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Editoriale
di Gherardo Gherardini
Una nuova legge per la cooperazione nell'isola
Seminario
“La Cooperazione come valore economico e sociale in Sardegna”
di Paola Ferri
Entro l'anno operativo l'elettrodotto Sapei

 

Una nuova legge per la cooperazione nell'isola
di Gherardo Gherardini

 

Oltre 3mila  società attive nel territorio; 12mila  soci lavoratori, di cui un terzo donne; 6 per cento del fatturato regionale complessivo, con 4 aziende fra le prime venti nell’isola: questi alcuni numeri della cooperazione in Sardegna, un’importante realtà nella vita economica e sociale della regione. Ma i profondi cambiamenti che ha subito negli ultimi decenni il sistema cooperativo nell’isola rendono ormai indilazionabile una nuova normativa regionale del settore.


Il movimento cooperativo è sorto in Sardegna agli inizi del secolo scorso, con un ritardo di alcuni decenni rispetto al diffondersi dell’idea cooperativa e della pratica della cooperazione in Italia e negli altri paesi dell’Europa occidentale. Ma il punto di partenza fu lo stesso che altrove: il radicarsi del convincimento che l’emancipazione della classe operaia dovesse necessariamente passare attraverso l’organizzazione di forti movimenti di massa fondati sul solidarismo operaio e contadino, sulla mutua collaborazione e sulla reciproca assistenza.
Il movimento cooperativo mosse i primi passi con la costituzione delle Società operaie di Mutuo soccorso di Sassari e Cagliari, rispettivamente nel 1851 e nel 1855. Dopo l’Unità, i rapidi mutamenti della struttura della società e la posizione di marginalità nella quale la Sardegna venne a trovarsi nel nuovo stato nazionale, fecero nascere altre forme di cooperazione, nel tentativo di porre rimedio al crescente disagio sociale delle classi più deboli.
Così nel 1870 fu fondata la prima cooperativa di consumo sarda, alla quale si affiancò l’attività di un magazzino d’acquisto. In seguito, soprattutto col fallimento del sistema delle banche sarde, intorno al 1884 sorsero le prime Banche popolari cooperative a Cagliari e a Sassari. Negli stessi anni, in ambiente minerario furono costituite altre forme di cooperazione e di mutuo soccorso in seno alla nascente classe operaia: fra le prime, nel 1883, la Società cooperativa di Iglesias.
Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, con l’acuirsi della crisi economica e sociale che investì la Sardegna, le associazioni di cooperazione e di mutualità continuarono a essere istituite in diversi settori, seppure con grande fatica. Tanto per fare un esempio, risale al 1901 la nascita della prima Cooperativa pescatori, a Stintino. A partire dal 1909, poi, iniziarono a sorgere le prime Casse rurali di credito agrario.
Nel dicembre del 1913 si tenne a Oristano il primo Congresso delle Cooperative e Mutue agrarie della Sardegna. A quella data esistevano nelle due province sarde 144 cooperative, di cui 100 a Cagliari e le restanti a Sassari. Nel Congresso fu decisa la costituzione della “Federazione delle Cooperative e Mutue agrarie della Sardegna” e vennero fatte delle proposte estremamente interessanti e moderne in materia di cooperazione, di sviluppo agricolo e di organizzazione del credito agrario.
Il movimento cooperativo continuò a svilupparsi anche negli anni della prima guerra mondiale e nel primo dopoguerra, ma ben presto comparvero divisioni di carattere politico e ideologico e, con l’avvento del fascismo, l’intero movimento cooperativo scomparve. Tra l’altro, le norme sul riordinamento del credito agrario del 1928 contribuirono a distruggere l’autonomia di quella vasta rete di Casse rurali, Enti intermedi per l’esercizio del credito agrario, Monti frumentari, Casse comunali esistenti prima della guerra in Sardegna: tutti questi organismi furono riportati alla rigorosa vigilanza dell’Istituto regionale di credito agrario.
Subito dopo la seconda guerra mondiale, la legislazione statale in materia di terre incolte e la presenza di un forte movimento contadino favorì la nascita di numerose cooperative di braccianti agricoli (le difficili condizioni di vita del dopoguerra fecero sorgere anche numerose cooperative di consumo): ma dopo la normalizzazione, talvolta repressiva, seguita all’occupazione delle terre, la maggior parte delle cooperative di braccianti agricoli si estinse. Tuttavia, quell’esperienza rappresentò per molti contadini il primo contatto con l’idea cooperativa, la cui efficacia non sarebbe andata del tutto dispersa negli anni successivi.
Dopo la caduta del fascismo, il movimento cooperativo svolse un importante ruolo politico e sociale in due lunghe fasi, che possono essere riferite la prima agli anni che precedettero il Piano di Rinascita, la seconda agli anni successivi. Le iniziative di cooperazione agricola nelle zone della riforma agraria, ad esempio, per quanto viziate da fenomeni negativi di tutela paternalistica, ebbero nel corso degli anni Cinquanta un effetto positivo di diffusione della prassi cooperativa.

