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Editoriale
di Gherardo Gherardini
Una nuova legge per la cooperazione nell'isola
Seminario
“La Cooperazione come valore economico e sociale in Sardegna”
di Paola Ferri
Entro l'anno operativo l'elettrodotto Sapei

 

“La Cooperazione come valore economico e sociale in Sardegna”
Seminario

 

“LA COOPERAZIONE COME VALORE ECONOMICO E SOCIALE IN SARDEGNA” – Relazioni e interventi al Seminario organizzato dall’Assessorato regionale del Lavoro, Formazione professionale, Cooperazione e Sicurezza sociale della Regione autonoma della Sardegna – Cagliari, 3 dicembre 2010

 

APERTURA DEI LAVORI

 

Franco Manca, assessore del Lavoro, Formazione professionale, Cooperazione e Sicurezza sociale della Regione Sardegna

 

Credo che tutti quanti abbiate consapevolezza del fatto che qui non stiamo facendo nessun convegno ma stiamo costruendo un percorso lavorativo che peraltro abbiamo già iniziato.

 Devo ringraziare per questo tutte le organizzazioni cooperativistiche che hanno costituito insieme agli uffici il gruppo di lavoro che ha portato a questo primo seminario, al quale ne dovrebbero seguire degli altri.

È meglio subito chiarire una questione di tipo metodologico relativamente alle modalità di lavoro. È convinzione di questa Amministrazione che i percorsi di prospettiva si costruiscono attraverso il dibattito, attraverso la dialettica e attraverso la capacità di sintesi, delegate in questo momento soprattutto al ruolo della Regione ma che passano attraverso un livello di confronto, di concertazione.

Noi non abbiamo nessuna intenzione di andare per i fatti nostri ma intendiamo confrontarci con gli attori che sono coinvolti in questo segmento dell’economia regionale e nazionale, perché abbiamo la consapevolezza, credo diffusa in tutti quanti voi, che il mondo della cooperazione può davvero essere una gamba del tavolo dello sviluppo e possa portare a incrementare i livelli occupazionali – che, come sapete, sono uno dei più grandi problemi che viviamo, particolarmente del mondo giovanile – e soprattutto nostro intendimento è quello di occuparsi anche di una sfera, spesso trascurata dall’economia privata , diciamo così, che fa riferimento alla necessità di esprimere concetti che nel  profitto si sviluppano anche nel percorso della solidarietà, nel percorso della vicinanza alle categorie più deboli. Il mondo della cooperazione davvero, da questo punto di vista, può essere un interlocutore, un attore molto importante.

Voi avete presentato una serie di suggerimenti che dovrebbero essere in capo all’Amministrazione regionale, anzi, sono tutti in capo all’Amministrazione regionale, nel senso che il decalogo che voi avete declinato suggerisce alla Regione di fare una serie di cose.

Noi ne prendiamo buona nota. Però adesso facciamo il decalogo anche per il mondo della cooperazione. Perché è vero che noi dobbiamo fare la nostra parte ma è altrettanto vero che il mondo della cooperazione deve fare la sua. E credo che ci siano importanti cose da fare nel mondo della cooperazione. Del resto l’abbiamo sostenuto tutti quanti noi quando abbiamo messo in piedi i gruppi di lavoro.

E se siamo qui lo dobbiamo al fatto che abbiamo consapevolezza del fatto che le riforme sono un fatto, un percorso ineludibile, a partire dalla legge di riferimento che, come sapete, è del ‘57. Io faccio fatica a ricordarmi, nonostante sia di quegli anni, anche cosa è successo in quel periodo, ma ricorderete i blocchi, non c’era neanche Internet, non c’erano i computer, cioè un mondo il cui riferimento di contesto era evidentemente molto diverso da quello che abbiamo adesso.

Quindi, che ci sia un’esigenza dell’apparato normativo è fuori discussione.. E uno degli obiettivi che ci stiamo ponendo come gruppo di lavoro è proprio quello di costruire, come dire, gli indicatori principali che devono essere inseriti nel nuovo contesto legislativo.

Una delle cose che mi aspetto da questo seminario, ma anche dagli altri che verranno, immagino non più di due, perché non è che possiamo fare seminari a raffica e poi non tirare le fila. Dobbiamo trarre le conclusioni ed avere la capacità di predisporre la bozza di un articolato normativo,  comunque l’indicazione di quelle che sono le priorità che il legislatore deve considerare perché il mondo della cooperazione possa avere, anche sul piano regionale, un riferimento normativo che sia capace di sostenere in maniera adeguata il mondo della cooperazione.

Ed io ritengo che il valore aggiunto principale di questa iniziativa che abbiamo messo in piedi sia proprio il fatto che abbiamo lavorato insieme.

Io ho la convinzione, non da oggi, che il capitale finanziario sia un elemento importante, ma sostengo che la coesione sociale sia molto più importante del capitale finanziario, abbia più gambe per portare avanti i propri obiettivi. Noi l’abbiamo realizzata in pillole. Io auspico che su questo concetto di collaborazione, di condivisione, di discussione – perché non è obbligatorio che tutti quanti abbiano le stesse idee –  siamo capaci davvero di trovare una sintesi unitaria; ho la certezza di questo.

Però questo va fatto anche nella dialettica delle parti e va costruito un percorso che non deve essere semplicemente quello di accondiscendenza, ma di un dialogo serio, corretto che ci porti a trovare il percorso giusto, che sia capace di valorizzare questo mondo, che, come sapete, ha nella persona l’elemento fondamentale, piuttosto che nel capitale finanziario. E voi sapete bene cosa vuol dire, in questo periodo, dominato dal capitale finanziario, valorizzare le persone.

Per dimostrare che cosa è successo dal punto di vista della gestione della finanza internazionale potrei qui  ricordare gli avvenimenti degli ultimi quindici. Mi riferisco, in particolare, a ciò che è avvenuto negli Stati Uniti con la Enron, a cosa è successo con la bolla speculativa della Net economy, e ancora a cosa è successo con i bond argentini, con la  Cirio, con la  Parmalat e, ultimamente, nell’ottobre del 2008, con i subprime.

La Finanza ci ha mangiato tutti i risparmi, ha messo sul lastrico milioni di persone ed i governi non sono ancora riusciti a trovare una soluzione capace di limitare questo ruolo devastante che ha avuto la Finanza nel contesto internazionale, le cui ripercussioni sono evidenti anche in una regione come la nostra, per quanto periferica ed emarginata dai contesti internazionali.

Credo che da questo punto di vista il concetto di eticità dell’economia debba essere scolpito nel Dna delle nostre organizzazioni. Perché guardate, se si dà ruolo alla speculazione saranno sempre pochissimi quelli che guadagneranno e moltissimi quelli che invece ci perderanno.

Voi sapete che il mercato è a somma zero: quando uno guadagna qualche altro perde e normalmente chi perde sono i risparmiatori,  sono le persone che hanno difficoltà a capire i meccanismi della finanza internazionale.

Quindi, il sistema della cooperazione, da questo punto di vista,  ha una connotazione straordinariamente attuale, che è quello del valore etico anche dell’economia. E credo, quindi, che sia importante che questo concetto venga ribadito con forza in tutte le attività che stiamo sviluppando.

Abbiamo fatto un lavoro davvero importante ed io non ho intenzione soprattutto di commentare il lavoro fatto dalla dottoressa Spada sui dati di bilancio. Vi invito a fare una riflessione sull’elaborato distribuito, e la riflessione credo vada fatta oltre che sulle linee di carattere generale anche sugli aspetti di carattere specifico e, in particolare, c’è nel documento tutta una serie di elementi che indicano, per un verso, lo stato di salute del mondo della cooperazione (per esempio, il fatto che si valorizzi molto bene il lavoro, anche a discapito del profitto) e, per l’altro,  una serie di elementi di criticità, dove noi, come Regione, non possiamo intervenire: lì dovete intervenire voi, è un problema che riguarda il sistema cooperativo.

L’Amministrazione regionale è disponibile a fare tutto quello che è possibile. Però noi non possiamo fare gli analisti del sistema produttivo della cooperazione. Questo è un compito che riguarda voi. E, ripeto, per quanto ci riguarda, il nostro sostegno è garantito:  però ognuno nell’ambito delle proprie responsabilità. E fra le responsabilità che ha il mondo della cooperazione vi è quella di migliorare le performance delle strutture. E se analizzate le informazioni che vi sono state fornite, credo che possiate immediatamente verificare le iniziative che sono da adottare.

Cooperazione vuol dire soprattutto mettersi in  relazione. Il mondo della cooperazione ha proprio questa caratteristica: quella di cooperare e, voglio ancora sottolinearlo, voi avete dato un grande esempio: siete l’unica struttura, fra tutte quelle che si occupano, a livello regionale, di problemi economici, ad avere un unico consorzio.

L’ho detto in altre circostanze, lo ribadisco anche adesso: questa capacità di lavorare unitariamente è un valore aggiunto che dovete perseguire non soltanto nella gestione del fondo ma anche in altri settori: per esempio, nel settore della gestione delle performance aziendali, nel settore delle opportunità che offre il mercato.

Ci sono una serie di settori sui quali noi stiamo puntando che sono l’ambiente, la green economy, il turismo, l’industria manifatturiera, particolarmente quella agro-alimentare, che sono, come dire, ambienti nei quali voi siete già presenti.

Io credo che in questi specifici segmenti ci siano grandi opportunità. Cito,ad esempio, gli stagni che circondano Cagliari, ma che sono presenti in tutta la Sardegna, che, come voi sapete,  è la regione che ha la percentuale di acque interne più alta in Italia. A Cagliari abbiamo due stagni,  Santa Gilla e Molentargius, due perle che tutti ci invidiano perché sono rispettivamente vicino e dentro la città. Lo stagno di Santa Gilla penso sia una opportunità sprecata, e ritengo che il mondo della cooperazione lì c’entri qualcosa. A mio parere, in quel contesto, a fronte di un centinaio di lavoratori attualmente impegnati, il sistema cooperativo potrebbe crearne almeno altri mille, sfruttando appieno le risorse della pesca, le risorse ambientali e turistiche. Credo che questa sia una grande opportunità, così come credo che una grande opportunità siano gli aspetti collegati all’ambiente, sui quali il mondo della cooperazione può davvero dare tanto.

Io, ripeto, non voglio citare dati, anche se questo era un po’ il mio mestiere, almeno sino ad un anno e mezzo fa. Li lascio alle vostre osservazioni.

Vorrei qui sottolineare la disponibilità della Regione a proseguire nel cammino che abbiamo intrapreso e sottolineo ancora la disponibilità dell’Amministrazione regionale, e in particolare dell’Assessorato, a trovare anche le  risorse, quelle possibili. Perché io l’idea ve l’avevo già accennata: quella, cioè, di costituire un fondo per progetti. Mi piacerebbe che a questo fondo si partecipasse magari in maniera unitaria; che tutte le centrali cooperative, per esempio, individuassero un percorso; ferma restando la storia, l’autonomia, la capacità anche di sviluppo individuale.

