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Dal Savoia Marchetti alla tecnologia del jet

 

di Gherardo Gherardini

Aeroporto di Elmas, anno 1929: costruzione dell'hangar Savigliano 100, ancora oggi, in piena efficienza
Aeroporto di Elmas,  1929:
costruzione dell'hangar Savi-
gliano 100, ancora oggi, dopo
più di 70 anni, operativo
Di come collegare per via aerea la Sardegna con la penisola si è parlato e scritto fin dal tempo delle ascensioni aerostatiche, nell’Ottocento, quando vennero tentate tutte le strade per poter rendere dirigibili i palloni gonfiati con gas ad idrogeno. Di fatto, non si approdò a nulla, mentre altrove i servizi aerei cominciarono presto: in Germania, tra il 1912 ed il 1913, i primi Zeppelin trasportarono 19.100 passeggeri, percorrendo centomila chilometri senza un solo inconveniente. Negli Stati Uniti, dal gennaio 1914, per 5 dollari si poteva andare in volo da San Petersburg a Tampa, in Florida.

Finita la guerra mondiale, tutti i paesi aprirono rotte commerciali o sperimentarono con i raid la possibilità di realizzare collegamenti col nuovo mezzo.

In Italia, le prime linee furono inaugurate soltanto nel 1926: iniziative private (Cosulich, Fiat) che godevano di lauti finanziamenti pubblici. Stando così le cose, l’allora ministro dell’aria Italo Balbo decise che lo Stato le dovesse gestire da sé e fondò la Società Aerea Mediterranea (Sam), cui furono assegnate due tratte: inizialmente per l’Albania e successivamente, su pressione di ambienti economici e politici isolani, anche per la Sardegna. Balbo nominò il famoso aviatore Francesco De Pinedo presidente della neonata società e “Franzetiello”, come veniva chiamato De Pinedo per sottolinearne la napoletanità ed anche la modesta statura, accettò di partecipare al primo volo.

 

Primi progetti e tentativi

 

Idroscalo di Elmas, 13 febbraio 1927: il Savoia Marchetti S55
Idroscalo di Elmas, 13 febbraio 1927: il Savoia Marchetti S55 "Santa Maria" prima del decollo per il volo transoceanico verso le Americhe
Si avverava così un sogno lungamente perseguito. Già nella seconda metà dell’Ottocento, padre Vittorio Angius aveva cercato di risolvere il problema del trasporto aereo dei passeggeri dalla penisola alla Sardegna e viceversa, progettando due dirigibili caratterizzati da alcune originali soluzioni, che sarebbero state riprese più tardi. Dopo di lui, altri tentarono senza fortuna la strada dell’aria. Nel 1917, la Banca commerciale italiana e la fabbrica di idrovolanti Savoia Marchetti idearono di costituire una società per il collegamento aereo con le isole, ma l’iniziativa cadde nel vuoto per l’opposizione del governo.

L’anno seguente fu la volta dello scultore sardo Pietrino Soro, che varò un progetto analogo e si diede da fare per ottenere l’indispensabile finanziamento. Raccolse soltanto 18 mila lire e finì per rimetterci la sua quota e quella del cavaliere Enrico Costa e del maggiore Vittorio Demuro, che era stato il primo pilota sardo. Soro venne anche trascinato in giudizio e, dopo l’infelice esperienza, dichiarò solennemente di non voler più sentir parlare d’aviazione.

Negli anni Venti, la necessità di un regolare servizio di trasporto aereo tra la terraferma e le due isole maggiori venne sostenuta da Umberto Nobile, il primo trasvolatore del polo Nord. Ma, anche questa volta, non si andò oltre le intenzioni.

Lido
Lido di Ostia, 1928: l'idrovolante Savoia Marchetti S55 si prepara al decollo per l'idroscalo di Cagliari
All’importante traguardo si giunse solo nel 1926, quando venne inaugurata la linea Torino-Trieste, che peraltro non interessava le isole. I motivi di questo ritardo furono molteplici, ma il principale andava ricercato nello spirito di smobilitazione che pervase l’Italia all’indomani della grande guerra e che portò alla dispersione sia dei velivoli che dei piloti e degli specialisti. Solo più tardi si corse ai ripari, grazie all’appassionata e tenace opera di Italo Balbo, che in pochi anni riuscì non solo a recuperare il tempo perduto, ma a portare l’aviazione italiana all’avanguardia nel mondo.