Il 1977 rappresentò un anno molto importante per il movimento cooperativo sardo: nel mese di ottobre si tenne la Conferenza regionale della cooperazione, che servì a delineare i contorni di quel variegato mondo associativo. Stando ai documenti della Conferenza (di cui, peraltro, la Regione Sardegna non ha ancora pubblicato gli atti) appare prevalente l’esigenza di creare le condizioni per un sostegno maggiore da parte dei poteri pubblici a favore dell’associazionismo cooperativo, mentre rimaneva sullo sfondo la questione politica generale, cioè quella di ripensare al ruolo attivo delle imprese cooperative per lo sviluppo dell’isola.
In realtà, si confrontarono due linee politiche ugualmente importanti, che sottolineavano aspetti differenti della specificità dell’esperienza cooperativa: la tradizione solidaristica, da un lato, e l’esigenza dell’ammodernamento aziendale, dall’altro. Nelle interpretazioni più radicali queste due linee finirono poi, nella gran parte dei casi, a coincidere con i confini tra le vecchie e le nuove generazioni. Obiettivo della Conferenza fu, quindi, quello di trovare un’integrazione che facesse salve le esigenze della tradizione e quelle del mercato.
Si trattava di riuscire a dare risposte alla nuova domanda di cooperazione, che non veniva più, come in passato, dai braccianti senza terra e dai muratori disoccupati, ma che vedeva come protagonisti operai, piccoli e medi imprenditori, artigiani, utenti, consumatori, dettaglianti, tecnici, intellettuali, uomini e donne, e tanti, tantissimi neo-diplomati o neo-laureati.
Da allora, il movimento cooperativo è andato via via crescendo e le varie associazioni si sono progressivamente trasformate in vere imprese di produzione e di somministrazione di servizi socialmente utili, soprattutto tra i giovani. 

La legislazione regionale

Una recente immagine dell'aula del Consiglio regio-
nale della Sardegna
Fin dall’inizio della sua attività, la Regione Sardegna ha dedicato particolare attenzione alle iniziative di cooperazione, a cominciare dalla legge n. 47 del 1950, che prevedeva interventi a favore delle cooperative agricole. È seguita, nel 1957, la legge n. 5 (poi modificata nel 1970), prima – e unica – legge di settore, che disciplina l’erogazione di contributi e sovvenzioni per l’assistenza tecnica, legale, amministrativa e commerciale alle cooperative, per il loro potenziamento economico, per la promozione di nuovi operatori e la formazione dei quadri direttivi e, infine, per la diffusione dell’idea cooperativa.
Due le leggi del 1962: la n. 9, che ha innalzato fino all’80% i contributi per la realizzazione dei caseifici sociali, e la n. 36, che prevede la costituzione di un fondo, a carico del bilancio della Regione, per la concessione di anticipazioni alle cooperative di lavoratori.
La legge regionale n. 38 del dicembre 1973 ha istituito un “Fondo di rotazione per la cooperazione agricola” destinato alla concessione del credito di esercizio a tasso agevolato. Tre anni dopo, ben tre leggi sono state approvate a favore della cooperazione: la n. 38 (norme per la ripresa dell’efficienza produttiva delle cooperative agricole di trasformazione), la n. 40 (norme a favore delle cooperative artigiane di garanzia e dei mutuatari assistiti dalle stesse cooperative) e la n. 44 (norme per la riforma dell’assetto agro-pastorale, con la possibilità per le cooperative di allevatori di formulare piani zonali di valorizzazione).
Francesco Manca, assessore
del Lavoro, Formazione pro-
fessionale e Cooperazione
della Regione Sardegna
È seguita la legge regionale 2 agosto 1979, n. 50, che contiene norme per favorire l’occupazione giovanile e prevede l’erogazione da parte della Regione di contributi particolarmente elevati a favore di cooperative operanti sia nei diversi settori produttivi sia nei servizi socialmente utili.
Infine, con le recenti leggi finanziarie regionali del 2008 e 2009 sono state introdotte norme che prevedono contributi per l’integrazione dei fondi rischi dei consorzi fidi operanti nel settore.
Alla legislazione regionale in materia di cooperazione, sin qui succintamente richiamata, è stato rimproverato il difetto – che col passare degli anni è apparso sempre più evidente – di essere stata pensata quasi esclusivamente in chiave di pura e semplice incentivazione finanziaria. È invece mancata una politica della cooperazione fondata sull’assistenza tecnica e sull’erogazione di “servizi reali” per le imprese cooperative.
Gli esperti della materia hanno più volte rimarcato che una politica di promozione e sviluppo della cooperazione dovrebbe essere impostata favorendo con opportune incentivazioni non solo le cooperative di base, ma anche la cooperazione di secondo e terzo grado. Altra strada da percorrere potrebbe essere quella di agevolare programmi e azioni di promozione, sviluppo e assistenza tecnica per le cooperative di settore e di secondo e terzo grado da parte delle principali Organizzazioni cooperative (Confederazione Cooperative, Lega Cooperative e Mutue, Associazione generale Cooperative italiane).
«È ormai indispensabile – osserva Antonio Carta, presidente di Legacoop Sardegna – aprire una fase di profonda revisione del “corpus legislativo” che riguarda la cooperazione. Siamo infatti in presenza di un insieme di leggi regionali del tutto inadeguate, superate dai tempi, spesso non coordinate tra loro, talora non conformi (o addirittura in contraddizione) alle vigenti disposizioni nazionali e comunitarie. Da tempo evidenziamo la necessità di una nuova e organica legge quadro sulla cooperazione».
Antonio Carta, presidente di Legacoop Sardegna
Antonio Carta, presidente
di Legacoop Sardegna
Necessità ben avvertita dall’assessore regionale del Lavoro e Cooperazione, Franco Manca, che ha promosso una serie di seminari, condotti da esperti di livello nazionale, per rilanciare il sistema cooperativistico e gettare le basi per una nuova legge di settore. «La precedente legislazione in materia – osserva l’assessore – era nata per le esigenze di una Sardegna completamente diversa dall’attuale. Possiamo affermare che oggi non è più adeguata alle imprese cooperative che devono lavorare nel moderno mercato e affrontare le sempre più importanti sfide del sociale».
I seminari (il primo dei quali si è svolto il 3 dicembre 2010,  preceduto da diverse consultazioni dei rappresentanti di Legacoop, Confcooperative, Agci, Unci e Unicoop) serviranno alla Regione e alle Centrali cooperative per fare una comune riflessione e individuare un percorso condiviso, che dovrà condurre alla scelta delle linee guida della nuova legge a sostegno della cooperazione. «Per un intervento realmente organico – spiega l’assessore Manca – il ruolo del capitale umano deve essere posto al centro di tutto, come d’altronde persegue la filosofia mutualistica. Dobbiamo basarci sui capisaldi della cooperazione, per comprendere come agiscono le strutture, come si sono evolute negli anni, quali sono le specializzazioni esistenti e quali le richieste del mercato e le opportunità di cui avvalersi. Il tutto inquadrato in un’ottica di interessi unitari, e non particolari o personalizzati, in modo da arrivare a un intervento legislativo che sia davvero incisivo».
Andrea Fora, commissario di Confcooperative Sardegna
Andrea Fora, commissario 
di Confcooperative Sardegna
«Condividiamo in pieno l’obiettivo dell’assessore – dichiara Andrea Fora, commissario regionale di Confcooperative – che punta a portare all’attenzione della società civile la cooperazione come possibile modello di sviluppo e di valorizzazione del capitale umano. Uno strumento che risponde ai bisogni di solidarietà, capace di esaltare i valori e di calmierare i conflitti».
L’iniziativa messa in campo dall’Assessorato regionale può essere interpretata come una forma di risposta alle diverse voci che, anche in tempi recenti, si sono levate per sottolineare la “stranezza” che una regione a Statuto speciale, come la Sardegna, dotata di più ampi poteri rispetto alle regioni ordinarie, non abbia mai provveduto a dare alla cooperazione il riconoscimento normativo che merita.
Intervenendo nel dibattito tenutosi di recente nell’aula del Consiglio regionale sulla riforma dello Statuto, Carta ha detto: «Rivendichiamo con forza il diritto a essere presenti all’interno dello Statuto e di trovare lì dentro il riconoscimento della nostra forza e della nostra capacità. Riconoscere nello Statuto la cooperazione, può trasformarsi per la Regione Sardegna in titolarità del servizio di revisione e vigilanza, che può assicurare due risultati di rilievo: primo, una lotta efficace al fenomeno della cooperazione spuria, che arreca danni all’immagine della cooperazione “sana” e a tutta l’economia per la concorrenza sleale che produce; secondo, produrre entrate, che poi possono essere utilizzate ai fini dello sviluppo della cooperazione».
 