Ho la convinzione che gli uffici, l’Assessorato, l’Assessore, la Giunta, vi saranno a fianco per cercare di costruire insieme un percorso che sia capace davvero di rilanciare il mondo delle cooperazione e, soprattutto, farne un protagonista dal punto di vista occupazionale, dal punto di vista della valorizzazione delle competenze umane, un sostegno importante per il nostro sistema economico e per il nostro futuro, soprattutto quello dei nostri giovani.

Non credo di dover aggiungere altro, se non ringraziarvi ancora una volta per essere qui e per ringraziare i nostri interlocutori, in particolare Luciano Morlupi, che rappresenta il Ministero, e tutti quelli che sono stati chiamati a dare una mano a questa iniziativa: Mauro Iengo, Andrea Fora, Sergio Cardia, Antonio Carta, Roberto Demontis, Giannarciso Fanni, tutti personaggi del mondo della cooperazione che spero ci possano aiutare davvero a fare un buon lavoro e uscire da questo seminario con le idee più chiare e, soprattutto, con l’esigenza di fare fatti, e non di fare soltanto chiacchiere. Perché di chiacchiere ne abbiamo fato anche troppe.

 

 

 

RELAZIONI

 

Luciano Morlupi, dirigente della Divisione “Politica e programmazione dello sviluppo cooperativo, promozione ed educazione cooperativa”, presso il Ministero dello Sviluppo economico:

“La cooperazione nel quadro delle politiche nazionali: evoluzione, opportunità, forme di sostegno e di finanziamento all’interno della legislazione nazionale”

 

Sono felicissimo di essere qui in Sardegna. Ne sentivamo da tempo l’esigenza perché dalla Sardegna non ci proviene nessun tipo di progetto, pur avendo noi delle risorse disponibili, delle quali ora parliamo.

Un piccolo cenno lo devo fare  all’aspetto normativo da cui derivano poi tutti i finanziamenti che l’Amministrazione dedica al movimento cooperativo. Faccio riferimento alla legge 59 del 1992, art. 11.

Che cosa dice questa legge 59? Crea i fondi mutualistici, ovvero fa obbligo a tutte le cooperative, a tutto il mondo delle cooperative di effettuare i versamenti. Secondo i dati più aggiornati, le cooperative oggi in Sardegna sono 90 mila. Un dato, che in questo momento economico di una certa particolare gravità, è gratificante per la cooperazione. Perché se le cooperative in sei mesi sono aumentate di 4mila unità (da 86mila a 90mila)  questo significa che il movimento cooperativo tiene e riesce a dare delle risposte positive a questa situazione   di difficoltà che è internazionale, come ha avuto modo di dire poco fa l’assessore Manca.

Quindi, dicevamo, tutte le cooperative hanno l’obbligo di versare ai fondi mutualistici delle cinque associazioni nazionali (sono quattro quelle del 1947, indicate nel Decreto del Capo provvisorio dello Stato ed una, l’Unicoop, la più recente).

Tutte le cooperative che non aderiscono ad alcuna associazione versano direttamente a noi.

In realtà, il processo è più complesso. In realtà questi soldi, il 3 per cento degli utili, vengono versati al ministero del Tesoro. Il ministro Tremonti, poi, tramite una procedura che hanno messi in piedi con un accordo con il nostro Ministro, li versa sui nostri capitoli di spesa, che mi onoro di gestire. 

Sino a qualche anno fa – e il ministro Tremonti ne sa qualcosa –   questi fondi , che sono tutti della cooperazione perché provengono dal mondo cooperativo, venivano decurtati del 50% in modo del tutto improprio. Alle nostre lamentele, alle nostre segnalazioni, che abbiamo fatto al Governo, al Parlamento – abbiamo utilizzato tutti gli strumenti possibili – ci veniva sempre risposto che questo era una tassa che tutte le cooperative versavano.

Sono però due anni che questo non avviene più. L’importo annuale complessivo dei versamenti al Fondo raggiunge complessivamente i 12-13 milioni di euro. Più c’è un contributo biennale per la vigilanza..

Voi sapete, se siete degli addetti del movimento cooperativo, che tutte le cooperative vengono vigilate o da noi, dal Ministero, se non aderiscono a nessuna associazione, oppure dai revisori, dagli ispettori, qualora aderiscano al movimento cooperativo organizzato. Bene, il contributo biennale, che tutte quante le cooperative versano, ammonta a 12-13 milioni all’anno.

Quindi, indubbiamente, queste risorse sono cospicue, e, per quanto riguarda noi del Ministero, le reimpieghiamo totalmente. Come? La legge non dice molto, a dire la verità, su come utilizzare questi fondi. Dice soltanto che questi fondi devono essere utilizzati in misura particolare in quelle regioni che hanno delle difficoltà. All’epoca, la legge del ’92  parlava del Mezzogiorno.

Voi sapete che poi sono state individuate delle aree di sottosviluppo, anche da Bruxelles, e poi delle zone. Diciamo che la legge dovrebbe essere un poco rivista per poter meglio precisare l’utilizzazione di questo fondo. Attualmente, però,  parla delle regioni che sono più in difficoltà rispetto alle altre e poi parla di innovazione tecnologica e di formazione.

Cominciamo a indicare subito un elemento che differenzia il Fondo del Ministero da tutti gli altri fondi mutualistici.Tutti  gli altri fondi, eccetto il nostro, erogano finanziamenti che poi devono essere restituiti ad un congruo tasso di interesse. Il nostro Fondo eroga invece finanziamenti a fondo perduto, nel senso che tutto ciò che finanziamo non viene restituito ma viene trattenuto dall’ente cooperativo che ha ottenuto questa partecipazione.

Come avviene questa partecipazione? Tutti gli anni, noi produciamo un bando che viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, su alcuni giornali a tiratura nazionale, e sul sito del nostro Ministero.

Approfitto di questa occasione, per invitare tutte le cooperative che sono qui presenti ad entrare nel sito del nostro Ministero, cliccare su “Direzione generale per le piccole e medie imprese e per gli enti cooperativi”, e poi, su “Divisione terza”, dove è disponibile la versione integrale del bando di partecipazione, con tutte le modalità che le cooperative dovranno seguire nella presentazione dei progetti..

Quasi tutti gli anni produciamo un bando dove non è indicata l’importo che mettiamo a concorso, perché dell’entità di questo veniamo a conoscenza soltanto successivamente. Produciamo un bando dove diciamo che cofinanziamo progetti per 200mila euro, come massimo. Non è tantissimo, ma non è neanche poco.

Però le cooperative possono presentare un progetto anche da 50mila, da 100mila, possono presentare un progetto anche di 300 mila euro. È chiaro che noi ci accolliamo, come Ministero, finanziamenti sino a un massimo di 200mila euro, mentre le cooperative si accollano i rimanenti 100mila euro. La rendicontazione analitica del progetto deve avvenire per tutti i 300mila euro.

Tutti questi progetti vengono presentati a un Nucleo di  valutazione, organo di staff del Direttore generale, che stila una graduatoria. I parametri sono quelli che abbiamo indicato nel bando e, secondo poi le direttive che il Ministro ci ha impartito per quanto riguarda il piano triennale di attuazione 2011-2013,  noi andiamo a collocare la cooperativa al primo, al secondo, al terzo o al quarto posto e così via.

Non sappiamo sino all’ultimo quali saranno le cooperative che si aggiudicheranno questa nostra partecipazione perché non conoscendo l’ammontare della somma disponibile non abbiamo la possibilità di calcolare sino a che punto arrivano i nostri finanziamenti. È evidente che chi è arrivato al primo posto ha quasi la certezza che il finanziamento lo ha ottenuto.

Poi la cooperativa si reca presso di noi e firma un atto, una convenzione. C’è tutta una serie di documentazione da presentare: il Durc, il Cup, la certificazione Equitalia ed altri controlli, superati i quali, finalmente, il progetto diventa operativo.

Noi accettiamo progetti provenienti da tutte le 14 categorie di impresa comprese nell’Albo, cioè da tutti i settori dell’economia. nazionale.

È chiaro che ci sono dei controlli ex ante alla cooperativa, cioè vogliamo sapere vita, morte, miracoli di questa cooperativa. Ci sono dei controlli, per esempio, sulla mutualità. Se la cooperativa non la possiede, viene immediatamente esclusa. Ci sono dei controlli in itinere per quei progetti che vengono approvati da noi  e ci sono poi dei controlli ex post, resi operativi dalla Corte dei Conti che ha voluto che noi andassimo a vedere se, a distanza di anni, di quel finanziamento c’è ancora traccia nel territorio.

Ancora una novità. È dal 1999 che la Direzione generale ha individuato tre settori dell’attività  particolarmente rilevanti su cui abbiamo deciso di non lavorare più a compartimenti stagni ma di farli interagire. I tre settori sono:  il settore della Promozione, quello di cui vi sto parlando, che deriva dai fondi della legge 59; il settore dell’Addestramento, che deriva dal contributo biennale che tutte le cooperative versano per poter addestrare i revisori; il settore della Vigilanza. Voi sapete che tutte quante le cooperative che non aderiscono al movimento devono essere tutte assoggettate a vigilanza.

Per tornare ai tre settori, vediamo prima quello della Vigilanza. Nel fare l’analisi dei verbali di vigilanza abbiamo potuto appurare quali fossero le cause più ricorrenti, le mancanze, le inadempienze, le incomprensioni che c’erano fra le cooperative e, diciamo, la legislazione attuale. Sulla base di questa analisi, per far fronte ad una evidente carenza conoscitiva,  abbiamo posto in essere, tramite i fondi della 59, una serie di corsi di formazione totalmente gratuiti  per gli imprenditori di cooperative.

All’inizio questa iniziativa ha avuto enorme successo. Poi purtroppo, col passare del tempo, è stata sempre meno utilizzata anche a causa dell’aggravarsi della situazione economica che non consentiva agli imprenditori di allontanarsi dall’azienda.. Quindi questi corsi sono stati sostituiti con una “piattaforma di formazione a distanza”. Un’iniziativa che ci è costata molto in termini di risorse economiche ma che ora è a disposizione del movimento

Pertanto,  preghiamo tutti quanti di contattarci, noi o la nostra Direzione generale o l’Associazione di studi cooperativi Luigi Luzzatti,  che ci supporta in questa attività, per essere informati su quali siano le modalità da seguire per aver accesso a questo sistema.

Vi ricordo che, a partire dal 2011, a tutte quelle cooperative che hanno partecipato con esito positivo a questa piattaforma noi riconosceremo un punteggio di favore per l’aggiudicazione di questi finanziamenti.

Quindi vi preghiamo di contattarci, nel vostro interesse ma, direi, nell’interesse di tutti, dell’Associazione e del movimento cooperativo in genere.

