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di Mariella Cossu
Rallenta nell'isola il trend positivo dell’agricoltura biologica

 

Rallenta nell'isola il trend positivo dell’agricoltura biologica
di Mariella Cossu

 

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Sono 77 mila le arnie che producono miele biologico in Italia. Nella foto: un apicoltore nelle campagne di Decimomannu 

Che il nuovo modo di fare agricoltura – che permette di ottenere prodotti agricoli escludendo in tutte le fasi della produzione l’impiego di sostanze chimiche di sintesi, e quindi sicuri e di qualità, che incontrano l’interesse crescente di larghe fasce di consumatori – stia conoscendo negli ultimi anni uno sviluppo notevole è dimostrato dai più recenti dati disponibili sul comparto. Secondo una elaborazione effettuata da Fabio Lunati, della società di studi e ricerche economiche Nomisma, su dati Ifoam, le superfici convertite ai metodi dell’agricoltura biologica, a livello mondiale, hanno registrato un aumento: dall’inizio del corrente anno, vengono stimate superiori ai 24 milioni di ettari.
In questo contesto, l’Europa allargata, non più leader per via dei 10 milioni di ettari di pascoli vergini dell’Australia, vanta un quinto della Sau (superficie agricola utilizzata) biologica mondiale, e mantiene il primato per quanto riguarda il numero delle aziende bio: 170 mila (pari a un terzo del totale mondiale) contro le 150 mila latino americane e le 105 mila nord americane. Il mercato europeo del biologico, ormai scavalcato da quello nordamericano, che ha superato nel 2003 i 12 miliardi di euro, copre una quota del 2%, per un valore di oltre 11 miliardi di euro. In testa c’è la Germania, con un giro d’affari di 3,1 miliardi di euro, seguita da Gran Bretagna (1,7 miliardi), Francia e Italia (1,4 miliardi). Il paese che ha sempre evidenziato una dinamica esponenziale nello sviluppo delle produzioni biologiche è proprio l’Italia, attualmente tallonato da vicino da Francia, Spagna, Germania e Regno Unito.
Secondo le elaborazioni della Coldiretti nazionale, oltre un’impresa biologica europea su tre è italiana (37,4%) e la superficie nazionale coltivata a biologico rappresenta più di un quarto (27,7%) del totale.
Oggi, il settore biologico sta vivendo un momento di riflessione: il numero delle aziende agro-zootecniche biologiche è in calo e si accentua il divario tra l’anello agricolo della filiera e il mercato vero e proprio. Che, invece, continua a crescere, nonostante il calo dei negozi dedicati (-8% nel 2003), grazie allo sviluppo di nuovi canali di vendita, quali la ristorazione collettiva e la vendita diretta, ma che riesce a coinvolgere un numero ancora limitato di imprese.
Secondo l’Eurispes, l’Istituto di studi politici economici e sociali, gli italiani sono i nuovi “cultori dell’health foods“.  Infatti, il mercato dei prodotti biologici, rappresentando attualmente circa il 5% dell’intero settore alimentare, sta progressivamente consolidando un proprio spazio, non più di pura nicchia: il 38% degli italiani sostiene di aver consumato almeno un prodotto in versione biologica, mentre il 23% lo fa regolarmente. È questa la dimostrazione che il “biologico” rappresenta una risposta adeguata alle esigenze di tutela dell’ambiente: un modo di coltivare/allevare coerente e sinergico con l’ecologia e le sue esigenze. La produzione biologica si caratterizza come un modello di filiera in grado di garantire protezione alimentare nel percorso degli alimenti  “dal campo alla tavola”. Anche la moderna distribuzione ha recepito l’importanza di offrire alimenti garantiti, sottoposti a controllo e certificazione, ed ha progressivamente riservato ampi spazi agli alimenti biologici. La nascita di negozi specializzati ha poi contribuito a “creare affezione nel cliente”. A diffondere interesse nei confronti del biologico ha concorso infine la ristorazione agrituristica. A sua volta, il settore agro-industriale ha preso atto che le produzioni biologiche, costituendo una risposta in linea con le attese della domanda nazionale, rappresentano una scommessa vincente anche dal punto di vista commerciale.