Il ruolo della cooperazione, oggi

Carlo Tedde, presidente di Confcooperative Cagliari
Carlo Tedde, presidente di
Confcooperative Cagliari

Nei loro documenti congressuali, le organizzazioni cooperative hanno sempre tenuto a dimostrare che ormai il movimento cooperativo in Sardegna, se correttamente indirizzato e opportunamente sostenuto dal potere pubblico a livello nazionale e regionale, può rappresentare una notevole forza di cambiamento e di sviluppo dell’attuale struttura sociale sarda.
«La cooperazione – afferma Carlo Tedde, presidente di Confcooperative Cagliari – ha rappresentato uno degli aspetti più significativi per il progresso economico e sociale della Regione, in particolare in alcuni settori come l’agricoltura, l’artigianato, i servizi. Ha prodotto uno sforzo importante nel settore agropastorale e in quello vitivinicolo, per assicurare una più moderna gestione della filiera, dalla produzione alla commercializzazione del prodotto. Non bisogna dimenticare – prosegue Tedde – che negli anni Settanta e Ottanta  il settore agropastorale era uno dei più disagiati dell’isola. La formazione delle cooperative che si aggregavano in forma consortile fu, ad esempio, l’elemento decisivo che permise di affrancare i pastori dagli industriali. Oggi – conclude – si può veramente dire che il ruolo della cooperazione è stato fondamentale e decisivo per lo sviluppo organizzato nei diversi settori produttivi strategici dell’economia sarda».
«Anche in presenza di una crisi profonda come quella che stiamo vivendo – dichiara Antonio Carta – il sistema cooperativo finora ha sostanzialmente retto, con un ricorso limitatissimo alla cassa integrazione in deroga. Nessuna cooperativa è scappata, nessuna ha delocalizzato, come si usa fare oggi. In ogni cooperativa che ha dovuto fare i conti con la crisi, ogni socio ha rinunciato a una parte più o meno consistente della propria retribuzione per poter comunque continuare a garantire il lavoro a tutti i soci e ai dipendenti. Oltre a rappresentare una realtà economica – aggiunge Carta – noi rappresentiamo anche un pezzo significativo della società: non c’è comune della Sardegna in cui non operi una cooperativa e in alcuni, oltre a essere l’unica realtà produttiva, costituisce anche l’unico momento di aggregazione sociale».

 

«Il superamento del mero assistenzialismo e l’allargamento del mercato europeo degli ultimi anni – sostiene Andrea Fora – hanno imposto alle cooperative un brusco passaggio imprenditoriale, con un crescendo di difficoltà fino all’attuale crisi del mercato globale. Alcune cooperative non ce l’hanno fatta, altre si sono dovute trasformare, ma nel complesso la cooperazione ha segnato una continua crescita. Un travaglio che ha dato vita a una nuova cultura di impresa e a una nuova generazione di cooperative, che si sono trovate ad affrontare alcune questioni di fondo: come competere in un mercato aperto con orizzonti commerciali sempre più lontani dal proprio territorio; come vincere gli appalti in concorrenza con competitori “venuti da fuori”; come rispondere alla rapida domanda di innovazione di prodotti o di servizi; come gestire l’impresa salvaguardando il risultato economico».