 

 

Mauro Iengo, esperto del Movimento cooperativistico:

“La cooperazione nel quadro delle politiche europee: evoluzione, strumenti di incentivazione all’interno della legislazione europea, opportunità all’interno dei fondi strutturali europei”

 

Il tema che mi è stato affidato – dare una panoramica dell’evoluzione e dell’attualità degli strumenti di incentivazione previsti dalla legislazione europea in favore della cooperazione – apparentemente non è complicato perché, dalla nascita dell’Unione europea, possiamo annoverare solo due provvedimenti dedicati unicamente alle società cooperative: il Regolamento n. 1435/2003 concernente la Società cooperativa europea (Sce) e la Comunicazione della Commissione europea del 2004 sulla promozione delle società cooperative in Europa.

Come vedremo, le valutazioni su questi due provvedimenti rimangono sospese perché i loro effetti debbono ancora esprimersi compiutamente. Questo vale soprattutto per il Regolamento sulla Società cooperativa europea , la cui gestazione è stata coeva con la riforma del diritto cooperativo italiano, il che ha reso inevitabile la loro reciproca contaminazione.

Sono numerose, infatti, le norme del Regolamento europeo sulla Ecs (European cooperative society) che sono state introdotte nel nostro ordinamento, così come risulta evidente che alcuni istituti cooperativi italiani abbiano influenzato il Legislatore europeo.

Per alcuni versi, il valore aggiunto del Regolamento europeo è che esso rappresenta il risultato di un confronto tra le diverse culture europee in materia di cooperazione, caratterizzato da scelte che in parte derivano dalla tradizione renana e anglosassone e in parte da quella mediterranea. Per tale motivo è un punto di riferimento importante per le Autorità legislative degli Stati membri europei e di altri Paesi quando emerge l’esigenza di aggiornare le rispettive discipline nazionali o, addirittura, di introdurre ex novo una normativa in materia cooperativistica. 

Sarebbero davvero numerosi gli spunti da approfondire della Sce, ma non ne abbiamo il tempo.

Mi limito a ricordare che l’approvazione del Regolamento in materia di Sce è stato un evento molto importante per il movimento cooperativo italiano, perché l’Unione europea – con questo Regolamento – ha riconosciuto e promosso il modello cooperativo come una tipologia societaria meritevole di una normativa autonoma e distinta rispetto a quella delle società di capitali. 

Questo aspetto non va sottovalutato, soprattutto alla luce della tendenza ad omologare le cooperative alle società lucrative e a disconoscere la loro funzione sociale nei contesti economici in cui operano.

Tuttavia, al di là dei meriti politici, la vera funzione del Regolamento europeo è quella di fornire ai cittadini e alle imprese europee uno strumento giuridico capace di facilitarne l’attività transfrontaliera e transnazionale, dando loro la possibilità di soddisfare i propri bisogni e di promuovere attività economiche e sociali.

L’esperienza sinora maturata porta a considerare la Sce come uno strumento più adatto all’associazione tra imprese che non tra persone fisiche. Ciò non significa che si debba escludere a priori la possibilità che una Sce sia costituita da persone fisiche, lavoratori o utenti, soprattutto nelle realtà transfrontaliere. Tuttavia, non ho dubbi sul fatto che soprattutto le imprese, le Pmi in particolare, siano il vero target di potenziali fruitori della Sce.

Nella Comunicazione della Commissione del 4 ottobre 2007, dedicata alle Pmi, si può infatti leggere che «attualmente l'internazionalizzazione riguarda solo il 18% delle Pmi e sono ancora meno numerose quelle che esportano i propri prodotti al di fuori del paese di origine. Le Pmi hanno difficoltà anche per quanto concerne l'accesso ai mercati degli appalti pubblici, le vendite transfrontaliere ai consumatori o l'applicazione delle norme. Resta quindi essenziale agevolare l'accesso delle Pmi ai mercati, in particolare al mercato unico».

Quando parlo di Pmi parlo, ovviamente, anche di società cooperative, la cui aspirazione ad andare all’estero è diffusa e le ragioni che spingono le cooperative ad avviare processi di internazionalizzazione sono di norma legate a precise strategie imprenditoriali. Occorre tuttavia superare ostacoli importanti e, a tal fine, instaurare forme di collaborazione con i vari soggetti che, a vario livello, sostengono la presenza delle Pmi sui mercati esteri. È essenziale creare un quadro di riferimento istituzionale all’interno del quale inserire iniziative specificamente mirate a supportare le Pmi.

Una di queste iniziative è, a nostro parere, la Sce, la  Società cooperativa europea, la quale rappresenta, o meglio, dovrà rappresentare un capitolo delle politiche di promozione delle Pmi, comprese le cooperative.

Non è solo una nostra convinzione. Lo affermava chiaramente anche la Comunicazione della Commissione del febbraio 2004 sulla “Promozione delle società cooperative in Europa”, secondo la quale l’adozione dello statuto della Sce avrebbe permesso alle cooperative di operare in tutta l’Unione europea con un’unica personalità giuridica e una stessa serie di regole.

A circa quattro anni dall’entrata in vigore del Regolamento sono state create poco meno di venti Sce, il che non può essere considerato un risultato esaltante, ma neppure sconfortante viste le difficoltà di natura giuridica  e politica.  Inoltre, non ha certo aiutato l’assenza di un contesto organizzativo e culturale adeguato per favorire l’incontro delle esigenze e delle progettualità delle Pmi e delle imprese cooperative.

Siamo quindi convinti che ancora vi siano le condizioni per diffondere questo strumento se sapremo agire rapidamente sotto il profilo legislativo (proponendo correzioni ed integrazioni al regolamento per ridurre drasticamente i rinvii alle legislazioni degli Stati membri ed eventualmente aumentare l’autonomia statutaria delle Sce), ma soprattutto politico ed istituzionale, ricercando le soluzioni necessarie per diffondere nella cultura delle Pmi lo strumento della Sce.

 Soluzioni che potrebbero essere riassunti in una parola: rete. A livello nazionale ricorrendo agli strumenti del gruppo cooperativo paritetico o del contratto di rete di imprese (quest’ultimo previsto dalla legge 122/2010 e finalizzato,  tra l’altro, all’internazionalizzazione delle imprese; a livello comunitario, impiegando la “rete integrata di sostegno alle imprese e all’innovazione” come strumento che promuove manifestazioni di incontro tra le Pmi, l’intermediazione tecnologica e la ricerca di partner.

Sappiamo che il successo della rete comunitaria dipenderà anche e soprattutto dalla qualità del lavoro delle Istituzioni preposte in ogni Stato membro e da come le stesse Associazioni di rappresentanza delle cooperative e delle Pmi sapranno supportare tale azione (questa è una delle ragioni, probabilmente la più forte, per le quali, Legacoop – con l’apporto dei suoi partner – ha deciso di costituire, sulla scorta della Conferenza tenuta a Venezia nel settembre del 2006, il Forum permanente per la promozione della Società cooperativa europea). In definitiva, la Sce è uno strumento che avrà successo se sarà considerato patrimonio comune della cooperazione europea e se riusciremo ad integrarlo nelle politiche più complessive della Commissione europea.

Quest’ultimo passaggio mi consente di entrare nel merito dell’altro importante provvedimento europeo e cioè la Comunicazione della Commissione europea del 2004. 

Anche tale Comunicazione è stata un risultato storico per il movimento cooperativo europeo perché, oltre ad affermare l’importanza del ruolo delle cooperative nello sviluppo del sistema economico ed imprenditoriale europeo, la Commissione europea ha assunto impegni precisi per incrementarne la presenza e l’incisività.  Si tratta delle cosiddette “Azioni”,* le più importanti delle quali sono volte a:

– sostenere iniziative delle organizzazioni delle parti interessate e degli Stati membri (organizzazione di conferenze, redazione di opuscoli esplicativi, ricerche tematiche, istituzione di giornate dedicate alle cooperative, creazione di reti), mirate a sensibilizzare i pubblici poteri e gli operatori economici privati al potenziale della forma cooperativa in quanto mezzo per creare un'impresa o un raggruppamento di piccole imprese (Azione 1);

– organizzare uno scambio strutturato di informazioni e di esperienze, nonché l'identificazione delle buone pratiche nell’economia cooperativa e l’analisi comparativa delle politiche e delle pratiche nazionali in questo campo (Azione 2);

– adottare le misure necessarie affinché i programmi di istruzione, formazione, apprendimento permanente e apprendimento per via elettronica facilitino la partecipazione delle cooperative, in particolare i programmi che incoraggiano i progetti transnazionali e le reti specialistiche transnazionali e che sono destinati allo sviluppo delle pratiche migliori in settori innovativi (Azione 4);

– identificare e diffondere le buone pratiche nel settore dei servizi di sostegno alle imprese per le cooperative, dando seguito alle azioni intraprese in precedenza per quanto riguarda le Pmi e le microimprese (Azione 5);

– includere un riferimento specifico alle imprese cooperative negli strumenti finanziari gestiti dal Fondo europeo per gli investimenti (Azione 6);

– esaminare le politiche, le buone pratiche e le regolamentazioni relative alle cooperative sociali in Europa per riferire alle istituzioni comunitarie (Azione 7);

– discutere con gli Stati membri, in materia di Sce, di tutte le questioni per le quali sono necessarie misure nazionali o che sono disciplinate da leggi nazionali (Azione 8);

– migliorare la legislazione sulle cooperative, in particolare nei nuovi Stati membri (Azione 9);

– semplificare il regolamento suggerendo l’adozione, ove possibile, di norme comuni a livello europeo (Azione 11).

Non si può dire che la Commissione europea abbia dato particolare seguito a tali azioni, né che gli Stati membri abbiano svolto fino in fondo il proprio ruolo. Sono stati portati a conclusione soprattutto degli studi sul fenomeno cooperativo, ma nulla che assomigli ad interventi concreti.

È in corso una valutazione dei risultati della Comunicazione e un suo aggiornamento, ma occorre essere consapevoli che nell’ambito della Commissione europea non vi sono solamente sentimenti positivi verso la cooperazione.

Emergono infatti posizioni che, ad esempio, sottolineano la distinzione tra piccole e grandi cooperative sostenendo che quest’ultime si comportano sempre più come società di capitale. Affermazioni in alcun modo accettabili, sia perché espressione di un pregiudizio, sia perché non considerano che, in alcuni settori economici e mutualistici, la grande dimensione (sul piano patrimoniale e su quello concernente la base sociale) rappresenta la condizione indispensabile per rendere ai soci cooperatori il vantaggio mutualistico per il quale si sono associati in cooperativa.

È però confortante che di tutt’altro avviso siano importanti personaggi ed Istituzioni dell’Unione europea:

– il presidente Barroso ha recentemente esaltato la capacità delle cooperative di resistere alla crisi economica e finanziaria grazie alle peculiarità valoriali del proprio modello;

– il Comitato economico e sociale europeo, il Cese, ha espresso un parere formale, con il quale, nel rendere evidenti i vantaggi di una politica volta a tutelare e valorizzare la “diversità delle forme d’impresa”, indica le condizioni per la tutela e la valorizzazione delle cooperative;

– il Parlamento europeo ha approvato la relazione sull’Economia sociale (gennaio 2009), affidata a Patrizia Toia, dove si afferma che l'Economia sociale attraverso particolari forme imprenditoriali organizzative e/o giuridiche, tra le quali la forma cooperativa, «svolge un ruolo essenziale nell'economia europea permettendo la creazione di posti di lavoro di qualità e il rafforzamento della coesione sociale, economica e territoriale».