Ed ecco rispuntare Pietrino Soro: aveva fondato una società che portava il suo nome, la Soro, ed a cui era in qualche modo legato anche l’oristanese Ernesto Campanelli, che durante la guerra 1914- 18 era stato motorista di Francesco De Pinedo in una squadriglia di idrovolanti che operava nel basso Adriatico. Ad effettuare il collegamento con la Sardegna avrebbe dovuto essere un velivolo con scafo centrale in costruzione alla Macchi di Varese e capace di trasportare, oltre al pilota ed al motorista, otto passeggeri e mille chili di merce. Venne anche fissato il prezzo del biglietto: 200 lire, poco più del viaggio per mare in prima classe. Il volo inaugurale fu annunciato più volte dalla stampa, ma l’aereo non giunse mai. Amareggiato e deluso, Pietrino Soro scomparve per sempre dalle cronache aeronautiche.

 

Il sogno si avvera

Il Dornier X
Il Dornier X "Umberto Maddalena" ormeggiato nel porto di Cagliari nel 1933, in occasione di una visita in città del Principe di Piemonte. Di fabbricazione tedesca, il Dornier X (48 metri di apertura alare!) fu acquistato dalla Regia Aeronautica in due esemplari
Il 21 aprile del 1928, data del primo collegamento aereo tra la Sardegna e la penisola, tutto questo era ormai dimenticato. In quel giorno, infatti, dopo che se n’era parlato per qualche anno, tra anticipazioni e rinvii, venne finalmente inaugurato il primo collegamento Ostia-Elmas, in contemporanea alla linea Brindisi-Valona. Lo gestiva la citata società Sam, di cui era presidente, ricordiamo, il napoletano De Pinedo. L’aereo del primo volo, un idrovolante Savoia Marchetti 55, poteva trasportare, oltre all’equipaggio, 8 passeggeri con 15 chili di bagaglio ciascuno. In pratica, quando capitò, trasportò anche il doppio delle persone consentite.

Il velivolo si alzò su una folla di persone in festa, compì un largo giro e puntò sul mare verso Olbia, che allora si chiamava Terranova. Faceva da battistrada, con un più veloce S 59, lo stesso De Pinedo. Un’ora dopo, i piloti Salminci e Berardi compirono l’ammaraggio ad Olbia. Fatto rifornimento, dopo altri novanta minuti il velivolo sorvolava Cagliari ed ammarava nello stagno, ormeggiandosi a Cala Imbarcadroxiu. Con degli autobus, i passeggeri raggiunsero il capoluogo. La tariffa del viaggio intero era di 300 lire; la prima tratta costava 180 lire, la seconda, quella da Olbia a Cagliari, 130.

Il
Il Savoia Marchetti S66 della Compagnia Ala Littoria
in servizio, negli anni Trenta,  sulla linea Roma-Porto
Conte- Barcellona
Allo sviluppo del trasporto aereo fra Ostia e lo scalo cagliaritano contribuirono senz’altro, oltre alla “voglia di volare” dei sardi, il senso di sicurezza dato dalla regolarità dei voli del Savoia Marchetti S55, che inalberava sugli scafi una vistosa scritta “Linea aerea Ostia Cagliari” ed il comfort che offriva anche grazie ai piloti, che fornivano cuscini ai passeggeri ansiosi. Rassicurava anche il fatto, come raccontano le cronache dell’epoca, che, per tutto il viaggio, il radiotelegrafista si tenesse in contatto con le basi per «fornire informazioni sul volo e scambiare saluti». Il volo si svolgeva spesso a 300 metri di quota, seguendo la rotta della costa orientale della Sardegna orientale e compiendo il balzo sul mare da Olbia.

Pochi mesi dopo il volo inaugurale, da Sesto Calende giunse l’idrovolante I-AABF, che avrebbe assicurato per molti anni il regolare collegamento tra la Sardegna ed Ostia. Una puntualità così perfetta da indurre l’Unione Sarda a scrivere che i cagliaritani regolavano l’orologio al passaggio dell’aereo di linea alle 8,30 ed alle 11 del mattino.

Idroscalo di Elmas, 1937: il CANT Z 506 I-LAMA decolla per il volo transatlantico verso il Brasile
Idroscalo di Elmas, 1937: il CANT Z 506 I-LAMA
decolla per il volo transatlantico verso il Brasile
ll successo fu immediato. Già al primo viaggio di ritorno, 14 persone si presentarono per occupare gli otto posti disponibili: furono imbarcate lo stesso. L’aereo partì ed a Terranova accolse addirittura altri tre passeggeri, portando a destinazione più del doppio del carico previsto. Tanto fu il consenso che, appena sette mesi dopo quel 21 aprile, la linea da bisettimanale si trasformò in trisettimanale, per diventare giornaliera entro il primo anno di esercizio.