Un momento del recente seminario sulla Cooperazione in Sardegna,svoltosi all'ex Cisapi di Cagliari: da sinistra, i presidenti di Agci Sardegna, Sergio Cardia, di Unci Sardegna, Roberto Demontis, e di Unicoop Sardegna, Giannarciso Fanni
Un momento del recente seminario sulla Coopera-
zione in Sardegna, svoltosi all'ex Cisapi di Cagliari:
da  sinistra, i presidenti  di  Agci  Sardegna, Sergio
Cardia, di Unci  Sardegna,  Roberto  Demontis, e di
Unicoop Sardegna, Giannarciso Fanni

«Ispirandosi alla cooperazione libera e democratica, l’Associazione generale delle cooperative italiane promuove la diffusione e lo sviluppo della cooperazione – sostiene il presidente regionale, Sergio Cardia – nell’interesse generale della democrazia e dell’economia sarda. Il movimento contribuisce pertanto all’elaborazione di un progetto generale di sviluppo, basato sull’economia di mercato, libera circolazione delle idee, delle persone e delle merci. Il valore culturale e sociale della cooperazione viene perseguito proprio in ragione dell’efficacia degli strumenti che le singole imprese e il movimento cooperativo in generale sono in grado di realizzare e di cui devono beneficiare tutti i soci, attraverso la partecipazione e l’autogestione».
«Intendiamo proporci come parte sociale attiva e propositiva nel tessuto economico e culturale isolano – dichiara il presidente regionale Unci, Roberto Demontis – ed è quindi nostro preciso obiettivo essere interlocutori validi e dinamici nelle diverse consultazioni, sia con il Governo regionale, direttamente con i vari assessorati, o con la competente Commissione consiliare, sia con le altre Parti sociali, al fine di proporre, elaborare e attuare tutte le sinergie di sviluppo valide al fine del rilancio produttivo ed occupazionale della nostra Regione».
«La promozione del sistema cooperativo – afferma Giannarciso Fanni, presidente Unicoop Sardegna – è per noi un preciso impegno istituzionale, che nasce dalla consapevolezza del  ruolo fondamentale svolto dalla cooperazione nello sviluppo socio-economico di un territorio. Riteniamo che più gli assetti dell’economia diventano ampi, concorrenziali, diversificati, tanto più si aprono spazi ed opportunità di promozione anche per iniziative economiche in forma cooperativa, nelle quali le relazioni umane e la fiducia tra le persone costituiscono il vantaggio competitivo su cui intraprendere. L’impresa cooperativa è, dunque, un’importante componente dell’attuale economia di mercato e ha il pregio di diffondere la cultura dell’iniziativa anche e soprattutto in gruppi sociali che altrimenti ne sarebbero esclusi, esaltandone così le potenzialità di sviluppo e promuovendo le risorse locali».
«Le cooperative – ha detto l’assessore Manca al recente seminario – sono un segmento importante dell’economia regionale e nazionale e possono incrementare i livelli occupazionali, specie quelli giovanili. Nel mondo cooperativistico si valorizza una sfera, spesso trascurata dal mercato globale, quella della solidarietà, della coesione sociale, un valore etico unitario vero valore aggiunto del comparto. L’Amministrazione regionale – ha proseguito – offre piena disponibilità ad accompagnare e sostenere questo percorso con al centro il capitale umano e a trovare le risorse necessarie per attuarlo. Nel contempo, è consapevole che anche le cooperative devono fare la loro parte: hanno, infatti, una grande opportunità di crescita sfruttando settori quali ambiente, green economy, turismo, industria manifatturiera, in particolare quella agroalimentare». 

L’organizzazione del movimento cooperativo

Quanto sin qui detto dimostra – se ce ne fosse bisogno – che ormai in Sardegna il movimento cooperativo è qualitativamente e quantitativamente maturo. La realtà basta da sola a sfatare il vecchio luogo comune che vorrebbe i sardi non propensi ad associarsi in cooperativa: vi sono interi comparti economici isolani che, senza il sistema cooperativo, sarebbero ben poca cosa o, addirittura, non esisterebbero. Vale la pena di ricordarne alcuni.

Una fase di lavorazione di un formaggio vaccino
Una fase di lavorazione di un formaggio vaccino
Comparto agroalimentare
- Negli ultimi decenni, la cooperazione si è sviluppata soprattutto nel campo della trasformazione e della commercializzazione dei prodotti agricoli.
Nel settore lattiero-caseario ovino, la produzione e la trasformazione sono concentrate per circa il 54% nei caseifici sociali. In quello lattiero-caseario vaccino, il 94% è gestito dalla cooperazione.
La cooperazione nel settore vitivinicolo rappresenta circa il 40% della produzione, che fino a quindici anni or sono era ben oltre la metà.
Una certa difficoltà ad espandersi presenta il settore della cooperazione ortofrutticola, anche se in questi ultimi anni si è avuta qualche interessante esperienza di cooperazione per la conduzione dei terreni, soprattutto da parte dei giovani. In questo settore la cooperazione (che rappresenta circa il 35% del totale della produzione) presenta una fortissima caratterizzazione nel campo della ricerca e sperimentazione, con la selezione e la coltivazione di varietà particolari protette da marchio (es. pomodoro da mensa).

Piccole imbarcazione da pesca nel porto di Castelsardo
Imbarcazione da pesca nel porto di Castelsardo
Pesca
- Un comparto ricco di prospettive, quello della pesca, soprattutto nelle acque interne e lagunari dell'isola.
Il settore della pesca negli stagni salmastri è gestito, nella sua totalità, dalla cooperazione: compendi ittici naturali, quali quelli di Cagliari (Santa Gilla), dell’Oristanese (Marceddì, Santa Giusta, Pontis e Mistras di Cabras), oltre a numerosi altri che coprono circa 4mila ettari delle coste della Sardegna, sono veri e propri allevamenti naturali (tuttavia esposti, spesso negli ultimi anni, a fenomeni di inquinamento causati dall’elevata antropizzazione del territorio).
Il settore della “piccola pesca costiera” è rappresentato da società cooperative per circa il 90 per cento.
Anche in questo settore, come nell’ortofrutta, si registrano significative esperienze nel campo della ricerca e dell’innovazione.