Il Parlamento riconosce però che l'economia sociale «potrà prosperare e sviluppare tutto il suo potenziale soltanto se potrà beneficiare di premesse e condizioni politiche, legislative e operative adeguate». Pertanto esse non dovrebbero essere soggette all'applicazione delle stesse regole di concorrenza delle altre imprese e necessitano «di un quadro giuridico certo, (...) che permetta loro di operare su un piano di parità rispetto alle altre imprese». In tale ambito, il Parlamento propone che queste misure comprendano: «l'accesso agevolato al credito e sgravi fiscali, lo sviluppo del microcredito, l'introduzione di statuti europei per le associazioni, le fondazioni e le mutue, nonché un adeguato finanziamento dell'Unione europea e incentivi per sostenere meglio le organizzazioni dell'economia sociale che operano nei settori di mercato ed extra–mercato e che vengono create a scopi di utilità sociale».

Più in particolare, il Parlamento chiede alla Commissione:

– di tener conto della realtà dell'Economia sociale nella revisione della politica degli aiuti di Stato, affinché non ostacoli le normative nazionali in materia societaria e fiscale, «come quelle che si applicano alle cooperative nel settore bancario e in quello della grande distribuzione, che operano sulla base dei principi della mutualità, della democrazia societaria, della trasmissione intergenerazionale del patrimonio, dell'indivisibilità delle riserve, della solidarietà, nonché dell'etica del lavoro e dell'impresa»;

– di sviluppare programmi che offrano sostegno finanziario, informazione, consulenza e formazione, e semplificare il processo di costituzione di tale tipo di imprese (ad esempio riducendo i requisiti di capitale iniziale per le società), al fine di «aiutarle a fronteggiare un'economia sempre più globale, peraltro attualmente colpita dalla crisi finanziaria»;

– di creare strumenti e incentivi mirati a facilitare, in caso di crisi, «la possibilità di trasformare le imprese in imprese di proprietà dei lavoratori». Al riguardo, l’esperienza italiana, riconducibile alle cosiddette “Finanziarie Marcora”, può essere particolarmente interessante, soprattutto se legata all’idea di proporre che gli Stati membri individuino gli enti (finanziarie) chiamati a svolgere funzioni di finanziamento, affiancamento e tutoraggio delle imprese che nascono, e l’Unione europea allochi risorse finanziarie in favore di tali enti (nelle forme che si riterranno opportune) in misura pari a quelle stabilite dallo Stato membro;

– di integrare l'economia sociale nelle sue altre politiche e strategie in materia di sviluppo sociale, economico e imprenditoriale, a valutare la possibilità di riattivare la linea di bilancio specifica per l'economia sociale e a determinare condizioni atte ad agevolare gli investimenti nell'economia sociale, in particolare attraverso fondi per gli investimenti, la concessione di crediti garantiti e di sovvenzioni.

La Commissione europea, nella sua Comunicazione del 27 ottobre 2010 al Parlamento, al Consiglio, al Cese e al Comitato delle Regioni, il cui titolo è “Verso un atto per il mercato unico – Per un’economia sociale di mercato altamente competitiva”, illustra ben 50 proposte per lavorare, intraprendere e commerciare insieme in modo più adeguato.

In uno dei capitoli della Comunicazione si sottolinea il fatto che l’economia sociale si organizza mediante una varietà di forme giuridiche distinte (fondazioni, cooperative, mutue, etc), in ragione della natura del finanziamento o della scelta degli azionisti o delle parti in causa che sostengono e accompagnano progetti a forte innovazione sociale, economica e a volte tecnologica. La Commissione si rende tuttavia conto che è necessario migliorare la qualità delle forme giuridiche interessate al fine di ottimizzare il funzionamento e promuoverne lo sviluppo nel mercato unico.

Per inciso, questo documento afferma che le cooperative hanno un ruolo molto importante nella struttura e nel dinamismo dell’economia, offrendo ai loro membri meccanismi unici di solidarietà e creando di fatto strutture proprietarie solide che favoriscono una forte cultura di gruppo, l’azionariato dei lavoratori e gli investimenti a lungo termine.

Conclusioni 

Come abbiamo visto, la cooperazione non è sconosciuta alle Autorità europee. Sia in via diretta che insieme agli altri soggetti dell’economia sociale, le società cooperative sono state e continuano ad essere oggetto di considerazione da parte del Parlamento europeo e della Commissione europea.

Il problema risiede nel fatto che a tale considerazione non seguono risultati concreti. Si potrebbe dire che, nella destinazione delle risorse europee, le cooperative rappresentino “i soliti ignoti”.

Certo, si potrebbe sostenere che le risorse vi sono ed è responsabilità delle cooperative non attingervi, ma a tale affermazione va obiettato che la cultura che pervade la politica economica europea e i relativi interventi è indubbiamente tarata sul modello delle società di capitali.

Le cooperative si trovano spesso di fronte a serie difficoltà nel rispettare alcuni elementi o richieste perché incompatibili con il loro modello legale. Vi è quindi la necessità che le norme, anche in fase di elaborazione, tengano in considerazione i principi strutturali ed operativi delle cooperative, anche alla luce dell’articolo 48 del Trattato europeo il quale riconosce la pluralità delle forme imprenditoriali.

A nostro parere, un’occasione importante da cogliere è quella dell’aggiornamento della citata Comunicazione della Commissione europea del 2004. In quella Comunicazione vi sono “Azioni” che ancora oggi possono essere considerate attuali ed essere rilanciate, a condizione tuttavia di renderle coerenti con le proposte e gli orientamenti formulati dal Rapporto Toia e dalla Comunicazione della Commissione del 2010.

Non si tratta di assecondare una cultura da “riserva indiana”, di pretendere cioè provvedimenti ad hoc. Al contrario, l’idea è quella di rendere efficace uno strumento già esistente che, se slegato dalle politiche verso i soggetti dell’economia sociale o verso le Pmi, avrebbe l’effetto di indebolire lo stesso terzo settore e il sistema complessivo delle Pmi.

Politiche che vanno necessariamente assecondate prima a livello nazionale e poi regionale, perché se è vero che gli obiettivi della politica di coesione sono stabiliti a livello europeo e nazionale, è altrettanto vero che la loro realizzazione avviene prevalentemente a livello regionale e locale.

Noi siamo convinti che per le loro radici locali e gli obiettivi sociali che perseguono, le cooperative dovrebbero essere interlocutori ideali delle Regioni e degli Enti locali nella programmazione delle politiche di sviluppo territoriale (in linea peraltro con la strategia 2020 della Commissione europea).

Ovviamente, non si intende chiedere risorse dedicate alla cooperazione, indipendentemente dalle sue capacità progettuali ed imprenditoriali. Al contrario, è necessario che la cooperazione si candidi a coadiuvare gli Enti territoriali a dare contenuto ai rispettivi obiettivi programmatici e a tal fine sarebbe già importante istituzionalizzare il confronto tra il Movimento cooperativo e l’Ente Regione sui temi legati all’utilizzo delle opportunità finanziarie che derivano da fonti comunitarie. Confronto che potrebbe avere come risultato “protocolli d’intesa” con il quale definire le fasi principali del coinvolgimento partenariale (definizione della strategia e degli strumenti di intervento, individuazione dei criteri di ammissibilità e selezione, monitoraggio e valutazione degli interventi, ivi inclusi quelli finanziati con le risorse liberate) e i prodotti attesi per ciascuna fase.

Ancora non è chiaro quanto potrà incidere su questo ragionamento il “Piano per il Sud”, approvato recentemente dal Consiglio dei Ministri con una dotazione di 100 miliardi provenienti dai fondi nazionali e comunitari non spesi (saranno ricomprese le risorse non spese dei vecchi e nuovi Fas, dei Fondi strutturali relativi agli anni 2004/2006, nonché quelli relativi agli anni 2007/2009). Il piano ha il proposito di concentrare gli interventi su alcuni obiettivi in termini di beni e servizi collettivi (grandi infrastrutture, istruzione, ricerca e innovazione) e di creazione di un ambiente più favorevole allo sviluppo economico e sociale (sicurezza e legalità, giustizia, efficienza della Pubblica Amministrazione, credito e sostegno alle imprese e al lavoro). Inoltre, anticipando la riforma in discussione dei Fondi regionali europei, si farà un ricorso più stringente alla valutazione preventiva e successiva degli interventi; si definiranno, con tutte le Amministrazioni coinvolte – anche attraverso i cosiddetti “contratti istituzionali”– gli impegni reciproci; si individueranno meccanismi sostitutivi fino alla possibilità di commissariare in caso di inadempienza. Vedremo nei prossimi giorni come questo impianto sarà declinato, anche in termini di distribuzione dei compiti e delle responsabilità. Molto dipenderà dalla posizione che assumeranno le Regioni e dalla cooperazione che esse assicureranno al Governo.

Non è previsto formalmente un ruolo per le Organizzazioni sindacali e datoriali, ma sono state già date rassicurazioni circa il loro coinvolgimento in sede di elaborazione del suddetto contratto istituzionale.

Ritornando alla stretta attualità e al rapporto giusto che può e deve intercorrere tra il movimento cooperativo e le Regioni, la programmata rivisitazione della legge regionale in Sardegna potrebbe essere l’occasione per definire e regolamentare con maggiore dettaglio tale rapporto, anche anticipando le novità istituzionali che si stanno affacciando.

Ad esempio, prevedere un organismo (la Consulta regionale per lo sviluppo della cooperazione, di cui ho letto nel documento delle cinque Centrali della Sardegna), cui dare il compito di identificare le aree di intervento stabilite dai programmi comunitari e del Governo, nelle quali coinvolgere il movimento cooperativo, sarebbe fortemente auspicabile, soprattutto se, finalmente,  alle dichiarazioni di stima e rispetto nei confronti delle cooperative si intendono far seguire risposte concrete.

Ma dall’introduzione dell’assessore Manca, comincio ad avere pochi dubbi su questo risultato.

 

 

 

Andrea Fora, esperto del movimento cooperativistico, Commissario di Confcooperative Sardegna:

"Nuovi bisogni e opportunità per l'impresa cooperativa in Sardegna"

 

Il mio intervento è fatto a nome di tutte e cinque  le Centrali cooperative, che hanno condiviso un percorso comune di analisi e riflessioni, che sfocia in questo primo documento che oggi portiamo all'attenzione dell'Istituzione regionale, contenente proposte per il rilancio della cooperazione in Sardegna.

E già questo primo elemento (l'unità del movimento cooperativo) ritengo sia un valore importante e, probabilmente, un segnale di novità per questa regione, segnale che testimonia l'assunzione di responsabilità e la maturità del movimento cooperativo sardo.