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La Sau biologica ad indirizzo foraggero-zootecnico raggiunge nell'isola i 93 mila ettari. Nella foto: allevamento sperimentale di pecore in un ovile dell'Istituto tecnico caseario della Sardegna

Le ultime indagini Eurispes hanno rilevato che i prodotti biologici di gran lunga più diffusi sono: la verdura (17,7%) e la frutta (16,2%); a debita distanza seguono: pasta (8%), riso/cereali (8,0%), marmellata (7,9%), uova (6,9%) e biscotti. Le modalità di acquisto di tali prodotti mostrano come si tratti, in genere, di consumi consolidati, legati ad un acquisto programmato, normale e quotidiano e denotano un’abitudine alimentare, quella biologica, sempre più diffusa.
Ulteriori recenti indagini hanno confermato che, nonostante la riduzione generalizzata dei consumi dell’agroalimentare, il biologico riesce a mantenere la propria posizione; secondo Databank, nel 2004 i consumi dei prodotti alimentari biologici dovrebbero registrare un incremento dell’ 8-10 per cento. La conferma della tenuta del lato commerciale del biologico è data poi dall’aumento degli importatori, passati dai 155 del 2002 ai 175 del 2003, che si sono “notificati” per commercializzare prodotto biologico di provenienza extraeuropea.
In netta riduzione, come detto, la produzione. Dalla elaborazione Sinab (Sistema di informazione nazionale sull’agricoltura biologica) sui dati forniti dagli organismi di controllo operanti in Italia al 31 dicembre 2003, risulta che gli operatori del settore sono passati dai 55.902 del 2002 agli attuali 48.473, così suddivisi: 42.185 produttori agricoli, 1.849 produttori/trasformatori, 4.264 trasformatori e 175 importatori da Paesi terzi, per un fatturato alla produzione di 746,8 milioni di euro. La superficie agricola interessata risulta pari a 1.052.002 ettari. La distribuzione degli operatori vede una maggior concentrazione di aziende di produzione al sud e di trasformatori ed importatori al nord. Sicilia, Sardegna, Emilia Romagna, Puglia e Calabria sono le regioni con maggior presenza di aziende biologiche.
Sempre secondo i dati elaborati dal Sinab, la nostra isola, dopo l’esplosione degli anni Novanta, perde la leadership. Alla fine degli anni Novanta, le aziende interessate alla produzione biologica erano 8.046 rispetto alle 8.811 della Sicilia. La conferma del primato della Sardegna derivava dall’osservazione degli ettari di Sau biologica o in via di conversione: su un totale generale di 1.060.339 ettari e su un totale isole di 469.692, la Sau bio dell’isola risultava di 307.206 ettari, pari a un terzo di quella nazionale e al 23% cento della Sau totale regionale. Nel 2000 le aziende di produzione sono salite a 8.237 per calare a 7.798 nel 2001 e a 6.570 nel 2002. Al 31 dicembre 2003, si sono ridotte a 4.762, quelle siciliane a 7.852.
Scendendo nel particolare, gli operatori biologici sardi controllati risultano così suddivisi: 4.602 produttori esclusivi; 96 preparatori esclusivi; 64 produttori/preparatori, Il dato relativo al 2003 potrebbe essere però influenzato (e quindi risultare di molto inferiore) dalla mancata presentazione della domanda di recesso agli organismi di controllo da parte di numerose aziende che hanno portato a compimento il periodo di impegno con il piano regionale agro-ambientale, conclusosi il 31 dicembre 2003.

La drastica contrazione, in linea comunque con il dato nazionale, conferma la lettura che del comparto era già stata fatta. Nata nel 1994 con il programma ambientale regionale (Par) di recepimento del regolamento Ue 2078/92 – che prevedeva l’erogazione di premi ai produttori agricoli per l’introduzione o il mantenimento di metodi di produzione biologica – l’agricoltura biologica si misura in Sardegna proprio con l’esaurimento di quei fondi.
Due però le variabili principali che hanno influenzato la dinamica di questo comparto: i contributi comunitari e l’andamento del mercato. Nell’isola è prevalso il concetto di agricoltura biologica come fonte di aiuti al reddito concessi dalla Comunità europea; la maggior parte delle aziende (circa l’ottanta per cento) che hanno aderito a questo metodo erano ad indirizzo zootecnico per cui, non essendo stato emanato il regolamento europeo che disciplina le produzioni zootecniche, si limitavano ad effettuare le pratiche colturali in biologico. Per contro, chi effettivamente produceva per il mercato non è riuscito ad avviare un processo di valorizzazione delle produzioni e a mettere il consumatore in grado di reperirle.