Edilizia - La categoria delle cooperative edilizie è la più numerosa ed è costituita da imprese cooperative che, sovente, esauriscono la loro funzione non appena è stata realizzata la casa di abitazione del socio. Quasi sempre sono costituite allo scopo di usufruire delle provvidenze pubbliche a favore dell’edilizia popolare ed economica.

Comparti vari - Numerosissimi i casi di cooperazione in settori meno tradizionali e certamente più moderni: economia sociale, servizi alla persona, gestione del patrimonio archeologico, museale e bibliotecario, turismo e via dicendo.
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La Cantina sociale
La Cantina sociale "Il Nuraghe" di Mogoro
L’organizzazione sin qui delineata per sommi capi dimostra che la cooperazione ha un “peso economico” rilevante – per certi comparti addirittura determinante – ed un “peso sociale” ugualmente importante (se non, forse, maggiore) soprattutto nei tanti piccoli e piccolissimi comuni della Sardegna. Sono sempre più numerosi, infatti, gli imprenditori che scelgono questa forma societaria, tanto che in due anni (dal 2006 al 2008) la crescita è stata dell’8,4 per cento.
Stando ai più recenti dati diffusi dall’Assessorato regionale del Lavoro, in occasione del seminario del 3 dicembre scorso, risulta che le cooperative attive nell’isola sono 3.257 e che la Sardegna è la sesta regione in Italia per numero di cooperative rispetto alla popolazione residente, con 1,9 società cooperative ogni 1.000 abitanti, mentre in tutta l’Italia le cooperative sono 84.248 ed il rapporto cooperative-popolazione residente è di 1,4 cooperative ogni 1.000 abitanti. Sulla base dei bilanci che il 52% delle cooperative hanno inviato all’Albo si contano in Sardegna 11.716 soci lavoratori (68% uomini e 32% donne), che rappresentano il 2,3% del totale Italia. In termini assoluti e considerando i dati di tutti i bilanci disponibili nel 2008, si rileva che il mondo della cooperazione ha partecipato per il 6% al fatturato regionale complessivo e per il 9% circa al valore aggiunto. Sempre secondo i dati resi noti dall'assessorato regionale del Lavoro, risulta infine che fra le prime 20 società regionali per fatturato figurano ben 4 società cooperative.

I protagonisti della cooperazione

La maggior parte delle cooperative operanti in Sardegna aderisce alle due principali centrali cooperative italiane: la Confederazione Cooperative Italiane e la Lega Nazionale delle Cooperative e Mutue. Le altre organizzazioni centrali presenti nell’isola sono l’Associazione Generale delle Cooperative Italiane (Agci), l’Unione Nazionale Cooperative Italiane (Unci) e l’Unione Italiana Cooperative (Unicoop).

Confederazione Cooperative Italiane - Alla Confederazione aderisce un migliaio di cooperative, che in base ai diversi settori economici di appartenenza si organizzano in federazioni: Fedagri (agricoltura), Federabitazione (edilizia abitativa), Federcultura (cultura, turismo, sport), Federsolidarietà (cooperative sociali), Federlavoro (produzione e servizi), Federcoopesca (pesca, acquacoltura), Federconsumo (consumo e distribuzione), Federcasse (credito e garanzia fidi).
Nel territorio dell’isola Confcooperative è presente con una Unione regionale e quattro Unioni provinciali, con sede a Cagliari, Sassari, Nuoro ed Oristano.
Confcooperative conta, in Sardegna, alcune migliaia di occupati, con un giro d’affari stimato intorno ai 650 milioni di euro.

Lega Nazionale delle Cooperative e Mutue - È presente in tutti i settori economici dell’Isola e ha una diffusione capillare nella società. Le cooperative associate a Legacoop Sardegna sono oltre mille, con un fatturato complessivo di poco inferiore al miliardo di euro e diverse migliaia di occupati. Nel territorio Legacoop Sardegna è presente con una sede regionale a Cagliari, e sette sedi periferiche: a Cagliari, Sassari, Oristano, Nuoro, Carbonia, Sanluri e uno sportello a Olbia.

Associazione Generale delle Cooperative Italiane - Oltre 300 cooperative aderenti, con un fatturato che supera i 300 milioni di euro. Capillare la presenza dell’Agci nel territorio dell’isola: a Selargius, in via Peretti, hanno sede  la Federazione regionale e quella provinciale di Cagliari; a Olbia, la Federazione provinciale della Gallura; una sede provinciale a Sassari  e uno sportello a Oristano.

Federazione Regionale UNCI Sardegna. Emanazione territoriale diretta dell’Unione Nazionale Cooperative Italiane, ha scopi di rappresentanza, assistenza e tutela del movimento cooperativo e si propone di promuovere nell’Isola la cultura del metodo cooperativo. È stata costituita nel giugno del 1983 e ha sede in Oristano, nella via Cagliari. Oltre alla Federazione regionale, sono operative, tutte senza scopi di lucro, quattro Federazioni provinciali, con sede nelle “storiche” province di  Cagliari, Oristano, Nuoro e Sassari.
L’Unci ha le seguenti Associazioni di Settore: Ancea (cooperative edilizie di abitazione), Ancoprol (cooperative di produzione e lavoro), Unci Pesca (cooperative della pesca e acquicoltura), Ancos (cooperative sociali), Ascat Unci-Coldiretti (cooperative agricole e di trasformazione agroindustriale).
«L’anno 2010 – sostiene il presidente Demontis – ha portato una grande e positiva novità nello scenario della nostra organizzazione, ovvero la chiusura di un accordo che ha visto Unci e Coldiretti addivenire alla costituzione di un unico soggetto specifico per il comparto agricolo italiano e quindi al servizio dello sviluppo della nostra agricoltura. Una filiera tutta italiana firmata dagli agricoltori rappresenta una straordinaria opportunità di crescita per l’agroalimentare italiano e, nello specifico nostro, sardo. L’Unci Sardegna crede fortemente in questo progetto, perché in esso vede lo sviluppo non solo dell’agricoltura e della cooperazione agricola tutta, ma dell’intera Regione».
Aderiscono a Unci Sardegna oltre 300 Società Cooperative, operanti in tutti i comparti economici, con un fatturato globale di circa cento milioni di euro, con una base associativa complessiva di circa 3.500 soci.