Sempre a nome di tutte e cinque le Centrali cooperative (e non lo dirò più in quanto tutto l'intervento è comune) porgo un ringraziamento non formale all'assessore Manca e alla dirigenza del suo Assessorato per averci accompagnato a questo primo appuntamento, attraverso un percorso partecipato e costruito insieme, il cui obiettivo è gettare le prime solide basi per riavviare un rilancio strategico e culturale della cooperazione in Sardegna.

Il lavoro comune e partecipato potrebbe costituire un bel riferimento da “esportare” negli altri ambiti della programmazione regionale.

Non farò un intervento di natura politica, ma proverò piuttosto a condividere alcuni spunti di riflessione sullo stato della cooperazione in Sardegna e sulle priorità future.

Permettetemi soltanto una brevissima premessa: cosa significa parlare oggi, in piena crisi economica, una delle più gravi degli ultimi decenni, di cooperazione.

La crisi fa un’operazione verità sull’economia. E mette in discussione il “dogma” più consolidato degli ultimi decenni: l’impresa per eccellenza è una, quella capitalistica. È la storia economica, anche limitandosi a quella recente del XIX e del XX secolo, che evidenzia nei fatti la validità del pluralismo delle forme imprenditoriali. Diverse di loro, in determinate fasi e in specifici ambiti, sono state determinanti per la sopravvivenza e lo sviluppo del sistema economico, in Italia e in Sardegna. Basta pensare al ruolo ricorrente dell’impresa pubblica nel garantire la sopravvivenza d’interi comparti produttivi investiti da crisi di varia natura; a quello delle casse di risparmio per la tutela e la gestione del risparmio familiare e per il suo impiego in investimenti infrastrutturali di lungo periodo; alle mutue nel distribuire in modo equilibrato il rischio e la protezione sociale,  alle banche popolari e alle casse rurali nel far accedere ai mercati finanziari produttori e famiglie che realizzavano i primi processi di accumulazione e sviluppo; alle cooperative per permettere a popolazioni di consumatori, produttori, lavoratori, di avere accesso da protagonisti alla dimensione degli scambi economici.

Questa visione capitalistica dell’impresa ha occupato la cultura dominante nel mondo occidentale e non solo. Ha occupato l’accademia, dove s’insegna pressoché esclusivamente management dell’impresa capitalistica e si fa ricerca a senso unico su di essa.  I media trattano di finanza speculativa col la costanza,  la passione e l’invasività delle più popolari dynasty televisive. La borsa pare essere il centro del mondo e lo scandire (ormai silenzioso sui monitor) dei suoi bollettini, pare segnare i destini della terra.

Oggi in molti evidenziano la necessità di ripensare un modello economico fondato esclusivamente sul profitto e su una concezione individualistica del vivere associato e ritorna d'attualità l’idea di coltivare i beni comuni, la sussidiarietà, la democrazia partecipativa, valori su cui da oltre 100 anni fonda la sua mission la cooperazione.

Per noi parlano i numeri: le imprese cooperative stanno resistendo e reagendo meglio dalla crisi.

Nel 2009, le cooperative hanno tenuto, e hanno fatto meglio delle tradizionali società di capitali.

Due anni fa, all’apparire della crisi, avevamo invitato le cooperative a sacrificare gli utili, se necessario, ma a salvaguardare l’occupazione.  Gli utili, nel biennio della crisi, si sono quasi dimezzati. Ci sono purtroppo gli effetti collaterali: meno utili, meno patrimonializzazione.  L’occupazione cooperativa italiana (1.200.000 addetti, senza considerare co.co.pro. e prestazioni professionali), che dal 2000 è cresciuta del 37%, nel terribile 2009, nonostante tutto, ha continuato a crescere del 2 per cento. Dall’inizio della crisi la Cassa integrazione ha interessato l’1,3% degli occupati. Dunque le cooperative italiane funzionano da vere cooperative.

Anche i dati regionali, pur non disponendo di un quadro definito e aggiornato, confermano questo trend: all’ 1 gennaio 2010 risultano presenti nella regione 3.257 cooperative, quasi due cooperative ogni mille abitanti, con uno dei rapporti più alti a livello nazionale. Dal 2006 al 2009 le cooperative in Sardegna sono cresciute del 15 per cento. Anche il fatturato, calcolato su un panel congruo di cooperative attive, è cresciuto del 7 per cento.

Quali sono i fattori di successo della formula cooperativa? Un dato tra tutti.Abbiamo avviato  con alcuni uffici revisioni delle Centrali cooperative una rilevazione su alcuni indicatori. Mutualità e partecipazione: le cooperative con un tasso più elevato di mutualità e di forte partecipazione dei soci, sono quelle che crescono di più, e che hanno le migliori performance in ordine a fatturato, utili, capitalizzazione e investimenti.

La crisi grava meno su chi ha perseguito una dimensione congrua, su chi ha realizzato integrazioni, su chi esporta, su chi è inserito nella rete associativa e si avvale di conoscenze e servizi.

Tuttavia noi guardiamo con fiducia al futuro delle cooperative che rappresentiamo. La fiducia non viene dagli andamenti. È fondata sull’atteggiamento dei cooperatori. I cooperatori sono impegnati nella diversificazione, nella creazione di reti, nelle integrazioni, nel rafforzamento del marketing, nella spinta su mercati esteri.

Prima della crisi crescevamo troppo poco e non è una prospettiva incoraggiante quella di uscire dalla crisi per ritrovarci come eravamo. Non dobbiamo solo riemergere dalla crisi. Dobbiamo imparare e impegnarci per uscirne meglio. I problemi vanno riconosciuti con franchezza, le difficoltà non vanno taciute.

E allora dico che proprio questo momento storico, dentro una delle crisi più profonde sul piano economico e sociale, è proprio il momento migliore per lanciare un nuovo Patto tra cooperazione e Istituzione regionale per rilanciare un modello di sviluppo economico cooperativo per la regione Sardegna.  Dicevamo che ci sarà sempre più bisogno di un modello di impresa che metta la persona al centro della sua realizzazione e del suo sviluppo. Potrò sicuramente apparire fazioso e presuntuoso con questa affermazione, ma il modello cooperativo da sempre cerca di sanare questa antica frattura tra economia e sostenibilità sociale proponendo un modello di sviluppo economico alternativo, che si fonda sull’integrazione tra impresa, economia e sviluppo sostenibile, democrazia e partecipazione.

Quella che ci coinvolge è una crisi strutturale che ci costringerà a rivedere il modo di consumare, a cambiare abitudini. Ma ce la faremo. Ne uscirà una società bipolarizzata, con un probabile aumento della povertà. Non basta quindi creare ricchezza, occorre anche ridistribuirla equamente.  Questa è anche la nostra funzione: dove esiste una forte rete di cooperazione c’è meno povertà.

Ecco il motivo per cui affermiamo che la cooperazione sarda deve riconoscersi sempre di più quale parte integrante del sistema imprenditoriale della Sardegna, per il ruolo fondamentale per l’evoluzione e lo sviluppo del contesto socio-economico regionale.

Le cooperative riconducono il globale al locale, non delocalizzano, ma aprono al mondo il loro territorio culla, legano il lavoro e l’impresa alla comunità locale e alla famiglia.

Ho detto: «Chiediamo alla cooperazione di riconoscere se stessa», e non «chiediamo che la Regione riconosca la cooperazione...» E ciò perché sono davvero convinto che in Sardegna occorra aprire una nuova stagione dove la cooperazione per prima assuma consapevolezza di ciò che è per questa regione e di ciò che può esprimere.

Di solito in tutte le assemblee delle associazioni imprenditoriali le relazioni contengono l'elenco delle cose che non vanno e che le Istituzioni debbono fare per cambiare la situazione.

Ecco, anche noi abbiamo il “nostro elenco”, ma il patto di responsabilità che proponiamo oggi contiene impegni reciproci, consapevoli che un vero rilancio della cooperazione in Sardegna non dipende solo dalle misure messe in campo dalla Regione e dalla quantità di risorse economiche, ma dal riconoscere i punti critici e le debolezze della cooperazione sarda ed operare insieme per  superarli.

Purtroppo non disponiamo per la Sardegna di un’analisi approfondita del territorio, che metta in evidenza, per le diverse aree, le caratteristiche dei processi produttivi, i molteplici rapporti tra economia e società locali, il rapporto tra Istituzioni locali e sviluppo.

Però empiricamente siamo in grado di affermare che tra le principali criticità della cooperazione sarda oggi vi siano:

– la fragilità dimensionale: i campanilismi territoriali e internamente ad alcuni comparti rendono ancora fragile la dimensione imprenditoriale delle nostre cooperative, con molte imprese di piccole dimensioni che stentano a prendere la strada del mercato. Dobbiamo lavorare sull'integrazione e su percorsi di integrazione e fusione imprenditoriale, sulla crescita dimensionale delle cooperative esistenti, lo sviluppo e il consolidamento; sull'integrazione e la creazione di reti stabili di imprese cooperative;

– la scarsa patrimonializzazione: dobbiamo operare per favorire agevolazioni per l'accesso al credito delle imprese cooperative, per il potenziamento dei fondi rischi dei consorzi di garanzia e per favorire processi di capitalizzazione e il rafforzamento patrimoniale delle nostre cooperative;

– la scarsa propensione all'innovazione: dobbiamo favorire la ricerca industriale e lo sviluppo sperimentale nonché il trasferimento e l'innovazione tecnologica;

– la nostra scarsa capacità di entrare in mercati extraregionali e internazionali: dobbiamo aumentare le quote di export, ad  oggi praticamente ridotte a “testimonianze”, anche tramite la costruzione di filiere produttive integrate, anche con la partecipazione di altri soggetti e parti sociali (commercio, grande distribuzione, produzioni industriali).

Lungo questi impegni abbiamo da cambiare per primi noi stessi: perché anche il mestiere della rappresentanza va adeguato ai contesti storici, alle mutate esigenze, alle nuove priorità. Per questo anche il nostro dovere va rinnovato a favore delle nostre cooperative associate: quello di ammodernare i servizi in base a bisogni sempre più complessi, di accrescere e rinnovare le competenze professionali presenti all'interno delle nostre organizzazioni, di favorire processi di ricambio generazionale dei nostri gruppi dirigenti.

Ma sbaglia chi crede, anche in qualche stanza  dell'Istituzione regionale, che accorciando “la catena dei rapporti”, dialogando direttamente con le  imprese, mettendo in difficoltà il ruolo delle associazioni di categoria quali corpi intermedi, i percorsi si semplifichino.

Le Centrali cooperative regionali sono strumento indispensabile di promozione, miglioramento e ampliamento del sistema produttivo della Sardegna.

