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08/12/2004 – Commissione diritti civili: Buoncammino, una struttura vecchia e superata, ormai irrecuperabile

 

Una struttura vecchia, superata, che ospita in condizioni difficili quasi 370 detenuti, una ventina donne, con un organico sottodimensionato; un carcere, quello di Buoncammino, a Cagliari, che impedisce qualunque iniziativa di recupero, di formazione culturale e professionale. Se ne sono resi conto – si legge in un comunicato – i componenti la Seconda commissione permanente del Consiglio regionale, Politiche comunitarie e Diritti civili, presieduta da Paolo Pisu, al termine di un sopralluogo nell’istituto di pena “più antico della Sardegna”.
Un edificio che risale all’Ottocento, nel quale qualunque intervento si scontra con strutture «modificabili con grande difficoltà e costi enormi». Gli unici progetti che è stato possibile realizzare, in questi ultimi anni, sono una nuova infermeria, un reparto medico che entrerà in funzione nelle prossime settimane, ed un campo di calcetto; un secondo terreno di gioco regolamentare, per favorire almeno una modesta attività fisica, entrerà in funzione nei prossimi mesi. Per il resto, se le promesse del ministero di realizzare un nuovo istituto di pena verranno confermate, se ne parlerà tra pochi, o molti anni.
I problemi, le carenze, la necessità di iniziative urgenti, di interventi radicali, sono stati approfonditi anche grazie alle indicazioni del direttore, del responsabile della sicurezza, dei responsabili dei diversi servizi e settori che operano nella struttura carceraria. «I dati sono estremamente preoccupanti», ha commentato il presidente della Seconda al termine della visita, sintetizzando il pensiero degli altri consiglieri regionali.
Gli ospiti presenti sono quasi 370, una ventina donne; più di 60 sono tossicodipendenti; 37 sono sieropositivi; 198 sono in malati di epatite b e c; 87 hanno problemi psichiatrici, 11 sono depressi, 2 dementi. L’equipe medica garantisce cure appropriate, i medici e gli assistenti del Sert fanno miracoli per avviare terapie di disintossicazione, ma la “struttura carceraria” impedisce qualunque programma realistico ed efficace di recupero.  Molti detenuti, quasi la metà, sono in attesa di giudizio, gli altri hanno condanne definitive, “ma separare gli uni dagli altri è impossibile”; come è impossibile selezionare e dividere i detenuti in base alle tipologie dei reati commessi. Quelli “pericolosi”, che in condizioni normali dovrebbero essere ospitati in bracci di “sicurezza”, sono in celle singole, a contatto di muro con gli altri. Prevenire “qualunque cosa”, in queste situazione, è un rebus di difficile soluzione. Come è difficile evitare il sovraffollamento delle celle: in quelle singole si vive in due, in quelle doppie ci stanno quattro persone, nelle altre gli ospiti sono sei. Nel braccio femminile, le condizioni igieniche non sono assolutamente adatte ad ospiti femminili.
Parlare di “carcere a custodia limitata”, come le nuove indicazioni in materia penitenziaria fanno per favorire il recupero dei tossicodipendenti, è pura utopia. Con questi spazi è un miracolo garantire le cure ed i tentativi di recupero, che medici, infermieri, psicologi avviano e portano avanti con grande abnegazione.
I detenuti che tornano in libertà, fuori da queste mura non trovano accoglienza nelle loro famiglie o non hanno nessuno a cui rivolgersi, e dopo pochi giorni, al massimo poche settimane, ritornano «in questa che è diventata la loro casa». Ogni anno ci sono, infatti, circa 1500 “ingressi”, ma molti sono dello stesso detenuto che entra ed esce, con disinvoltura, molte volte nello stesso anno. Poi, il ripetersi dei reati fa scattare il cumulo di pena e la situazione dei “recidivi”, anche per piccoli reati, diventa praticamente “irrecuperabile”.
Soluzioni? Se ne parla tanto, se ne parlerà ancora molto. Intanto – si legge nella nota stampa del Consiglio regionale – strutture adeguate, moderne, pulite, razionali, nelle quali operare tenendo conto delle caratteristiche dei detenuti, delle possibilità che queste «persone, “difficili ma non diverse” hanno di reinserirsi nella vita sociale. Corsi scolastici, sino a quelli universitari; laboratori per la formazione professionale; assistenza sanitaria e condizioni igieniche degne degli anni duemila; spazi comuni ed adeguati alle diverse esigenze dei reclusi; una netta separazione tra chi attende un giudizio e chi è stato condannato in modo definitivo; i “pericolosi da un’altra parte”; “custodia limitata” e programmi alternativi per i “recuperabili”, specialmente se alle prese con “problemi di alcol, droga, o altri tipi di devianze giovanili”; assistenti e sorveglianti in numero adeguato (a Buoncammino ne servono altri cento), per non “trasformare anche educatori ed agenti in veri e propri reclusi”.
Un quadro che la Commissione intende approfondire, con una serie di incontri, con visite e sopralluoghi anche nelle altre strutture penitenziarie isolane.
Il sistema carcerario sardo, ha commentato Paolo Pisu, presenta gravi carenze, sotto molti punti di vista. Lo Stato deve fare un grande sforzo per rimuovere gli ostacoli che impediscono un reale recupero di chi sbaglia e che paga, il suo conto, nei confronti della società.
In Sardegna la situazione è, forse, molto grave perché sulle strutture si è investito poco, lo si è fatto con interventi episodici, senza un quadro complessivo delle scelte da farsi. Ed è anche aggravata – ha sottolineato Pisu – dal fatto che molti «detenuti arrivano da carceri del continente, alimentando tensioni e riducendo i già scarsissimi spazi a disposizione dei detenuti sardi».
La Commissione, comunque – conclude il comunicato –, ha avviato questa indagine conoscitiva che porterà ad elaborare proposte e progetti concreti, che sarà poi compito dell’Esecutivo “discutere” con il Governo centrale. Per quanto riguarda la Regione, comunque, interventi nei settori sanitario, assistenziale, per il reinserimento di “molte persone” nel mondo del lavoro, per l’assistenza alle famiglie dei detenuti, sono sempre possibili. Ed anche questi “significativi interventi” saranno studiati ed analizzati dai componenti la Seconda commissione, quella che si occupa dei “diritti civili”.