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Editoriale

Un piano di rilancio per l'agricoltura

Una tutela per i prodotti regionali

La scheda degli enti che operano nell'agroalimentare

Punta sugli allevamenti l'agro-alimentare dell'isola

Marchio Igp per l'Agnello di Sardegna

Obiettivo qualità per i vini della Sardegna

Il vino si racconta, poi si beve

Alimentare in crisi per la riforma della Pac

 

Un piano di rilancio per l'agricoltura

 

Per far fronte alla crisi dell’agricoltura sarda ci si è limitati sinora a tamponare le emergenze. Nessuno ha provveduto a varare un programma di sviluppo complessivo in grado di rilanciare e modernizzare il settore. Il maggior punto di debolezza è rappresentato dalle scarse risorse finanziarie e dall’enorme indebitamento: 625 milioni di euro fra prestiti e mutui a breve e lungo termine.

di Mariella Cossu 

 

Le profonde modificazioni che hanno attraversato il settore primario negli ultimi quindici anni e i più recenti avvenimenti politico-economici, fra i quali l’allargamento del mercato, l’ingresso nella Unione europea di nuovi dieci Paesi, alcuni dei quali a forte vocazione agricola, e la revisione della Politica agricola comunitaria, pongono l’agricoltura italiana ed europea dinnanzi a nuove sfide. Gli uni e l’altra incideranno profondamente sulle aziende agricole e sull’intera filiera agroalimentare. 
Cambia rapidamente lo scenario economico, costretto a confrontarsi con una competizione sempre più spietata sui mercati europeo e mondiale e solo le aziende che sapranno essere al passo con le richieste di un consumatore sempre più informato ed esigente vedranno realizzati i propri obiettivi di reddito.
Lavaggio di peperoni destinati all'industria conserviera
Lavaggio di peperoni destinati all'industria conserviera
La radicale riforma della Politica agricola comunitaria, introdotta dal Consiglio di Lussemburgo il 26 giugno 2003, entrata definitivamente in vigore a partire dal gennaio 2005, sta rivoluzionando il modo in cui l’Unione europea sostiene il settore agricolo. Prevalentemente orientata a tutelare gli interessi di consumatori e contribuenti, ma lasciando al contempo libertà agli agricoltori di compiere le proprie scelte di produzione in sintonia con la domanda del mercato, la nuova Pac si caratterizza per il passaggio da una politica di sostegno a prezzi e produzione ad una politica di sostegno al reddito agricolo. In particolare, attraverso la riduzione dei pagamenti diretti alle grandi aziende, verranno aumentati i finanziamenti agli agricoltori per realizzare programmi di tutela ambientale, qualità alimentare e benessere degli animali.
Gli elementi principali della riforma sono: il pagamento unico per azienda, il potenziamento della politica di sviluppo rurale, i ritocchi ai mercati agricoli, il sostegno di determinate forme di coltivazione come l’olivicoltura.
Lo scopo principale perseguito dalla nuova disciplina comunitaria è quello di favorire lo sviluppo sostenibile nel settore agricolo, attraverso il sostegno di pratiche compatibili con l’ambiente, l’incentivazione della produzione di alta qualità e lo sviluppo di fonti di reddito e attività economiche alternative.
In questa nuova Pac, che espone i mercati alla concorrenza dell’Europa allargata e dei mercati internazionali e riduce i legami tra strumenti e produzione, il fattore strategico per lo sviluppo futuro rimane e diventerà sempre più l’impresa agroalimentare: sempre più competitiva e in grado di stare sul mercato.
Lo stesso agricoltore si trova di fronte a un futuro sicuramente meno protetto, ma anche aperto a nuove opportunità alle quali deve guardare con rinnovata mentalità imprenditoriale.
A questo punto, la domanda immediata è: quale futuro per il comparto primario isolano? È indubbio che, in un contesto nel quale viene esaltata la competitività, nel quale vi è una maggiore tutela dei prodotti di qualità e della sicurezza alimentare, a parte il probabile disorientamento iniziale, per le produzioni agricole sarde si aprono grosse opportunità.
La Sardegna offre una discreta gamma di prodotti altamente caratterizzabili dal punto di vista qualitativo e perciò in grado di garantire l’indispensabile relazione tra consumatore, prodotto e azienda agricola. Si aprono grosse opportunità, ma ad una condizione. Occorre recuperare il tempo perduto ed essere in grado di gestire la situazione, traendone i conseguenti vantaggi: diversamente, dovremo subire passivamente l’iniziativa altrui.