È nel reciproco riconoscimento dei diversi ruoli  che potremo intraprendere un processo di rilancio della cooperazione in Sardegna, nell'ottica di:

– incentivare i valori e la cultura della cooperazione;

– promuovere la diffusione della cultura imprenditoriale cooperativa, lo sviluppo e la responsabilità sociale dell'impresa cooperativa;

– valorizzare le finalità di mutualità, la democrazia interna nella conduzione delle imprese e modelli partecipativi, il principio della intergenerazionalità nel capitale umano ed economico dell'impresa cooperativa.

A questo fine chiediamo di  riconoscere nella nuova proposta di Statuto della Regione Sardegna l'importanza economica e sociale della cooperazione, in quanto esperienza fondata sulla mutualità e sulla solidarietà, anche alla luce dei principi ribaditi dall'art. 45 della Costituzione.

Le Centrali cooperative, ribadendo la validità del quadro regionale normativo a favore della cooperazione, e chiedendone l'immediata operatività, propongono che si proceda ad un ammodernamento generale del quadro legislativo, attraverso l'adozione di una legge-quadro che riordini le diverse leggi di settore riguardanti la cooperazione, ma che, soprattutto, confermi e rilanci in chiave “moderna” la funzione sociale ed il ruolo economico della cooperazione. Chiedendo l'immediata operatività vuol significare far camminare almeno le misure disponibili: la legge 16, seppur entrata all'interno del regime de minimis, è ferma per motivi incomprensibili; i contributi previsti dalla legge n. 5 per le cooperative sono ancora fermi alla rendicontazione 2009.

Al fine di favorire la partecipazione del sistema cooperativo sardo alla programmazione del comparto, si propone l'istituzione della “Consulta regionale per lo sviluppo della cooperazione”, con compiti di indirizzo e controllo concertati del sistema cooperativo regionale alla cui composizione partecipano la Regione e le Centrali cooperative. La Consulta potrebbe favorire anche la programmazione integrata tra i diversi ambiti di sviluppo regionale riguardanti la cooperazione, all'interno dei diversi Assessorati (capacità di integrazione tra Assessorati che ancora oggi difetta molto).

Nell’attuale e sempre più spinto percorso di “decentramento istituzionale di ruoli e competenze dal livello nazionale a quello regionale”, l’attività di vigilanza (revisioni e ispezioni) delle Cooperative è strumento fondamentale al fine di creare un quadro certo di regole e responsabilità; per questo è opportuno che tale strumento sia in capo all’assessorato del Lavoro della Regione e che si mettano in atto procedure normative per assicurare tale passaggio di competenze.

Nel quadro finanziario e creditizio regionale, l'associazionismo cooperativo esprime la prima ed unica rilevante aggregazione tra confidi avvenuta in Sardegna, attraverso Fidicoop Sardegna, oggi tra i primi quattro confidi del sistema cooperativo nazionale, con 80 milioni di euro di volume di attività finanziaria. Il bilancio 2009 evidenzia un tasso di default degli affidamenti bancari alle cooperative associate tra i più bassi del sistema regionale (0,64% di nuove sofferenze nell'anno contro il 2,8% del credito regionale), a conferma che l'impresa cooperative è un efficace strumento anticrisi grazie alla centralità della persona rispetto ai principi tipici dell'impresa capitalistica. Viste le stime di pertinenza della crisi economica esplosa a fine 2008, anche in Sardegna  si sollecita l'attenzione della Regione verso politiche del credito dirette ad incidere ulteriormente, con gli strumenti a disposizione, sulla rigidità del sistema bancario dinanzi ad una crescente domanda di ristrutturazione del debito.

Le Centrali cooperative invitano la Regione a proseguire decisamente alla patrimonializzazione dei confidi e si suggerisce di apportare alcuni miglioramenti tecnici al fondo regionale di controgaranzia che, pur con una dotazione senza precedenti, pecca ad oggi si un'impostazione troppo generalista e non adeguatamente mitigativa del rischio delle banche.

Le Centrali propongono inoltre alla Regione  di impegnarsi congiuntamente al fine di favorire un ammodernamento dell'attuale finanziaria regionale per la cooperazione (Coop.Fin.), al fine di farne uno strumento partecipato da tutte le Centrali cooperative e ad ottimizzarne, evitando sovrapposizioni, strumenti e procedure di accesso.

Infine, ma forse uno dei punti più importanti, il capitale umano.

Nell’espletamento della propria mission la Cooperazione necessita, visti i fabbisogni espressi dal mercato del lavoro, di azioni formative rivolte ai soci e ai dipendenti delle cooperative. Per questo si richiedono risorse dedicate da erogare in forme adeguate alle caratteristiche delle imprese cooperative.

La promozione dei valori cooperativi e dell'educazione alla responsabilità e alla cittadinanza attiva rendono opportuno rilanciare gli stili e i modelli di cultura cooperativa tramite progetti da rivolgere alle giovani generazioni, all'interno delle scuole e del mondo dell'associazionismo. A tale fine si richiede alla Regione di predisporre risorse adeguate.

Noi non siamo una parte molto grande, né più forte, né più potente, né più ricca dell’economia sarda. Anzi. Ma siamo una parte coraggiosa e vitale che è sopravvissuta a dittature, a ubriacature capitalistiche, a strumentalizzazioni partitiche, a ripetute e gravi crisi economiche, sempre crescendo e mai arretrando. Questo è il nostro lievito per contribuire ad un futuro di sviluppo e questo mettiamo oggi a disposizione per la crescita del sistema economico di questa Regione.

 

 

INTERVENTI

 

Sergio Cardia, presidente di AGCI Sardegna

 

Mi sembra importante come Associazione generale cooperative segnalare che dopo tanti anni, finalmente, abbiamo occasione di poter dialogare, di confrontarci direttamente con l’Assessore e con tutta la struttura dell’Assessorato sui temi e sui problemi della cooperazione in Sardegna.

Perché non sempre – lo abbiamo denunciato ripetutamente in questi ultimi anni – abbiamo avuto questa opportunità,  questa possibilità di poterci confrontare e poter ragionare tutti insieme;  quindi assumendoci, come diceva l’Assessore in apertura dei lavori di questo seminario, le nostre  responsabilità.

Noi riteniamo che in questi anni e nella storia della cooperazione in Sardegna il movimento cooperativo di responsabilità se ne è assunto, e siamo disponibili, siamo pronti a continuare ad assumerci la parte di responsabilità che ci compete.

Naturalmente questa nostra assunzione di responsabilità ha un senso, una logica, se c’è appunto una corresponsione da parte della Regione, con l’attenzione che noi riteniamo di meritare.

Riteniamo di meritare questa attenzione per due motivi sostanziali.  Primo perché, come dire, seppure brutti, sporchi e cattivi, rappresentiamo comunque quasi il 9 per cento del prodotto lordo vendibile della Sardegna. Quindi siamo un pezzo importante dell’economia regionale.

Riteniamo, inoltre, di meritare questa attenzione perché in questa situazione di crisi devastante che colpisce la Sardegna, come tutta l’Italia e molti Paesi del mondo – è stato già detto nei precedenti interventi, ma lo voglio ribadire, se pure rapidamente –, la cooperazione riesce comunque a distinguersi, forse per le sue caratteristiche, per le sue peculiarietà, nel fare solidarietà, i primi nel compensare il disagio. La cooperativa lo fa per natura e lo ha sempre fatto. E ancora di più lo fa in un momento di crisi come questo.

Quindi va bene questo seminario, va bene che entriamo nello specifico, perché l’esigenza c’è tutta. Abbiamo bisogno di rivedere la legislazione regionale, che è una legislazione ormai datata: la legge n. 5 è del ’57; la 16 dell’83; l’altra 16 del ’97. E voi avete ben presente quanto in questo periodo sia cambiata la società, quanto sia cambiato il modo di fare economia, di fare impresa. E tutto ciò ha coinvolto, naturalmente, anche noi.

E vorrei, nel momento in cui affrontiamo questo argomento, darvi alcuni dati che riguardano la Sardegna. Sono tratti dal documento di programmazione economica e finanziaria ufficiale della Regione, quindi un documento ufficiale della Regione di quasi un migliaio di pagine, che dà un senso compiuto della Finanziaria regionale.

Il tasso di occupazione totale nell’isola, per le classi di età comprese fra 15 e 64 anni, valori assoluti nel 2009, è del 50,8 per cento. L’Unione europea ci dice che nel 2020 il tasso di occupazione in Sardegna dovrebbe essere del 75 per cento. Siamo quindi indietro di 25 punti. Il tasso di occupazione maschile, sempre per le classi di età comprese fra 15 e 64 anni, è del 61,4% e dobbiamo raggiungere il 75 per cento: siamo quindi sotto di 15 punti. Il tasso di occupazione femminile, sempre riferito a quella fascia di età fra i 15 e i 64 anni, è del 40 per cento, al di sotto di ben 35 punti rispetto al 75% indicato dall’Ue.

E, ancora. Le spese che si fanno in Sardegna per Ricerca e Sviluppo sino al 2008 raggiungevano soltanto lo 0,5 per cento del prodotto interno lordo regionale contro un obiettivo del 3 per cento:  quindi siamo esattamente a un sesto dell’obiettivo comunitario. Le emissioni di gas serra in Sardegna al 2005 erano di quasi 12mila grammi in percentuale contro un obiettivo di 7mila richiestoci dall’Unione europea. Anche qui siamo quindi lontanissimi dai parametri comunitari. Nel settore energetico, per quanto riguarda i consumi di energia provenienti da fonti rinnovabili, siamo sotto del 12 per cento. Per non parlare, infine, del settore istruzione, del nostro insufficiente tasso di scolarità, e, per quanto riguarda il campo dell’assistenza sociale, le oltre 94mila famiglie costrette a vivere al di sotto della soglia di povertà. Ritengo che il ragionamento vada fatto avendo anche presente questo contesto.

Allora,  al problema della Sardegna, al problema dei problemi, quello delle risorse, mi pare che un accenno, Assessore, vada fatto. Oggi abbiamo in discussione una Finanziaria per il 2011 che sostanzialmente non ha risorse per lo sviluppo, che sostanzialmente non ha risorse per un modello di sviluppo economico per la Sardegna.

Ora, in questo quadro così preoccupante, così drammatico, soprattutto per l’occupazione, noi crediamo che ancora una volta la cooperazione possa essere un elemento importante e decisivo per creare nuove opportunità di lavoro, a costi compatibili con la disponibilità delle casse regionali.

Per cui quello che noi vogliamo mettere oggi in rilievo, nel corso di questo nostro seminario è la necessità di compiere questo percorso che ci porta alla definizione di una legge quadro. Di una legge quadro che abbia  l’obiettivo principale di cogliere tutti gli aspetti che riguardano l’impresa cooperativa nella sua specialità, nelle sue peculiarietà di forma societaria, che, ripeto, prima di tutto compensa al suo interno le difficoltà di una forma di società che può dare davvero un contributo importante in termini di occupazione.

