzione complessiva di 60 mila quintali, 12 mila dei quali certificati, per un valore commerciale di 70 milioni di euro. È la carta di identità del pecorino più ricercato dai consumatori locali, nelle due tipologie: dolce e maturo. Quello dolce completa il suo periodo di maturazione in 20-60 giorni, ha un gusto delicato, aromatico o leggermente acidulo, una pasta bianca, morbida, compatta, leggermente occhiata; quello maturo ha un periodo di stagionatura più lungo e necessita di appositi locali a temperatura e umidità controllata. Il gusto è più forte e gradevolmente piccante; la pasta, che può essere bianca o leggermente paglierina, è dura e compatta.

Dal 1991 vanta il riconoscimento della denominazione di origine. Dal luglio 1996, al riconoscimento nazionale si è aggiunta la denominazione di origine protetta. Sempre dal luglio 1996, qualità e provenienza del Pecorino Sardo dop sono controllate e garantite dal Consorzio di tutela. Un organismo composto da 35 aziende lattiero-casearie operanti in tutta la regione, principalmente nella provincia di Cagliari. Nel 2002, il Consorzio ha ufficialmente ottenuto, con decreto ministeriale, il riconoscimento istituzionale e l’attribuzione dell’incarico a svolgere le funzioni di tutela, promozione, valorizzazione, informazione del consumatore e cura generale degli interessi relativi alla denominazione. «Da sempre impegnato nel miglioramento continuo della qualità delle produzioni e nella difesa della loro tipicità – sottolinea Annalisa Uccella – il Consorzio ha messo a punto il sistema di etichettatura, avviato il sistema dei controlli, migliorato e perfezionato il Disciplinare di produzione». Un’attività che ha consentito, dal 1999 al 2002, di certificare, da parte dell’organismo di controllo, e immettere sul mercato con un particolare sistema di etichettatura, 12 mila quintali di prodotto. «Da un monitoraggio effettuato sull’intero territorio – prosegue Annalisa Uccella – il Consorzio stima che, in tempi non troppo lunghi, il potenziale certificabile e marchiabile potrà salire a 100 mila quintali». Ovvero l’intera produzione di Pecorino Sardo dop.

Pecorino Fiore Sardo. È il formaggio dell’antica tradizione pastorale, ottenuto dalla coagulazione presamica del latte crudo di pecora, intero ad acidità naturale, addizionato di caglio in pasta di agnello o di capretto. Ha  un sapore piccante e sapido. Viene utilizzato soprattutto come prodotto da tavola, quando non supera i tre mesi di maturazione, o da grattugia se la stagionatura supera i sei mesi.

Come il Pecorino Romano e quello Sardo, anche il pecorino Fiore Sardo dop, il cui potenziale produttivo è pari a 5.600 quintali, viene tutelato da un Consorzio, al quale fanno capo 63 imprese sparse in tutto il territorio della Sardegna, che conducono in allevamento circa 30 mila capi ovini matricini. Attualmente e annualmente si producono circa 3.500 quintali di formaggio, che viene venduto a commercianti all’ingrosso, soprattutto pugliesi e in minor misura a quelli isolani, per un fatturato complessivo di 2.550.000 euro. Solamente dal luglio dello scorso anno, il ministero per le Politiche agricole ha concesso al Consorzio l’autorizzazione al controllo e, quindi, alla produzione marchiata del «Fiore Sardo dop». Attualmente, dei 3.500 quintali, solo 2 mila, per un valore di 1.807.600 euro, sono certificati. «Certificare il prodotto – sottolinea Francesco Sedda, presidente del Consorzio – equivale a incrementare di un terzo il prezzo spuntato dal formaggio non certificato. Per questo motivo, tutte le aziende iscritte si stanno attrezzando. Il dato confortante è che, attualmente, la domanda di Pecorino Fiore Sardo dop certificato è superiore all’offerta».

Settore caprino. In Sardegna il settore caprino è in forte crisi. L’ultimo dato ufficiale relativo al 2001 riporta una consistenza di 209.487 capi, ripartiti in oltre 3.273 aziende. Tuttavia, negli ultimi anni sembrerebbe che vi sia un’inversione di tendenza dettata dall’aumento del prezzo del latte caprino che,in talune zone, è pari all’83% del prezzo del valore del latte ovino. La produzione di latte complessiva viene stimata in circa 21.600 tonnellate.

Formaggi vaccini. Con 656 aziende in produzione, 32.464 vacche da latte, 2.248.720 quintali di latte, un valore medio annuo pari a 110 milioni di euro, anche il comparto lattiero-caseario vaccino occupa una posizione di tutto rispetto nel nostro sistema agroalimentare. Oltre il 60% della produzione viene assorbito dal latte alimentare, pastorizzato fresco o a lunga conservazione con sistema Uht. Il restante 40% viene lavorato e trasformato in mozzarelle, burro, formaggi a pasta molle e yogurt. Finora la trasformazione industriale ha interessato cinque imprese. Dal 2002 è nato ad Arborea il “Polo unico regionale del latte vaccino”, con l’obiettivo di trasformare e vendere, nelle migliori condizioni di mercato, tutto il prodotto conferito dai soci della Cooperativa 3A di Arborea e della Coapla di Sassari. Un punto di riferimento strategico rispetto ad un mercato sempre più competitivo ed aggressivo. Seppure con marchi distinti e prodotti diversificati, unite, 3 A e Coapla, lavorano e trasformano, presso la nuova struttura della 3 A di Arborea, oltre il 90% della produzione di latte vaccino sardo, pari a 200 milioni di litri, conferito da 350 soci, e movimentano una fatturazione di 108 milioni di euro.

La gamma dei trasformati, ottenuti dalla lavorazione di 40 milioni di litri di latte, va dal Dolce Sardo alle Provolette, al Provolone, alla Crescenza, agli yogurt e al burro. Tra le novità, il Gorgonzola dop commercializzato dalla 3A.

Il restante 10 per cento della produzione di latte vaccino regionale viene trasformato e commercializzato dalle imprese Ferruccio Podda di Sestu (10 milioni di litri) e La.Ce.Sa. di Bortigali (1milione di litri).