Due le priorità. Stabilire le linee e gli obiettivi di una politica agricola finalizzata alla crescita degli standard qualitativi, della sicurezza alimentare e del benessere degli animali, alla valorizzazione della tipicità, alla promozione e commercializzazione del sistema Sardegna. Vantiamo prodotti, tradizione, varietà ma non riusciamo a fare filiera: c’è chi produce, chi trasforma e chi vende. E facciamo fatica ad esportare.
Con una produzione complessiva vendibile pari a 1.577 milioni di euro, l’agricoltura è sicuramente il settore portante dell’economia della Sardegna. Dopo gli anni della siccità e della lingua blu, le ultime due annate agrarie sono state contrassegnate da un leggero recupero produttivo delle più importanti colture e di alcuni allevamenti, anche se nell’ovicaprino la ripresa è stata inferiore alle aspettative, per via del prezzo del latte più basso delle previsioni.
È invece scomparso, definitivamente, il comparto bieticolo-saccarifero e continuano ad affannare settori come quelli del pomodoro da industria e del carciofo.
Ad un aumento delle produzioni non ha fatto riscontro però un altrettanto aumento dei prezzi dei prodotti all’origine, che continuano a subire crolli. Crescono, invece, i prezzi al consumo. In Sardegna, la forbice tra il prezzo all’origine e quello finale è, addirittura, più larga di quella che si registra nelle altre regioni della penisola. Le cause sono da addebitare ad una serie di passaggi intermedi che portano a lievitazioni dei costi talvolta abnormi. Secondo una indagine effettuata dai dirigenti regionali della Confederazione italiana agricoltori, al produttore va solo un terzo del valore del mercato; il restante 70 per cento va alla filiera commerciale e industriale.
Nonostante i lievi segni di ripresa, il comparto agricolo continua a vivere una situazione di grave disagio: imbalsamato da ritardi strutturali, sofferente a motivo delle ricorrenti emergenze, indebolito e, quindi, esposto al rischio di una sua marginalizzazione nel contesto dello scenario economico europeo.
Finora si sono solamente inseguite le emergenze. Nessuno ha provveduto a varare un programma di sviluppo complessivo, in grado di rilanciare e modernizzare l’agricoltura sarda. Il maggior punto di debolezza è rappresentato dalle scarse risorse finanziarie e dall’enorme indebitamento: 625 milioni di euro, tra prestiti a breve e mutui a medio o lungo termine. Di questi, 157 sono sofferenze, con un rapporto complessivo superiore a quello degli altri settori economici sardi, con una percentuale pagato-non pagato più elevato rispetto a quella di molte altre regioni.
A seguito dell’approvazione da parte della Giunta regionale di un pacchetto di  interventi finanziari che saranno gestiti dall’Ismea, le imprese agricole sarde, nuove o già esistenti che promuovono programmi di investimento, sia in fase di avviamento che di sviluppo, potranno contare su un più agevole accesso al mercato dei capitali e del credito per le operazioni necessarie ad un miglioramento delle strutture aziendali.
Il programma prende lo spunto da  un sistema di aiuti governativi in atto, come il decreto del Ministro delle Politiche agricole e forestali n. 182/2004 e il decreto legislativo n. 102 del 29 marzo 2004. Per la sua attuazione, la Regione ha destinato 5 milioni di euro, già stanziati nel bilancio 2005; altrettanti ne destinerà l’Ismea sui propri fondi, per un importo complessivo di 10 milioni di euro, che costituisce una prima dotazione finanziaria.
La coltura del carciofo interessa nell'isola una superficie di 13 mila ettari per una produzione che nel 2004 ha sfiorato i 14 mila quintali, buona parte destinati all'industria conserviera
Coltura di carciofi nel Campidano di Cagliari
Un’altra disfunzione si chiama mancata continuità territoriale per le merci. Carciofi, formaggi e ricotte, bovini da ristallo e agnelli, grano duro e riso. Sono le principali voci del settore agricolo destinate ai mercati d’oltre Tirreno e d’Oltralpe. Di mezzo ci sono il mare e i costi che le distanze impongono. E se la via aerea è un sacrificio troppo grande, il trasporto marittimo è lento (tempo medio di viaggio 12 ore) e ha dei costi talvolta insopportabili (costo medio di un viaggio di un mezzo a pieno carico, 3.500 euro, nel 2004).
E poi ci sono cause interne, come la debolezza strutturale; le dimensioni ridotte o ridottissime delle aziende, la frammentazione dei terreni e degli appezzamenti, spesso distanti l’uno dall’altro.