Nel 1929, lo scalo di Terranova fu soppresso, mentre la linea, due volte alla settimana, fu estesa a Tunisi. Otto anni dopo, la Cagliari-Ostia ebbe di nuovo una tappa intermedia, rappresentata dalla vasta e sicura rada di Porto Conte presso Alghero.

Cinque anni dopo, nell’aprile del 1934, gli “S 55” lasciarono il posto ai più veloci e capienti trimotori “S 66”. Ottime macchine che, peraltro, non raggiunsero mai l’affidabilità e la sicurezza dei benemeriti “S 55”, alle cui doti di stabilità e di robustezza si deve se i sardi accettarono subito di volare. Macchine che, con gli uomini che le guidavano, resero possibile una regolarità di voli pari al 97 per cento, impensabile anche ai giorni nostri. Da aprile a dicembre del 1928, si contarono 140 voli con 1.055 passeggeri; nel 1929, i voli furono 657 ed i viaggiatori oltre cinquemila.

Anno 1938: una coppia di biplani militari I-RO della Regia Aeronautica sorvola la laguna di Elmas. L'aereo in primo piano è pilotato dal generale Aldo Costa, allora giovane tenente
Anno 1938: una coppia di biplani  I-RO della Regia
Aeronautica sorvola la laguna di Elmas. L'aereo in
primo piano è pilotato dal generale Aldo Costa,
allora giovane tenente
Negli anni seguenti, l’aviolinea fu sempre più frequentata. Nel 1937, per esempio, si registrarono ben 9.748 presenze, che misero la tratta al primo posto assoluto in Italia (la Roma-Milano seguiva con 8.958 passeggeri e tutte le altre stavano molto più indietro). Fino alle soglie del conflitto 1939-45, sulla Cagliari-Ostia volarono mediamente diecimila passeggeri all’anno.

Si era compiuto il miracolo: mentre le onde del Tirreno scivolavano via velocemente sotto le ali degli idrovolanti Savoia Marchetti, i sardi superavano in volo la distanza millenaria tra la costa laziale e l’isole dei nuraghi.

Improvvisamente, piroscafi e velieri apparivano decisamente superati. Basti pensare che, in quello storico 1928, per andare via mare da Cagliari a Roma, passando per Terranova, occorrevano 20 ore, che diventavano addirittura 22 con la linea trisettimanale Cagliari-Civitavecchia. Senza dire dei disagi cui, tranne qualche raro giorno di bonaccia, andava incontro chi intendeva raggiungere la penisola: notti insonni nei cameroni comuni di terza classe e snervanti dondolamenti, che provocavano un terribile mal di mare, con relativi annessi e connessi.

Aeroporto di
Aeroporto di Monserrato, Scuola di volo della Runa
(Regia Unione nazionale aeronautica), anno 1938:
accanto a un Caproni 100 si riconoscono, da sinistra,
Marino Cao (il primo), Vittorio Minio Paluello (terzo),
Aldo Costa (ultimo, a destra)
Poi giunse la guerra. Elmas si allargò, diventando aeroporto di prima linea, luogo di stazione o passaggio di stormi e squadriglie. I voli civili si diradarono, poi vennero effettuati solo da Olbia, in ore notturne, ed infine cessarono. Dalla Sardegna si operò contro Gibilterra e contro le navi inglesi e si tentò di contrastare lo sbarco alleato in Tunisia e Sicilia. In tre anni passarono nell’aeroporto cagliaritano, partendo per azioni di guerra, personaggi i cui nomi sono entrati nella storia. Dall’alba al tramonto era un alveare di motori e velivoli che andavano, combattevano, tornavano, venivano rappezzati alla meglio e ripartivano con le bombe o con i siluri agganciati nella parte inferiore.

 

Il dopoguerra

Anno 1946: solo macerie e rottami in un’Italia devastata dalla guerra. I porti impraticabili per le decine di scafi semisommersi, rovesciati. I mari infestati dalle mine vaganti sradicate dai campi minati e mosse da un’insidiosa deriva. Buona parte degli aeroporti ridotti a spiazzi inutilizzabili, disseminati di buche.