In Sardegna esistono,  secondo gli ultimi dati di Infocamere, ed anche, mi pare, secondo i dati forniti dall’assessorato regionale del Lavoro,  5.900 cooperative di cui una media di 3.500 cooperative attive. Quindi c’è una percentuale di cooperative che, probabilmente, stenta ad  entrare in attività, che stenta a decollare nella sua attività. Quindi nell’isola c’è una presenza importante di cooperative. Anche rispetto al dato nazionale, la presenza della cooperazione nell’isola è abbastanza significativa. Mi pare che siamo fra le prime otto-nove regioni in Italia per numero di cooperative.

Allora, per consentire di sostenere queste cooperative che operano o che vogliono operare noi abbiamo bisogno di avere un minimo di certezze che noi stiamo proponendo con delle modalità ben precise: una legge quadro sulla cooperazione che possibilmente disponga di un fondo specifico per alimentare tutte le iniziative che riguardano il movimento cooperativo.

Un altro strumento che riteniamo fondamentale per finalizzare queste politiche di sviluppo e di sostegno della cooperazione è la Consulta regionale. Noi abbiamo bisogno, appunto in questo periodo, di una piccola cabina di regia che serva ad orientare e ad elaborare le strategie e che serva ad orientare e monitorare anche le spese.

Naturalmente tutto questo senza, come dire, mortificare o rinunciare agli strumenti legislativi che già abbiamo in essere. Insomma, attenzione, come diceva quello, a non buttare il bambino insieme ai panni sporchi. Quindi, partendo da quello che esiste per andare oltre, per aggiornarlo con gli attuali bisogni della cooperazione.

Credo che per fare questo, come centrali cooperative – assumendoci, assessore Manca, le nostre responsabilità – una nostra iniziativa specifica la dobbiamo pure prendere.

C’è oggi nella società italiana un atteggiamento che definirei quasi di apatia complessiva, c’è una difficoltà di rappresentanza che riguarda un po’ tutti. Ritengo che nell’assunzione della parte di nostra responsabilità abbiamo bisogno di coesione. E c’è stato un riscontro proprio in questi giorni scorsi con l’annuncio con cui le tre Associazioni storiche della cooperazione (Lega cooperative, Confcooperative, e Agci)  fanno sapere di aver sottoscritto un patto federativo che mette in moto un processo unitario delle tre organizzazioni. Io ritengo che una rappresentanza più forte del sistema delle imprese cooperative dia maggior forza anche alle singole cooperative.

È evidente che non è una cosa che realizziamo oggi per domani, ma è un processo che possiamo e che dobbiamo mettere in atto.

Siamo sullo scenario in cinque centrali della cooperazione. Ognuno di noi fa una parte di cose: tutti quanti abbiamo un centro servizi, tutti quanti  abbiamo uno sportello per le imprese, tutti quanti abbiamo una cosa, tutti quanti ne abbiamo un’altra. Abbiamo gli strumenti finanziari. È stato citato il Consorzio di garanzia fidi, c’è lo strumento della finanziaria unitaria della cooperazione, la CoopFin.

Allora io credo che nell’immediato la nostra responsabilità sta anche nel fatto di valutare, di vedere, di ragionare sul fatto che questi strumenti possano essere davvero strumenti unitari che abbattano i costi e che migliorino concretamente il servizio e il sostegno che diamo alle cooperative.

Ritengo che questa sia una parte importante di responsabilità che le centrali possano assumersi. Perché, come dire, rafforzare la rappresentanza vuol dire rafforzare anche  – senza levare proprio nulla  a nessuno per la propria parte – anche il rapporto con le istituzioni che sono quelle regionali, che sono la Provincia, i Comuni.

Perché non dimentichiamo che in Sardegna credo non ci sia un Comune dove non ci sia la presenza di una cooperativa: cha sia una cooperativa sociale, una cooperativa di abitazione, o una cooperativa di produzione e lavoro, ma, comunque, siamo presenti. Se i Comuni dell’isola sono 380 e le cooperative nell’isola sono quelle, credo che non ci sia un Comune dove non opera un’impresa cooperativa. E spesso la cooperativa in quel comune svolge anche una funzione delicata ed importante.

Per cui abbiamo bisogno di mettere questo patrimonio a disposizione della società sarda, a disposizione del sistema delle autonomie, a disposizione di quei giovani e di quelle giovani  che stanno cercando un’opportunità di lavoro.

Noi ci siamo, assessore Manca. Vogliamo fare la nostra parte. Cogliamo con molto interesse, con molta attenzione questo momento. Cogliamo l’atteggiamento positivo che c’è da parte dell’Assessore regionale del Lavoro. Non posso non dirlo: ci piacerebbe che lo stesso atteggiamento fosse messo in atto anche da altre parti dell’Amministrazione regionale, che non sempre rispondono e ragionano allo stesso modo che stiamo invece apprezzando questa mattina e che speriamo e faremo tutto il possibile per continuare ad apprezzare.

Spesso ci sentiamo non soltanto non ascoltati, ma qualche volta ci sentiamo anche penalizzati nei rapporti con la Regione. Ma, come dire, siamo tenaci, siamo testardi e continuiamo ad insistere perché questa attenzione per il movimento cooperativo ci sia.

Badate che la cooperazione in alcuni settori non è soltanto una parte importante: in alcuni settori è una parte predominante. Senza la cooperazione agricola, pur con tutti i suoi limiti, l’agricoltura sarda, ad esempio, non avrebbe avuto lo sviluppo che ha avuto in questi anni. Probabilmente senza le cooperative di trasformazione del latte non avremmo avuto, in questo comparto, i risultati che abbiamo raggiunto oggi. Che non sono molto incoraggianti: ritardi ce ne sono. Immaginiamoci, però, cosa sarebbe stato questo comparto senza  la presenza delle imprese cooperative.

Ma pensiamo anche alla cooperazione sociale; pensiamo alle cooperative di abitazione che hanno risolto in modo significativo il problema casa. Cooperative sociali che gestiscono l’80-90 per cento dei servizi alle persone, arrivando ad essere, in qualche caso, noi stessi finanziatori dell’ente locale che, fra le altre cose, ci paga dopo nove mesi, e  non ci paga appieno.

Nonostante tutto questo, ci siamo e vogliamo continuare ad esserci. E, fatemelo dire, pretendiamo la giusta attenzione per il ruolo che svolgiamo nel territorio dell’isola e nell’economia regionale.

Un’ultima cosa. Noi abbiamo chiesto, nella relazione che Andrea Fora ha fatto a nome di tutti, che nello Statuto sardo, così come nella Costituzione italiana, ci sia un riferimento preciso al ruolo e alla funzione della Cooperazione. Non lo vogliamo soltanto perché ci sia questo riconoscimento astratto, lo vogliamo perché lo Statuto sardo, nel riconoscere la funzione specifica della Cooperazione in Sardegna, deve far  seguire anche il secondo riferimento che c’è nella  Costituzione: che “la Repubblica italiana ne promuove e ne sostiene lo sviluppo”. Ed è questo che noi vogliamo ed è per questo che noi lavoriamo in piena sintonia per tutto quello che potremo fare con l’assessorato del Lavoro, di cui voglio ancora ringraziare il massimo rappresentante, l’assessore Franco Manca, e tutto il suo staff per quello che abbiamo fatto sino ad oggi e per quello che riusciremo a fare nei prossimi mesi.

 

 

Antonio Carta, presidente di Legacoop Sardegna

 

Sento il dovere di ringraziare l’Assessore per la promozione di questo seminario, che appunto abbiamo concordato essere il primo. Sono d’accordo anche con Lei che non dobbiamo esagerare a promuoverne altri.

Al secondo incontro cominceremo a tirar su un po’ del lavoro fatto e poi io mi auguro che la terza iniziativa sia quella pubblica di presentazione di un lavoro che conclude, insomma, un passaggio come questo. Lo dico nel senso che voglio ricordare anche che non è la prima volta che tutta la cooperazione sarda si riunisce per discutere di se stessa e del proprio ruolo.

La Regione ha già fatto due esperienze in questa materia, negli anni Settanta e Ottanta (Ennio Cirina, che ha qualche anno più di me ed ha vissuto quelle vicende da protagonista, si ricorderà le Conferenze della Cooperazione e quello che produssero quelle Conferenze). Voglio ricordare soprattutto quella degli anni Ottanta, che produsse la legge 16, cioè la legge sulla Cooperazione di produzione e lavoro.

Sono convinto che l’apporto dell’assessore Manca, il contributo che ci sta dando, il lavoro comune che stiamo tentando di impostare tutti insieme possa produrre, in questa fase particolare, delicata dell’economia nazionale e regionale, una normativa che è quella che stiamo chiedendo, una legge quadro che consenta alla cooperazione sarda di svolgere meglio il ruolo che già oggi svolge.

Lo dico perché  – voglio usare una figura retorica – io credo che la cooperazione, soprattutto in questi anni, negli ultimi due decenni, abbia fatto un po’ l’Avis, cioè il donatore di sangue.

Credo che sia venuto il momento che qualche trasfusione se la meriti, nel senso che abbiamo bisogno, in una fase come questa, nella quale – credo che nessuno di noi abbia bisogno di dimostrarlo – abbiamo, nella sostanza, mantenuto le posizioni.

Veniva ricordato prima da Andrea Fora che noi in questo periodo siamo addirittura aumentati non solo come numero di cooperative, ma anche come numero di addetti, e che c’è stato anche un incremento del fatturato. Nel complesso, quindi, rappresentiamo un elemento di stabilità e non di instabilità.

E voglio ricordare che nessuna cooperativa è fuggita. Oggi va di moda la delocalizzazione,  perché si va a ricercare la possibilità di spendere il meno possibile nel costo del lavoro, ma nessuna cooperativa ha deciso di delocalizzare. Siamo una realtà economica che ha una radice ben diversa da quella degli altri tipi di impresa, che cioè è legata al territorio in cui opera, che rappresenta di quei territori, di quelle comunità una parte fondamentale.

Lo diceva prima Sergio Cardia: ci sono comuni interi della Sardegna che hanno come unica impresa che lì opera, una cooperativa. C’è in quei comuni quella sola realtà di lavoro che rappresenta anche un momento di aggregazione sociale.

Allora, il valore di quel patrimonio, che Lei ricordava all’inizio, Assessore, cioè il capitale sociale, l’uomo, diventa in questo contesto, in una fase di crisi come questa, l’elemento che noi mettiamo a disposizione. Per questo parlo di donatori di sangue. Adesso vediamo se qualche trasfusione arriva anche a noi.

Ho voluto sottolineare questi aspetti perché sono dell’avviso che, tuttavia, ci sia da fare un percorso culturale da parte della classe politica di questa Regione perché comprenda che cosa è la cooperazione.

Io sono francamente alle volte allibito, lo dico in tutta tranquillità, del fatto che  la nostra classe politica spesso non conosca e non sappia che cosa è una cooperativa. Si fa  talvolta confusione,  e credo che tanti di voi se ne siano accorti, fra una cooperativa –  che è un ente che ha certamente quei valori che dicevamo, ma è anche uno strumento economico, che fa soldi –  e una qualsiasi associazione di volontariato. Non è così.