Unione Italiana Cooperative Sardegna.
La struttura regionale opera a Oristano dal 2006, curando la promozione, lo sviluppo e il coordinamento del movimento cooperativo sul territorio isolano, con compiti di rappresentanza e tutela degli enti cooperativi aderenti e dei loro associati. L’organizzazione è presente nel territorio regionale con proprie strutture provinciali operanti a Cagliari, Oristano e Sassari. Attualmente vanta una base sociale costituita da circa 110 società cooperative, operanti nei vari settori. Annovera tra i propri associati importanti realtà territoriali, soprattutto imprese cooperative della pesca, che hanno anche sviluppato attività connesse a quella principale (ittiturismo). Nel settore agroalimentare, con particolare riferimento alla pesca, le cooperative associate registrano un importante fatturato aggregato (circa 20 milioni di euro).

La cooperazione sociale

Anche in Sardegna, soprattutto a partire dalla metà degli anni 80 del secolo scorso, insieme al rafforzamento della cooperazione tradizionale (e cioè di consumo, produzione e lavoro), si è potuto assistere allo sviluppo del fenomeno cooperativo in settori nuovi e con il coinvolgimento di diversi ceti sociali. Infatti, insieme con l’affermarsi dello spirito cooperativo tra operatori culturali, tecnici, turistici e artigiani nel commercio e nei servizi sociali, sono cresciute nuove forme di cooperazione, caratterizzate dalla numerosa presenza di giovani e di donne.
Si tratta delle ormai ampiamente conosciute “cooperative sociali”, nate intorno al 1970 in alcune aree del nord Italia, soprattutto in Lombardia, e sviluppatesi anche in Sardegna un decennio dopo. «Attualmente la nostra isola – dichiara Carlo Tedde – è fra le regioni più dinamiche in Italia. Il settore sociale si è fortemente sviluppato su tutti i territori della Sardegna, dove l’incremento di crescita percentuale è stato di gran lunga più alto di quello registrato nella Penisola. Una ricerca Istat, riferita al biennio 2003-2005, rileva una crescita del 64% in Sardegna contro il 19,5 a livello nazionale: segno di un’economia che sa trovare nell’ambito dei servizi e della cura alla persona un’opportunità di sviluppo e crescita umana allo stesso tempo. Nelle cooperative sociali è particolarmente elevata l’occupazione femminile, che supera il 70% degli addetti nel settore».
La crescita delle cooperative sociali è stata in gran parte stimolata dalla decisione degli Enti locali (soprattutto i comuni) di esternalizzare i servizi sociali, sanitari, educativi, di tutela ambientale. Si è cominciato in particolare con l’assistenza domiciliare agli anziani, poi via via l’offerta dei servizi è stata stimolata anche da associazioni di cittadini impegnati a dare risposta a esigenze nuove, quali il sostegno ai pazienti psichiatrici.
Il campo d’impegno si è progressivamente allargato e le cooperative sociali, nate in nome dell’assistenza alle persone, sono state quasi costrette dalle logiche finanziarie e di mercato a “inventarsi” nuovi lavori. «In una terra dove la disoccupazione e il precariato sono una vera e propria piaga – osserva Antonio Carta – non è semplice passare dall’assistenza al mercato, ma è una strada obbligata».
Con un’apposita legge dell’aprile 1997, anche in Sardegna è stato istituito (presso l’assessorato del Lavoro, Formazione professionale, Cooperazione e Sicurezza sociale) l’Albo regionale delle cooperative sociali. Le quali – come dice la legge – perseguono l’interesse generale della comunità favorendo la promozione umana e l’integrazione sociale dei cittadini attraverso: a) la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi; b) lo svolgimento di attività diverse, finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate.
L’albo si articola in tre sezioni: sezione A, nella quale sono iscritte le cooperative che gestiscono servizi socio-sanitari ed educativi; sezione B, riservata alle cooperative che svolgono attività diverse (agricole, industriali, commerciali o di servizi); sezione C, nella quale sono iscritti i consorzi costituiti come società cooperative aventi la base sociale formata in misura non inferiore al settanta per cento da cooperative sociali.
Al 31 dicembre 2010 risultano iscritte all’albo 836 cooperative sociali, così ripartite: 520 di tipo A, 297 di tipo B e 19 di tipo C.
La rilevanza economica della cooperazione sociale è indiscutibile, ma non sarebbe corretto parlarne solo in termini di business. Lo sostiene Carta: «Bisogna considerare anche la grande rilevanza sociale del fenomeno. Il numero delle cooperative sociali è di gran lunga superiore a quello dei comuni dell’isola, quasi il doppio. Il che sta a significare che ovunque è presente almeno un attore sociale, che poi è anche soggetto economico, spesso l’unico. E “quella” cooperativa sociale è l’unica “azienda” che assicura occupazione, in massima parte femminile, talvolta sottopagata, ma che pur sempre costituisce l’unica fonte di reddito alternativa alle tradizionali occupazioni agricole delle nostre comunità locali, soprattutto quelle più piccole».