In questo quadro, quasi tutti i collegamenti regolari con l’isola furono inevitabilmente cancellati, con gravissime conseguenze. La mancanza di un tessuto industriale e l’interruzione dei collegamenti ricacciano la Sardegna in una sorta di età della pietra: si fabbrica il sapone coi fichidindia, si chiodano le scarpe di pelle non conciata con spine e punte di legno, si accende il fuoco con l’acciarino, si riparano gli strappi sugli abiti con fili stramati dai tessuti e con fibre vegetali.

In quel tragico palcoscenico ci fu chi pensò alla resurrezione e avviò due progetti apparentemente assurdi: creare una compagnia di trasporti aerei ed una società per la navigazione marittima. Nacquero così, con i soldi “raccattati” su una piazza entusiasta, la Sardamar e l’Airone. Vennero vendute cinquantamila azioni, tutte da mille lire. Fra i promotori, ricordiamo Vittorio Minio Paluello, già direttore delle saline Contivecchi e contitolare della Micopori, appassionato aviatore; Marino Cao, industriale del legno, Andrea Borghesan e Sante Boscaro, tutti aviatori dell’Aero Club. E ancora: Mario Azzera, Sebastiano Pani, Enrico Pernis e Giorgio Sisini, fondatore della “Settimana Enigmistica”.

L’Airone fu la prima compagnia aerea italiana del dopoguerra. Nata sull’aeroporto di Monserrato, derivava il suo nome dagli eleganti volatili migratori che sin da allora popolavano lo stagno di Molentargius.Un capitolo importante, che si sarebbe rivelato decisivo per la vita della società, fu quello della scelta dei velivoli. Dopo un primo, infruttuoso tentativo di ottenere dall’Inghilterra velivoli De Havilland ad otto posti (i britannici pretendevano soldi contanti), giunse l’offerta di uno stock di Douglas DC3 residuati bellici. Questi aerei, noti come Dakota, durante tutto il conflitto ed in ogni condizione di impiego e di carico, si erano comportati in maniera così eccellente che i loro equipaggi li idolatravano. Più di una volta erano riusciti a stare per aria con le ali spezzate o lesionate e ad atterrare su fazzoletti di terra sconvolti dalle cannonate.

La bontà delle macchine non era, dunque, in discussione. Ogni velivolo veniva offerto per sole cinquecentomila lire. Occorreva, però, riadattarlo all’impiego civile, revisionarlo, irrobustirne i longheroni delle ali, affaticati da migliaia di voli con ogni tempo. Alla fine, il prezzo dell’aereo sarebbe risultato triplicato, forse anche di più, ma sarebbe sempre stato un ottimo affare.

 

Airone senza ali

L'aeromobile I-AIRN
L'aeromobile I-AIRN "Gallura", uno dei quattro Fiat G12 acquistati dalla Compagnia trasporti aerei "Airone"
Era scritto, però, che l’Airone non potesse disporre dei DC3. L’opzione che li riguardava venne, infatti, a cadere. Vediamo il perché. Circa un anno e mezzo dopo la creazione della compagnia, in Italia si costituì una grossa società finanziata dagli americani – la Lai – che intendeva gestire il trasporto aereo nel nostro paese. Gli inglesi chiesero di parteciparvi ma, non essendo stati accettati, diedero vita ad un altro forte gruppo: l’Alitalia.

Per non essere schiacciata dalle due società, che erano in grado di esercitare pesanti pressioni politiche, la compagnia sarda si risolse ad investire oltre la metà del suo capitale (30 milioni) nell’acquisto di azioni dell’Alitalia. Di conseguenza, l’Airone si trovò nell’impossibilità di comprare i Dakota dagli americani e dovette ripiegare su alcuni trimotori Fiat G 12 L. Si trattava di macchine robuste e sicure, ma dispendiose nei consumi e nella manutenzione. Pochi mesi più tardi, infatti, si rese necessario sostituire i motori Fiat con i Pratt Withney americani, più affidabili e più economici nel consumo del carburante.

Ma il colpo mortale all’Airone era stato vibrato già prima dell’inizio del servizio, avviato il 15 aprile 1947. La compagnia aerea aveva ricevuto una comunicazione dal ministero dell’Aviazione civile in cui si chiariva che la concessione della linea Cagliari-Roma dovesse intendersi come Cagliari-Alghero-Roma. Il provvedimento, adottato per evitare la concorrenza della Lai, cui era stata assegnata la tratta diretta, comportò per l’Airone gravi problemi: tempi di volo allungati, maggiori consumi, un atterraggio ed un decollo in più, personale anche nello scalo di Alghero. Le tariffe, però, non subirono alcuna modifica. In tal modo, ad onta del suo lungo collo, l’Airone sardo fu strangolato. Inoltre, mentre gli aerei della Lai erano costati due soldi, i Fiat in dotazione all’Airone costavano più di un’intera flotta di DC3: 28 milioni e mezzo.