Le cause sono le stesse che, in Sardegna, limitano lo sviluppo di altri comparti dell’ agricoltura convenzionale: carenza di strutture, frammentarietà della produzione, mancanza di programmazione, acuite però dal fatto che si è in presenza di un nuovo settore e che la produzione biologica è trenta volte inferiore a quella convenzionale. «Senza dimenticare che, in Sardegna, quest’ultima viene ottenuta con tecniche colturali che pure limitano l’uso di prodotti di sintesi, gradita quindi ai consumatori», rileva Gaetano Pala, responsabile dell’ufficio studi della Federazione regionale della Coldiretti.
 La conseguenza di quest’ultima considerazione è che il valore dei prodotti biologici (oli extra vergine di oliva, formaggi, vini, orticoli vari) non è apparso chiaro ai consumatori e il loro costo è stato ed è tuttora percepito come eccessivo. Pur essendo portatori di un elevato livello di qualità e di genuinità, anche sotto l’aspetto salutistico, i prodotti biologici sardi hanno avuto così una scarsa penetrazione nei circuiti di mercato.

«Mutati i regolamenti comunitari, che stabiliscono che i sostegni economici vadano solo alle aziende che realmente commercializzano i prodotti biologici, si salveranno solo quelle che trovano, o cercano di trovare, la giusta remunerazione della loro scelta produttiva in un mercato allargato», evidenzia Giorgio Ledda, presidente regionale dell’Aiab-Sardegna. «Nell’isola – spiega Ledda –, il settore soffre però della mancanza di misure di sostegno alle attività di commercializzazione e al funzionamento delle organizzazioni di produttori e delle associazioni operanti nel comparto; il mercato locale ha una limitata capacità di assorbire produzioni biologiche, mentre i ridotti volumi rendono sempre più difficoltoso l’accesso ai mercati nazionali e internazionali. Per il settore, quindi, si rende sempre più necessaria un’azione di sostegno».
Attualmente, nell’isola sono presenti e operanti dieci punti vendita specializzati, ma non è difficile reperire i prodotti bio anche sugli scaffali della grande distribuzione organizzata, che propone persino prodotti biologici provenienti da altre regioni italiane. Non mancano comunque progetti e iniziative tesi ad una maggiore diffusione tra i consumatori dei principi e dei metodi dell’agricoltura biologica e, quindi, alla commercializzazione dei prodotti biologici. Sono progetti che coinvolgono sia i produttori che i consumatori, nella ricerca di canali commerciali “corti”, legati alla vendita diretta, “dal produttore al consumatore”. Con il risultato di una riduzione sensibile sia dei costi legati ai vari passaggi commerciali prima che il prodotto arrivi nei punti vendita, sia dei prezzi al pubblico.

Ecco quindi che nascono iniziative come i mercatini bio o la formazione di gruppi di acquisto, una formula innovativa mutuata dai paesi del Nord Europa: sono i produttori a contattare direttamente i consumatori, eliminando quindi passaggi intermedi, per offrire loro cassette di prodotti biologici a prezzi abbastanza contenuti. Nella nostra regione, l’iniziativa viene portata avanti dall’Aiab-Sardegna in collaborazione con Coldiretti, Legambiente e Agribiomediterraneo. Ogni settimana, i produttori aderenti all’Aiab, sono a disposizione dei consumatori in uno dei punti vendita specializzati. Per il momento con un unico prodotto, ma con l’obiettivo di arricchire l’offerta con un paniere scaturito dalla sinergia di più aziende.
Il futuro degli operatori del biologico, che potranno riprendere a investire nel settore, è individuabile in un quadro strategico di riferimento a livello europeo: il Piano di azione sull’agricoltura biologica, varato il l0 giugno scorso dalla Commissione Europea. Il documento, che evidenzia il ruolo strategico della produzione biologica e indica nell’aumento dei consumi e nello sviluppo del mercato gli strumenti per sostenerne l’espansione, prevede 21 azioni che riguardano l’informazione dei consumatori e la promozione, il completamento e l’armonizzazione delle forme di produzione, un maggior impegno nella ricerca, il rafforzamento del sistema di garanzie attraverso anche un maggior coordinamento a livello comunitario.
Sempre per gli operatori agricoli, che protranno così mettere a frutto l’esperienza fatta durante il periodo di adesione al piano agroambientale regionale, si presenta un’ulteriore opportunità: la “revisione di metà percorso” e, quindi, la rimodulazione del Piano di sviluppo rurale (Psr) da parte delle Regioni. Spetta ad esse, infatti, dare segni concreti, individuando le azioni essenziali per il pieno sviluppo della filiera biologica: formazione, assistenza tecnica, strutture di commercializzazione, informazione ai consumatori, aiuti ai costi di certificazione.