Recentemente, su richiesta dell’attuale assessore regionale dell’Agricoltura e Riforma agro-pastorale, Francesco Foddis, la Giunta  ha approvato un primo programma di ricomposizione fondiaria.
Per risolvere i problemi di frammentazione (attraverso accorpamenti) e della polverizzazione (attraverso ampliamenti della proprietà fondiaria), con un bando comunitario, il governo regionale ha messo a disposizione 50 milioni di euro. L’acquisto dei terreni avverrà attraverso procedure di leasing immobiliare e la gestione, da parte di Ismea, con il quale la Regione ha stipulato una convenzione, di un apposito fondo di rotazione. Il prestito si potrà pagare entro 30 anni, con la possibilità di riscatto dopo 5 anni dall’assegnazione e con il vincolo di indivisibilità del fondo agricolo acquistato.
Senza tralasciare le calamità; l’insufficienza e i prezzi troppo alti delle risorse idriche; l’eccessivo individualismo degli imprenditori e quindi la scarsa attitudine a consorziarsi. Proprio l’aggregazione appare una scelta indispensabile se si guarda alla trasformazione dei prodotti e alla loro successiva collocazione sul mercato, in considerazione soprattutto dei costi eccessivi che quei complessi processi comportano per una singola impresa.
La Sardegna è, poi, la regione più squilibrata nel commercio agricolo. Nel 2005, l’isola ha visto un export agricolo simbolico, pari a 4,6 milioni di euro, ma ha registrato importazioni per 111,2 milioni di euro destinati ai consumi locali. Le cose sono andate meglio nel secondo anello della filiera, l’industria alimentare, con 131,7 milioni di euro di esportazioni, contro i 100 milioni di prodotti importati, con un saldo attivo della bilancia commerciale di quasi 32 milioni di euro.
Ma questo dato non basta a fare dell’agroalimentare sardo una industria, penalizzato ancora da una frammentazione delle imprese, dalla disaggregazione dell’offerta, da insufficienti in­fra­strutture, dai trasporti, dai rapporti all’interno delle filiere e da una sempre più agguerrita competitività dei mercati.
Inoltre, bisogna tener conto che il saldo attivo è da addebitare in buona parte all’export del Pecorino romano, che viene venduto negli Usa a 5 dollari al chilo, contro i 7,50 dollari del Parmigiano reggiano e rappresenta comunque il 70,6% delle nostre esportazioni nell’agroalimentare. 
Il punto di forza dell’agricoltura sarda è l’alta qualità. Il sistema agroalimentare sta vivendo, in questi anni, una svolta all’insegna di una particolare attenzione ai temi dello sviluppo sostenibile e della qualità della vita. Si tratta di dare risposte adeguate ai consumatori circa la sicurezza alimentare e garanzie ai cittadini per quanto riguarda la qualità dell’ambiente e la tutela del territorio attraverso un’agricoltura responsabile.
Sino all'annata agricola 2004 gli 800 mila quintali di barbabietole prodotte in Sardegna erano destinate allo zuccherificio di Villasor, costretto nel 2005 a chiudere i battenti a seguito delle limitazioni imposte dalla politica agricola comunitaria.
Raccolta di barbabietole nella campagna di Villasor
Due quindi le qualità da raggiungere. Una legata al gusto e al sapore e l’altra alla sanità e all’igiene. Per quanto riguarda la prima, si tratta solo di valorizzare, proteggere e tutelare un sistema Sardegna ormai conosciuto a livello internazionale proprio per il suo alto valore qualitativo.
L’isola offre, infatti, una ricca gamma di prodotti alimentari caratterizzabili dal punto di vista qualitativo e, perciò, in grado di garantire l’indispensabile relazione tra consumatore, prodotto e azienda. Prodotti biologici, produzioni tipiche e tradizionali, talvolta frutto del lavoro delle piccole comunità e quindi in grado di esprimere la peculiare identità della Sardegna e il suo territorio, da tutelare, come già si sta facendo, con certificazioni di qualità e di origine e con marchi, singoli o collettivi. Da valorizzare e da esportare.
Per valorizzare le produzioni e assicurare la redditività ad un settore in crisi, sarebbe opportuno un organismo in grado di coordinare tutti gli operatori delle filiere. Per esportare tipicità e qualità, occorrono investimenti, programmazione e rilancio. Ma le difficoltà sono tante. Si tratta di conciliare mentalità e interessi molto diversificati: da quelli dei produttori agricoli a quelli degli operatori del commercio, da quelli delle industrie di trasformazione a quelli che compongono la rete di distribuzione.