Malgrado tutto questo, alla fine del primo anno, l’Airone aveva trasportato oltre 12 mila passeggeri senza il minimo inconveniente. Il servizio era iniziato “ereditando” i passeggeri dei “corrieri militari”, ai quali si chiedeva il passaggio da e per l’isola. La flotta era costituita, come detto, da quattro Fiat G 12 da 20 posti, acquistati dalla fabbrica torinese ed immatricolati con le siglie I-AIRE “Barbagia”, I-AIRO “Logudoro”, I-AIRN “Gallura” e I-SASS, che collegavano il capoluogo sardo con Roma in 90 minuti e con Milano in 180 minuti.

La compagnia sarda attivò anche altre linee, estendendo la sua rete fino a quasi 5 mila chilometri, ma ciò non bastò per portare il bilancio in attivo.

La sede di Milano pesava eccessivamente sulle spese della piccola compagnia: spese di rappresentanza ed una serie di noleggi di aerei, per trasporti di merce tra Milano e diverse località europee, decisi con iniziativa personale del responsabile di quell’ufficio ed al di fuori da qualsiasi preventiva autorizzazione del consiglio di amministrazione.

Ci fu un altro errore di partenza e Marino Cao lo puntalizzò in un articolo pubblicato su un quotidiano locale: l’appartenenza a “continentali” della maggior parte del capitale. Più esattamente, gli azionisti della Sardegna rappresentavano 11 milioni e 765 mila lire; gli azionisti della penisola detenevano azioni per 38 milioni e 235 mila.

Poco dopo, davanti all’estendersi delle due grandi compagnie Alitalia e Lai (ambedue erano al 40% Iri ed al 20% di privati, mentre il restante 40% era, per la prima, della Boac inglese e, per la seconda, della Twa statunitense), quattro società minori decisero di riunirsi per reggere meglio alle spallate della concorrenza. Oltre all’Airone, erano la Sisa, la Transadriatica e la Ali del gruppo Fiat. In realtà, fu quest’ultima ad assorbire le altre tre, in una nuova società che si chiamò Ali Flotte Riunite. Un anno dopo, un suo G 12 incorse nella tragedia di Superga, dove persero la vita i giocatori del Torino; poi, attraversò una crisi finanziaria che la indusse a chiudere alcune linee internazionali. Alla fine del 1949 fu posta in liquidazione.

I quattro G 12 dell’Airone, ai quali si era aggiunto il nuovissimo G 12 LP, finirono i loro giorni come aule volanti dell’aeronautica militare, e della compagnia sarda non si parlò più.

 

Dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta

Un Fokker 28 dell'Itavia sulla pista di Elmas, nei primi anni Settanta
Un Fokker 28 dell'Itavia sulla pista di Elmas, nei primi anni Settanta
Negli anni Cinquanta i collegamenti furono garantiti dalla “triade” Alitalia, Ati ed Itavia, che videro comparire all’orizzonte del decennio successivo un nuovo vettore: l’Alisarda. Compagnia aerea a capitale interamente privato, fu costituita nel marzo del 1963 per iniziativa del principe Aga Khan, con lo scopo iniziale di favorire lo sviluppo dell’attività turistica in Costa Smeralda, nella Sardegna nord-orientale, fino ad allora servita solo via mare. Un anno dopo, la compagnia iniziò la sua attività dall’aeroporto di Olbia-Venafiorita, operando con aeromobili Beechcraft C-45 ad otto posti e nel primo anno trasportò 186 passeggeri. Nel 1966, acquistati due Nord 262 a 26 posti, Alisarda inaugurò i collegamenti da Roma e da Milano per Olbia, trasportando 5.640 passeggeri. Nel 1968, fu superata la soglia dei 20 mila passeggeri trasportati.

Con il progressivo aumento del traffico turistico verso la Sardegna, Alisarda effettuò nuovi investimenti: i Nord 262 furono sostituiti con i Fokker 27 e la pista di Venafiorita, fino ad allora in terra battuta, fu adeguata alle nuove esigenze e ricoperta in cemento e bitume. Nello stesso tempo, venne ampliata anche la rete dei servizi, che si estendeva ad altri scali quali Cagliari, Genova, Torino, Bologna e Pisa.