Le questioni aperte: dimensione economica e credito

Gli attori principali del movimento cooperativo concordano sul fatto che i maggiori problemi che le aziende associate si trovano ad affrontare sono quelli di sopravvivenza in un mondo dominato dalle logiche del mercato. Un mercato sempre più vasto e insensibile nei confronti del “fattore umano”.

Dimensione economica - Si legge, nella relazione del Congresso regionale Legacoop del 2007, che la responsabilità sociale mette il sistema cooperativo di fronte a diverse sfide. «La prima di esse attiene alla dimensione economica. Giustamente vantiamo con orgoglio il radicamento nel territorio e possiamo affermare che nelle comunità locali la cooperativa è l’unica realtà occupazionale, per non dire che è anche l’unico luogo di aggregazione sociale. In quelle realtà, e sono tante, la cooperativa è un fatto sociale prima che economico».
Un fattore di forza, quindi, come viene definito, ma anche di debolezza, perché le ridotte dimensioni della gran parte delle imprese cooperative, che pure hanno il valore sociale che si è evidenziato, non consentono alle stesse di misurarsi adeguatamente nel mercato. «Misurarsi con i competitori del mercato meglio attrezzati imprenditorialmente e più forti economicamente – precisa Antonio Carta – significa per la cooperazione dover allargare il proprio ambito di “capitale relazionale”, che non deve più essere quello del campanile del proprio paese, ma del mondo che sta oltre quel campanile. La possibilità di consolidamento e di espansione dell’azienda per rispondere ai bisogni sociali che ne hanno determinato la nascita, sta dunque nella capacità di misurarsi col mondo esterno alla collettività di riferimento. In altre parole, occorre rapportarsi e confrontarsi col mercato in tutti i suoi aspetti».
In che modo affrontare il problema della dimensione economica delle cooperative? Come Carta, anche Tedde è del parere che occorra un’opera di ordine culturale, capace di incidere sugli egoismi delle singole imprese. «Per questo i nostri gruppi dirigenti – afferma – devono impegnarsi a fondo per realizzare un processo che porti a costruire cooperative più forti sia economicamente che dal punto di vista organizzativo».
La risposta potrebbe essere quella delle “aggregazioni” per raggiungere dimensioni aziendali tali da consentire una competizione adeguata ai tempi e al mercato: i gruppi paritetici e i consorzi cooperativi e la fusione di cooperative. Soluzioni che hanno finora incontrato le resistenze dei gruppi dirigenti delle cooperative, ancora attaccati al cordone ombelicale delle comunità di riferimento, quello che Carta definisce il “capitale relazionale”.
Secondo il Presidente di Legacoop Sardegna la risposta potrebbe allora essere un’altra, che salvaguardi quel capitale integrandolo in un “capitale relazionale intercooperativo”. «Ci sono due strade da verificare – chiarisce –. La prima è quella della costruzione di una rete di imprese che per specializzazioni di filiera riescano a integrarsi e a sostenersi, creando un sistema interconnesso nel quale ognuno porta le proprie competenze e capacità per realizzare un prodotto competitivo. La seconda consiste nella creazione di una cooperativa di secondo grado, cioè una cooperativa (i cui soci siano a loro volta cooperative) che non solo non faccia concorrenza ai propri associati, ma ad essi apporti i benefici massimi possibili. In sostanza, quello che è accaduto ai dettaglianti Conad che oggi sono “proprietari” di una delle più forti e organizzate reti della grande distribuzione».