Fare un passo in avanti in questa direzione, comprendere che cosa è la cooperazione significa mettere in piedi una normativa, quella che abbiamo detto essere una legge quadro, in cui questo ente, che mette insieme e coniuga la funzione economica e la funzione umana, la funzione sociale, ottiene lì, in quella sede, in quella fase, in quel preciso luogo, il riconoscimento che merita.

Noi non abbiamo all’interno dello Statuto della Regione autonoma della Sardegna il riconoscimento che abbiamo nella Costituzione della Repubblica italiana. Lì dobbiamo arrivare. Ma già questo, già il fatto di scrivere una legge quadro che mette insieme queste questioni, e cioè ci riconosce per quello che siamo e ci assicura il funzionamento di tutte le leggi di settore che non rinneghiamo e che debbono restare, aggiornandole rispetto alla legislazione che è andata avanti, già questo, secondo me, sarebbe un successo non indifferente dell’Assessore, ma anche nostro e del fatto che lavoriamo insieme.

Per cui io non ci torno, ma lo strumento della Consulta, il tavolo fisso, chiamiamolo così, di rapporto politico-istituzionale fra il sistema cooperativo ed il sistema amministrativo regionale diventa quell’elemento che consente al mondo cooperativo non solo di avere riconosciuto un ruolo di governo dell’economia ma di avere anche la possibilità di incidere nelle scelte che la Regione adotta per governare l’economia.

Allora, detto questo, sono dell’avviso che noi abbiamo bisogno di questa cosa, abbiamo bisogno che si mantenga quel quadro legislativo. E lo aggiungo e lo riferisco anche a un aspetto che, a mio giudizio, non è secondario: e cioè che tutto il sistema legislativo sardo riconosce e attua attraverso sistemi di incentivazione l’aiuto alle imprese che non fanno parte del sistema cooperativo.

 Noi abbiamo la legge 16 dell’83, che prima abbiamo ricordato, l’altra 16 del ’97 e  la 5 del ‘57 che sono gli strumenti legislativi ad hoc. Ebbene, il fatto che proprio non si capisca che questi sono strumenti fondamentali  per il sistema cooperativo porta a quella cosa che abbiamo vista scritta in bilancio in questi giorni.

Perché se si vanno a guardare bene i conti, per queste tre leggi, che, ripeto, sono l’elemento fondamentale del sistema legislativo per la cooperazione, il legislatore ha messo un importo che è pari a 4 milioni e 600mila euro, cioè lo 0,067% dei 6 miliardi e 800 milioni di cui è composta la Finanziaria!

Non solo: ci è stato riconosciuto di essere stati i più bravi a mettere in piedi un Consorzio di garanzia fidi unitario, l’unico Consorzio fidi unitario in tutto il sistema economico regionale. Ma  a favore di questa struttura non è stanziato un euro. Agli altri consorzi si, a noi no.

Allora, io dico che lo sforzo che va fatto è quello di costruire una normativa  per cui non deve più accadere che il primo assessore al Bilancio, il primo presidente di Giunta che scende dal letto col piede sinistro decida che non dobbiamo avere soldi. Il fatto che noi diamo una mano all’economia della Sardegna e siamo presenti e forti in questa economia deve significare che abbiamo bisogno anche di un sostegno, peraltro più utile e indispensabile in una fase delicata come questa.

E abbiamo bisogno di affrontare il futuro sapendo che ci sono alcune sfide rispetto alle quali noi dobbiamo essere preparati. E dobbiamo essere contestualmente aiutati a superarle. Abbiamo bisogno di lavorare sull’Ambiente e sull’Energia,  che sono le vere sfide dell’immediato futuro. Abbiamo bisogno di lavorare su Innovazione e Ricerca. E qui entra la questione della formazione, in misura preponderante, se vogliamo, cioè l’aiuto che va dato al sistema economico, che, attenzione, non è riferibile solo al sistema cooperativo. Però,  noi lo sentiamo come un nostro dovere, come un bisogno.

E abbiamo alcune altre sfide. Per esempio, io sono convinto che noi siamo nella condizione di affrontare questo problema drammatico che è dato dallo spopolamento di una gran parte della Sardegna, delle zone interne della Sardegna, che produce non solo effetti devastanti per il crollo del numero degli abitanti in alcune zone, quindi poi l’accentramento in altri comuni che diventano sempre più grandi. Penso all’hinterland cagliaritano: ormai la metà della popolazione dell’isola è concentrata qui. Ma produce in quei paesi che si spopolano anche il crollo di valori umani, di rapporti umani. Produce, anche, per esempio, il venir meno,  in quei paesi che si spopolano, di tutti quei servizi essenziali per una comunità (la scuola, le poste, il medico, la farmacia e anche il bar). Tutti aspetti ai quali la cooperazione può dare una risposta.

Noi stiamo lavorando, per esempio, all’idea delle cooperative di comunità; lavoriamo, ci pensiamo. Può essere un’iniziativa che assieme, tutto il sistema cooperativo e la Regione,  possiamo costruire. Può essere una sfida. Siamo una di quelle regioni che più delle altre soffrono dell’invecchiamento della popolazione e alle quali più delle altre viene a mancare anche un riferimento certo per il futuro: i giovani.

Ecco, queste sono alcune cose. Abbiamo bisogno di lavorare pensando che dobbiamo costruire un tessuto che rafforzi quello che abbiamo: per esempio, i gruppi paritetici cooperativi. Abbiamo bisogno di lavorare  sulle iniziative che ricordava prima Mauro Iengo, e cioè i Contratti di rete di impresa. Possiamo lavorare in questa direzione. Abbiamo bisogno, infine, di fare uno sforzo, tutti assieme, per costruire progetti e per lavorare per progetti al fine di utilizzare al meglio le risorse della Comunità europea, che sono enormi e che sono gli unici soldi che la Regione Sardegna ha, se è vero quello che è scritto in bilancio. Ma non dubito che sia vero.

Allora, per concludere, noi abbiamo bisogno, attraverso questa legge, di costruire un rapporto con la Regione che sia reciproco, nel quale noi mettiamo a disposizione ciò che oggi siamo e le nostre capacità e la Regione mette a nostra disposizione alcune risorse per aiutarci a realizzare queste iniziative.

L’ultimissima questione, infine, è quella della Vigilanza, delle revisioni. È un problema delicato, me ne rendo perfettamente conto, perché noi non abbiamo competenza primaria, la competenza è in capo al Ministero. Si tratta, però, di un problema per il quale va trovata una soluzione.  

La presenza e l’esistenza di cooperative spurie, di finte cooperative, è prima di tutto un problema della Cooperazione, perché intorbida il mercato, perché non gli consente di essere trasparente, perché mette fuori gioco, talvolta, anzi molto spesso, le cooperative vere, quelle che rispecchiano e rispettano tutti i dettami della legislazione cooperativa.

Tutti sappiamo, insomma,  che le cooperative che sono messe così non sono quelle aderenti,  perché le centrali hanno un loro rigore, una loro logica, e, soprattutto, svolgono la revisione. Cioè, esercitano il controllo. Quelle non aderenti nessuno le controlla. Il Ministero, e mi rivolgo al dottor Morlupi, è anni che non fa ispezioni.

Allora, su questo è pensabile, è possibile addivenire ad un metodo che consenta alle centrali cooperative di svolgere queste funzioni di controllo anche sulle cooperative non aderenti? È una domanda che lascio qui.

 

 

Roberto Demontis,  presidente di Unci Sardegna 

 

Il mio intervento sarà molto breve, perché gli argomenti che avrei voluto affrontare nel corso di questo seminario sono stati ampiamente illustrati dai relatori che mi hanno preceduto: Andrea Fora, che ha parlato a nome di tutte e cinque le Centrali, il presidente di Agci Sardegna, Sergio Cardia, ed il presidente regionale di Legacoop, Antonio Carta.

Voglio però approfittare di questo incontro, per dare il giusto rilievo alla grande attenzione che l’Assessore regionale al Lavoro ha dimostrato nei confronti del movimento cooperativo, ed alla volontà da lui manifestata di capire quali siano le esigenze delle nostre imprese, soprattutto in una situazione di crisi come quella che stiamo affrontando in questo momento. Difficoltà che comunque il movimento cooperativo cerca di superare dimostrando, nonostante tutto, di costituire una presenza di vitale importanza nell’economia dell’isola.

Ritengo però che sia importante, in questa occasione, dopo avere sentito i rappresentati delle Centrali operanti nell’isola, sentire gli interventi diretti dei nostri operatori, che convivono quotidianamente con tutta una serie di difficoltà e possono quindi con le loro parole dare un contributo importante alla riuscita di questa iniziativa.

 

 

Giannarciso Fanni, presidente di Unicoop Sardegna

 

Nell’ambito della proposta unitaria presentata oggi dalle cinque Associazioni , mi sia consentito sottolineare brevemente come diventi indispensabile l’adozione di una legge quadro di riferimento volta a modernizzare la funzione sociale e il ruolo economico del sistema cooperativo che non  possa non tener conto di un modello economico di buona cooperazione.

Ciò al fine anche di realizzare, consolidare, visti i dati che abbiamo, un movimento cooperativo regionale che abbia, come modello di riferimento, un’impresa cooperativa moderna, in grado di essere  e di creare non solo ricchezza,  attraverso il coinvolgimento diretto dei propri soci lavoratori nella gestione, ma anche di promuovere lo sviluppo locale e la riduzione delle disuguaglianze.

Tutto ciò all’interno soprattutto di un sistema trasparente tendente a promuovere effettivamente  le aziende più meritevoli, ovvero quelle che, oltre all’osservanza dei requisiti previsti di riferimento, riesca contestualmente a sviluppare un programma di consolidamento e di potenziamento aziendale volto alla modernizzazione ed alla maggiore produttività della stessa impresa.

Modernizzazione che si attua, tutti lo sappiamo, innanzi tutto attraverso l’innovazione tecnologica dei processi produttivi, ma con particolare attenzione alla necessità della salvaguardia ambientale. Tutto ciò in una prospettiva di sviluppo sostenibile.

Certo, siamo tutti consapevoli, che quanto appena detto, possa trovare tutti d’accordo. Ma poi l’applicazione pratica incontra innumerevoli punti di criticità legati principalmente ad interessi  di natura prettamente economica e politica.

È ora che queste problematiche vengano affrontate e risolte in tutte le forme e rappresentazioni. Perché c’è in gioco la fruibilità del futuro delle giovani generazioni di cooperatori. E c’è in gioco anche la salvaguardia del livello di qualità della vita delle generazioni attuali di cooperatori.

È auspicabile  che si prenda in seria considerazione l’esigenza di valorizzare in concreto il capitale umano.

È necessario dare con urgenza risposte innovative e concrete e soluzioni pragmatiche a tutti i livelli. Concludo questo mio breve intervento ringraziando l’assessore Manca,  i funzionari e i dirigenti dell’Assessorato per l’opportunità che è stata concessa al movimento cooperativo regionale  con la  scrupolosa organizzazione di questo seminario