Nel 1974, i Fokker 27 furono sostituiti con due DC9-14, che entrarono in linea contestualmente all’apertura del nuovo aeroporto di Olbia-Costa Smeralda. Nell’ambito delle nuove strutture aeroportuali, Alisarda realizzò un grande hangar con sofisticate attrezzature, che consentirono alla Compagnia di attuare autonomamente l’assistenza tecnica – con tecnici in maggioranza sardi – ai propri aerei. Negli anni a seguire, la flotta aerea aumentò progressivamente e nuove rotte furono via via concesse.

Nel 1989 fu resa operativa la Geasar spa (Gestione aeroporti sardi), la società che tuttora gestisce l’aeroporto di Olbia e della quale la Compagnia, attualmente, detiene il 79,79% del capitale. Nel maggio di due anni dopo, l’assemblea straordinaria degli azionisti, tenuto conto della nuova realtà che vedeva l’Alisarda ormai impegnata anche in ambito europeo, deliberò il cambiamento della ragione sociale in Meridiana spa. Fu rinnovata anche l’immagine grafica, adottando il nuovo simbolo societario, e sottoscritta una convenzione con il ministero dei Trasporti, grazie alla quale la neonata società vide ulteriormente consolidata la propria posizione in ambito nazionale ed europeo.

Un aereo Islander della Compagnia Air Sardinia sulla pista di Tortolì
Un aereo Islander della Compagnia Air Sardinia
sulla pista di Tortolì
Pochi anni prima aveva fatto la sua comparsa, nel panorama aereo regionale, l’Air Sardinia di Corrado Corrias. Il 18 giugno 1987 si svolse il viaggio inaugurale da Tortolì a Cagliari, una linea che registrò un successo insperato. In un solo mese furono trasportate 1.500 persone, entro la fine dell’anno i passeggeri ammontarono a più di 5.000.

Con queste premesse, a meno di un anno dalla nascita, la Compagnia sarda raggiunse una serie di traguardi importanti: l’inizio dei collegamenti trigiornalieri Cagliari-Tortolì, i collegamenti bigiornalieri Cagliari-Alghero e Cagliari-Olbia, il completamento dell’organico piloti e copiloti, lo staff degli impiegati di scalo e delle hostess, l’acquisizione dei locali biglietteria e centraggio nell’aerostazione di Elmas, l’aper­tura di un ufficio operativo e di rappresentanza nel capoluogo cagliaritano. Parallelamente, nella base di armamento di Tortolì, dopo aver acquisito l’aeroporto della Cartiera di Arbatax, l’Air Sardinia provvide alla realizzazione degli impianti per le radiocomunicazioni, per l’illuminazione della pista e per il radiofaro, acquistò i mezzi antincendio ed allestì l’officina di manutenzione, con un fornito magazzino ricambi.

Un lavoro organizzativo ed un impegno finanziario non indifferenti, anche perché sostenuti direttamente dai soci, senza alcun intervento di danaro pubblico. Finchè operò, la Compagnia proseguì nel programma di rafforzamento delle linee aeree sarde interne, per consentire ad un’ampia fascia di utenza di raggiungere i maggiori aeroporti sardi in coincidenza con i voli Alitalia-Ati-Alisarda per altre destinazioni, per effettuare voli charter per conto di organizzazioni turistiche internazionali interessate a dirigere la propria clientela in Sardegna e, infine, per collegare altre località, la cui potenzialità di traffico non appariva tale da richiamare i velivoli di maggiore capacità.

Sempre negli anni Ottanta, per conquistare maggiori fasce di utenza, l’Ati concesse una riduzione sulle tariffe per le linee con la Sardegna che arrivò al 30 per cento. L’impegno si rivelò talmente oneroso che, per ripianare il deficit, la Compagnia di bandiera chiese, e la Sardegna rispose positivamente, di eliminare lo sconto per i non residenti, salvaguardando il trattamento privilegiato soltanto per coloro che abitavano nell’isola e per gli emigrati.

 

Fine delle agevolazioni

Un cargo Lockeed 200 della Compagnia francese ICS e DC 9 Alitalia sulla pista di Elmas, in occasione dei campionati del  mondo di calcio del 1990
Un cargo Lockeed 200 della Compagnia francese ICS
e un DC 9 Alitalia sulla pista di Elmas, in occasione 
dei campionati del mondo di calcio del 1990
Ma il decennio successivo segnò la fine delle agevolazioni anche per i sardi. Infatti l’Ati, non ricevendo più sovvenzioni, avviò un graduale piano di rientro, che prevedeva la progressiva eliminazione dello sconto per i residenti. Un taglio graduale: il dieci per cento in meno nel ’92, il doppio nel ’93, il triplo (cioè l’intero sconto) nel ’94.