Credito - Ancora oggi, uno dei nodi più importanti da affrontare resta quello del credito alla cooperazione e del credito cooperativo. Non solo perché continuano a pesare le lungaggini burocratiche e le difficoltà di accesso al credito, ma anche per i pesanti condizionamenti derivanti dalla congiuntura economica.
Luigi Vincis, presinte di Fidicoop Sardegna
Luigi Vincis, presidente di
Fidicoop Sardegna
La crisi economica e finanziaria, emersa in tutta la sua gravità nella seconda metà del 2008, lascerà l’Italia al di sotto del (già basso) Pil ante crisi almeno fino a metà del 2013. Il che porta il sistema bancario a confermare il razionamento del credito ancora per due anni e mezzo, ergendo una drammatica barriera soprattutto davanti alla crescente domanda di ristrutturazione del debito espressa da piccole imprese sempre più indebitate e sempre meno orientate ad investire.
Una prima risposta efficace sembra venire dagli strumenti di garanzia, e un importante passo in avanti in questa direzione è stato compiuto con l’unificazione dei Consorzi Fidi di Legacoop e Confcooperative: Coop Fidi e ConSaFi hanno dato vita nel dicembre 2006 a FidiCoop Sardegna.
«La nostra– afferma il presidente Luigi Vincis – è una società cooperativa di garanzia collettiva, nata per agevolare l’accesso al credito delle imprese cooperative, dei consorzi e delle società a partecipazione cooperativa. Il suo scopo è quello di supportare il consolidamento e lo sviluppo delle imprese associate, fornendo garanzie per favorire la concessione di finanziamenti e i connessi servizi di assistenza e consulenza finanziaria. Abbiamo realizzato la prima ed unica fusione tra confidi interassociativi finora avvenuta in Sardegna». Si è trattato di una fusione vera e propria, con la costituzione di un nuovo soggetto, a differenza delle altre aggregazioni in atto nei confidi, che finora hanno visto l’incorporazione dei confidi minori nell’organismo dominante.
Riccardo Barbieri, direttore generale di Fidicoop Sardegna
Riccardo Barbieri, direttore
generale di Fidicoop Sardegna
FidiCoop Sardegna ha iniziato la sua attività nel gennaio del 2007 e attualmente vanta 473 soci ordinari e 2 soci sovventori. Rappresenta un indubbio successo unitario dell’intero sistema cooperativo sardo, cui la Regione ha voluto concorrere con un intervento di 5 milioni di euro per il consolidamento del Fondo Rischi. «Oggi – prosegue Vincis – Fidicoop è tra i primi tre confidi cooperativi in Italia e tra i primi quattro confidi sardi, con 80 milioni di euro di garanzie su una base associativa ancora sotto un quinto del potenziale di coop aderenti alle proprie centrali, il che gli riserva un notevole spazio di crescita in vista dell’imminente trasformazione in intermediario vigilato dalla Banca d’Italia».
In sintesi, si tratta di uno strumento in linea con gli accordi di “Basilea 2” sui requisiti patrimoniali delle banche e adeguato alle vigenti disposizioni comunitarie e nazionali in materia, che presto opererà ai sensi dell’art. 107 del Testo unico bancario, con la funzione di intermediario finanziario, sollevando gli amministratori delle cooperative dalla prestazione di garanzie personali a fronte della contrazione di mutui.
«Primato e valore di questa operazione – aggiunge il direttore generale, Riccardo Barbieri – non è tanto il pur ragguardevole livello dimensionale raggiunto, quanto l’aver messo insieme organismi di estrazione differente, superando storiche barriere politiche e di cultura d’impresa, all’insegna dello sviluppo economico della cooperazione e del rafforzamento dei confidi imposto dai processi di cambiamento nel mercato bancario e finanziario e nel suo sistema di regolamentazione. Ma il vero punto di forza – prosegue Barbieri – risiede nella bassa rischiosità del modello di impresa cooperativa, dove la centralità della persona, in alternativa alle logiche dell’economia capitalistica, garantisce una tenuta efficace nelle fasi congiunturali negative. Di ciò è prova il bassissimo tasso di default di Fidicoop, che nel 2009 è stato pari a un quinto della media regionale, denotando un utilizzo più che ottimale dei propri fondi rischi».
Il presidente di CoopFin, Giovanni Antonio Sanna
Giovanni Antonio Sanna,
presidente di Coop.Fin. spa
Lo strumento confidi è dunque valido, ma non basta. «Abbiamo chiesto alla Giunta regionale diversi interventi in Finanziaria su pesca e agricoltura – sottolinea Virginio Condello, direttore di Confcooperative Cagliari – ma in particolare ci aspettiamo che la Regione si adegui al panorama nazionale, emanando una legge per aiutare la ricapitalizzazione delle cooperative dando prestiti partecipativi che si aggiungano al capitale di base dei soci».
Sempre in tema di strumenti finanziari, una posizione di particolare rilievo occupa la Coop.Fin Spa, con sede a Cagliari, costituita nel 1989 nell’ambito di un’iniziativa promossa dalle centrali cooperative d’intesa con la Regione Sardegna. «Obiettivo fondamentale dell’operato di Coop.Fin. – precisa il presidente, Totoni Sanna – è quello di favorire lo sviluppo del sistema cooperativo nel suo insieme, finanziando nuove iniziative imprenditoriali in forma d’impresa cooperativa e lo sviluppo delle cooperative esistenti, nell’ambito di progetti specifici di crescita e potenziamento». Le forme d’intervento sono molteplici: concessione di crediti d’esercizio, finanziamenti per acquisto di immobili, macchinari e attrezzature; finanziamenti per la realizzazione e la ristrutturazione di impianti produttivi, prestiti a tasso agevolato ai soci finalizzati alla capitalizzazione della cooperativa.

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Tutti gli indicatori sociali ed economici portano a condividere l’assunto che la cooperazione possa oggi svolgere un ruolo importante per contribuire a rilanciare lo sviluppo, concorrendo a costruire la necessaria coesione sociale. Occorrono però due condizioni perché possa assolvere pienamente questo impegno.
La prima è che esista un mercato davvero plurale, garantito da regole trasparenti, che consentano a tutte le imprese, a prescindere dalla loro forma societaria, di sviluppare appieno le proprie potenzialità. La seconda è che la cooperazione sappia coniugare efficacemente solidarietà sociale, principi mutualistici e capacità di gestione imprenditoriale.
La prima condizione deve ovviamente essere garantita dal legislatore e dalle istituzioni deputate alla corretta regolazione del mercato. La seconda, che invece riguarda direttamente la cooperazione, ripropone il tema attualissimo della sua missione nella società moderna e come questa venga percepita in Italia e, ormai più estesamente, nel contesto europeo.
Da ciò deriva la necessità di rilanciare, attualizzandoli, i valori e l’identità cooperativa, ponendo l’accento, certo, sulle sue caratteristiche di soggetto imprenditoriale in grado di stare su un mercato competitivo e globale, ma anche sulla sua peculiare capacità di operare come soggetto economico in grado di mantenere integre le sue finalità mutualistiche e il suo forte radicamento territoriale.
Abbiamo già visto che stare su un mercato sempre più competitivo significa dover affrontare la questione della dimensione e della crescita, per cui – in molti casi – per la cooperativa crescere diventa la condizione per sopravvivere. Naturalmente, per crescere c’è bisogno spesso di grandi investimenti, e quindi diventa essenziale l’individuazione di politiche aziendali, e di strumenti societari e finanziari, che consentano alla cooperativa di promuovere questo processo senza mettere in discussione la sua natura mutualistica.
Tutto sommato, il modello produttivo della cooperazione si propone ancora oggi come strumento adeguato per affrontare e superare la crisi. Ne è convinto Carlo Tedde, per il quale «non è un caso che lo scorso anno il Parlamento europeo, in seduta plenaria a Bruxelles, abbia approvato quasi all’unanimità un documento sull’economia sociale che riconosce il ruolo fondamentale dell’impresa cooperativa in Europa. La cooperazione continua a essere un'efficace sistema di produzione e di lavoro che crea prospettive di sviluppo compatibile e solidale».