La decisione fu presa anche a causa dell’entrata in vigore della norma che faceva divieto agli stati membri della Cee di elargire sovvenzioni finanziarie ai vettori. La revisione del regime non fu mai formalmente comunicata alla Regione, perché esprimesse il parere previsto dalla legge: le fu solo chiesto se intendesse farsi carico delle sovvenzioni non più erogate dallo Stato. La risposta fu “no”, seguita dalla richiesta all’Ati di una dilazione nella cancellazione del prezzo di favore.

Da allora, le tariffe applicate nei trasporti aerei da e per la Sardegna non previdero più differenze rispetto a quelle delle altre regioni. I sardi, insomma, non solo non avevano la continuità territoriale, ma per spostarsi erano costretti a prendere l’aereo a prezzi da capogiro.

Come per un paradosso, la causa di quella situazione risiedeva nella deregulation aerea, che avrebbe dovuto favorire la nostra isola e che, invece, l’aveva vieppiù allontanata dal mercato dei cieli. Era infatti successo che la Comunità europea, con l’emanazione del Regolamento 2.408 del 1992, aveva dettato le norme per i servizi di trasporto aereo nell’area dei paesi membri, on lo scopo di eliminare il monopolio sulle tratte interne esercitato dalle compagnie di bandiera.

Così, con quel Regolamento, nacque il principio secondo cui a ciascuna compagnia aerea operante nella Comunità era consentito coprire qualsiasi tratta all’interno dell’area comunitaria.

Tuttavia, come detto, la deregulation dei servizi di trasporto aereo, entrata in vigore nell’aprile del 1997, non ebbe in Sardegna gli attesi benefici: la concor­renza tra i vettori non produsse infatti il miglioramento dei servizi, né il ribasso delle tariffe che ci si aspettava e che avrebbe dovuto bilanciare la scomparsa dello sconto per i residenti. I due vettori che effettuavano i collegamenti tra l’isola e le principali città della penisola, lungi dal farsi concorrenza, si spartirono semplicemente le tratte: dove era presente l’uno, era assente l’altro. Perciò, di fatto, Meridiana ed Alitalia finirono per esercitare un potere di monopolio, ciascuna nel proprio ambito, ostacolando l’ingresso di altri concorrenti.

 

Verso la continuità territoriale

Aeroporto Olbia-Costa Smeralda, giugno 1990: un DC 9 dell'Alisarda e un ATR 42 dell'Avianova, parcheggiati nell'air side
Aeroporto Olbia-Costa Smeralda, giugno 1990:
un DC 9 dell'Alisarda e un ATR 42 dell'Avianova,
parcheggiati nell'air side
In questa situazione furono accolti con grande favore, nel 1999, i primi passi compiuti verso la realizzazione di un sogno antico: la continuità territoriale. Per iniziativa di alcuni deputati della Sinistra, in accordo con l’assessorato regionale dei Trasporti, venne presentato in Parlamento un disegno di legge sulla continuità territoriale Sardegna-Continente. Il 12 maggio la proposta, già approvata dalla Camera dei Deputati, fu approvata in via definitiva anche dal Senato e divenne pertanto, a tutti gli effetti, legge dello Stato.

Dalle compagnie aeree, per tutta risposta, altri rincari. E, penalizzazione estrema per la Sardegna, lo spostamento dei voli da e per Milano all’aeroporto di Malpensa. Sul fronte prezzi, particolarmente pesante la mazzata degli aumenti per il trasporto mer­ci in tutte le fasce commerciali, senza tener conto, ancora una volta, dell’insularità della Sar­degna. Le tariffe furono infatti fissate in maniera identica su tut­to il territorio nazionale e vennero anche meno alcune corsie preferen­ziali che privilegiavano i rapporti com­merciali tra Sud e Nord Italia.

Tutto questo mentre la Sardegna si presentava sempre più tagliata fuori dalle reti tran­seuropee, concepite per avvicinare le periferie del Vecchio Continente e di­venute nei fatti un agente di emargina­zione.

Una situazione paradossale, che vedeva l’aeroporto di Malpensa 2000 – bestia nera dei passeggeri sardi e odia­tissimo successore dello scalo di Linate – catalizzare i finanziamenti europei che avrebbero dovuto avvicinare l’isola alla terraferma. Così paradossale da spingere il consigliere regionale diessi­no Paolo Fois a scrivere al Parlamento europeo, chiedendo l’intervento del­l’Assemblea per sanare uno stato di cose «incompatibile con i principi ispi­ratori del diritto comunitario». Un’eu­robeffa in piena regola, alla quale Fois chiedeva – su carta intestata del Consiglio regionale – una pronta riparazione. Il legislatore, spiegava il documento, aveva come stella polare «la necessità di col­legare alle regioni centrali della Comu­nità quelle insulari, prive di sbocchi al mare e periferiche. Il suindicato obietti­vo, totalmente da condividere, non ha purtroppo impedito che, paradossal­mente, proprio a seguito dell’apertura di Malpensa 2000, si sia delineato un progressivo peggioramento nei collega­menti aerei da e per la Sardegna, con conseguenti gravi disagi per i moltissi­mi cittadini residenti od operanti nell’isola che devono utilizzare frequente­mente il mezzo aereo».

In quello stesso periodo, alla faccia del principio di coesione – quello che dovrebbe fare della Co­munità un contrappeso degli svantaggi strutturali di alcune aree – i sardi inghiottirono una sfilza di rospi: si co­minciò con l’anticipo del primo volo da Alghero per Milano e per Roma, si proseguì con la dilatazione di un’ora del tempo necessario per arriva­re al capoluogo lombardo e si finì con la sostituzione degli MD 80 di Fer­tilia con gli Atr‑ 42.

Per Paolo Fois, quest’ultimo episo­dio puzzava non solo di ingiustizia, ma anche di tranello: «Appare fondamentale configurare la citata recente decisione come uno degli ultimi anelli di una strategia che, attraverso il ricorso ad in­tese o pratiche concordate vietate dal diritto comunitario, tenderebbe a con­centrare il traffico aereo sui due altri aeroporti dell’isola (Cagliari e Olbia), dando così vita a una “ripartizione del mercato” tra le due compagnie aeree (Alitalia e Meridiana) che detengono oggi una posizione dominante nei col­legamenti aerei da e per la Sardegna».

Mentre in Europa si predicavano coesio­ne e concorrenza, i sardi continuavano a galleggiare fra emarginazione e monopolismo.

Ma le proteste che quasi quotidiana­mente si levavano dall’isola non furono ascoltate con grande attenzione dalle compagnie ae­ree. Come dire: prendere o lasciare.

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Aeroporto di Elmas, settembre 2003: il tunnel aereo
di collegamento fra autosilos e nuova aerostazione
I primi segnali che qualcosa stava iniziando a cambiare si ebbero con l’anticipo di liberalizzazione dei cieli scattata nel mese di maggio di quello stesso 1999, con la presentazione del piano di collegamento della giovane compagnia aerea “Volare Airlines”, una società nata su iniziativa di un gruppo di imprenditori veneti, partecipata per il 34 per cento dalla Swissair. A due “Airbus A 320”, capaci di trasportare 180 passeggeri, fu affidato il compito di rompere il monopolio dell’Alitalia sulla rotta Cagliari‑Roma, conside­rata la gallina dalle uova d’oro. Una sfida all’insegna del risparmio per le tasche dei sardi, che potevano acquistare biglietti pagandoli il 23% in meno.

«Per la prima volta in Sardegna – dichiarò l’allora assessore ai Trasporti, Gonario Lorrai – arriva il fascino della concorrenza, il privilegio di poter scegliere, la possibilità di un risparmio concreto». Nella grande sfida che iniziava, a cinque anni di distanza dalla liberalizzazione dei cieli, fu determinante il ruolo della Banca Cis, come riconobbe il presi­dente di Volare, Gino Zoccai. L’Isti­tuto si era infatti reso disponibile per il finanziamento a condizioni del tutto particolari (128 miliardi in 15 anni) e, quando l’operazione era partita, aveva chiamato come secondo partner il Banco di Sardegna.

L’arrivo di una nuova compagnia segnò indubbiamente un’epoca nuova per i cieli sardi, che videro progressivamente aumentare le possibilità di scegliere fra diversi vettori che, in ragione del mercato, andavano facendo proposte sempre più interessanti.

Ma il nuovo corso non avrebbe portato al rallentamento della vertenza che puntava ad imporre gli “one­ri di servizio pubblico”. In sostanza, quel meccanismo che doveva as­sicurare, con la conquista della tanto agognata continuità territoriale, uguaglianza e pari dignità tra i sardi e gli altri italiani.