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Editoriale
Gherardo Gherardini
L'Europa rivaluta la risorsa carbone
Claudio Allevi
Targas: un impianto all'avanguardia

Uno strumento per orientare lo sviluppo

Sintesi del documento di programmazione economica e finanziaria per la Sardegna - 2003-2005

Una nuova stagione per i trasporti?

Sintesi dei Piani regionali dei trasporti e delle merci

 

L'Europa rivaluta la risorsa carbone
Gherardo Gherardini

 

Il presidente della Regione Mauro Pili e l'assessore della Industria Giorgio La Spisa
Il presidente della Regione
Mauro Pili e l'assessore della 
Industria Giorgio La Spisa
Un’isola assetata. E non solo di acqua, come raccontano le cronache quotidiane, ma anche di energia. I consumi sono in aumento, mentre le attuali fonti di produzione energetica sono appena sufficienti a coprire il fabbisogno quotidiano. Se si verificano guasti o si devono fermare impianti per manutenzioni, allora sono dolori. Non per niente la Sardegna è al primo posto in Italia nella classifica degli indici di disalimentazione, vale a dire i periodi in cui viene a mancare l’energia elettrica. E questo è quasi inevitabile in un sistema chiuso come quello sardo, come ha più volte segnalato «Sardegna industriale», che segue da anni la “questione energia”.

Abbiamo già scritto sulle pagine della rivista che, fra le scelte strategiche per dare competitività al sistema Sardegna e promuovere sviluppo e lavoro, quella energetica va considerata prioritaria. Ma ancora oggi bisogna rimarcare l’assenza di un piano energetico regionale, un preoccupante “buco” nel Documento di programmazione economica e finanziaria per gli anni 2003-2005, che non indica l’energia fra le politiche prioritarie, una situazione pre-agonica del sistema industriale, dovuta principalmente all’altissimo costo delle tariffe elettriche.

Da tempo i sindacati del settore hanno lanciato segnali di allarme per la difficile situazione dell’isola che viaggia sul filo della continua emergenza per via del ristretto numero di centrali per la produzione di energia. Non si contano i convegni ed i dibattiti, le assemblee ed i documenti, le iniziative, ultima delle quali lo sciopero del 28 giugno. «Noi richiamiamo con fermezza – sottolinea Antonio Battelli, segretario regionale della Flaei Cisl – i contenuti del Libro verde dell’Unione europea sull’approvvigionamento delle materie prime. Al di là delle incertezze legate al momento storico in cui viviamo, si sa che petrolio e metano stanno esaurendo le loro scorte naturali e che, comunque, sono estratti in Paesi che spesso sono in contrapposizione con l’Occidente».

Il Sindacato si chiede perché non si stia seriamente pensando a fonti alternative, a cominciare dal carbone. «È prodotto da un centinaio di paesi – osserva Battelli – e oggi, rispetto al passato, l’estrazione ha un rischio molto basso. Riducendo la carbon-tax, ci sarebbe un incremento di produzione. Non è un ritorno al passato, perché esistono tecnologie avanzate: lo diciamo con cognizione di causa, tanto più che questo ragionamento si sta facendo un po’ in tutta Europa. E in Sardegna, dove ci sono grandi risorse, si ridarebbe speranza a quanti hanno sempre creduto nel settore».

Particolare della
Particolare della "Torre di raffeddamento" dell'impianto Targas, a Sarroch
E il metano, che l’isola attende da sempre? «Non siamo a priori contro il gas – precisa Battelli – ma non ci sembra la panacea per tutti i mali». Il segretario della Flaei Cisl ha un’altra preoccupazione: «La holding Enel conta 128 società in un’attività sempre più diversificata, che si sta distaccando da quella principale che consiste nella produzione di energia. Noi confidiamo nel mantenimento degli impegni sottoscritti dall’Enel il 3 ottobre dello scorso anno, per l’investimento di 2500 miliardi di vecchie lire nell’isola, tra il 2002 ed il 2006. Ma non nascondiamo le nostre preoccupazioni».

Preoccupazioni che sembrano fondate, se è vero che in Sardegna, negli ultimi dieci anni, il numero dei dipendenti Enel si è quasi dimezzato: da 5400 a 2900. A Cagliari, negli ultimi otto anni, i dipendenti della società che fornisce energia sono passati dai 2500 del 1993 ai 1326 del 2001. Questi alcuni dei dati forniti da Silvano Beato, segretario territoriale della Flaei Uil. «In più – sostiene Beato – i disservizi sono in continuo aumento. Basta dare un’occhiata agli indici di disalimentazione per rendersi conto che la Sardegna è un fanalino di coda».

Dal ’96 è iniziato il processo di liberalizzazione del mercato elettrico (sulla base delle direttive europee) e l’Enel ha cominciato lo scorporo in varie società. In Sardegna ne sono attualmente presenti nove, che stanno tutte attraversando processi di riorganizzazione aziendale. Per questo motivo, dal mondo sindacale si levano sempre più preoccupate voci di imminenti e temuti licenziamenti. Ma la Direzione regionale dell’Enel Distribuzione, in un recente comunicato, ha respinto le accuse ed i timori: non ci saranno tagli. «Sono voci ed ancor più fatti destituiti di ogni fondamento. Nessun licenziamento ha interessato il personale dell’Enel. C’è stata soltanto una diversa organizzazione territoriale, che ha modificato la dipendenza delle sedi periferiche, senza comunque incidere sul numero degli occupati. È stato avviato – prosegue il comunicato – un processo di riorganizzazione della società, finalizzato a migliorare il rapporto con i clienti ed a razionalizzare il servizio elettrico. Sono stati attivati e potenziati i servizi telematici, in sostituzione di quelli prima garantiti dai tradizionali sportelli commerciali».

 

INDICI DI DISALIMENTAZIONE NELLA RETE ELETTRICA  NAZIONALE

 

anno 2001

anno 2000

 

indici

energia

indici

energia

 

di disalimentazione

non fornita

di disalimentazione

non fornita

area territoriale

(min. e sec.)

(MWh)

(min. e sec.)

(MWh)

Torino

9:20

808,70

3:47

321,47

Milano

0:37

104,63

2:26

391,87

Venezia

1:22

154,78

1:17

138,27

Firenze

1:34

198,17

1:03

123,09

Roma

1:24

165,23

1:20

145,02

Napoli

4:17

479,77

2:48

284,95

Palermo

8:16

412,40

1:54

87,96

Cagliari(*)

152:23

4.053,65

38:30

992,48

totale

8:03

6.377,33

3:32

2.485,11

(*) L'area territoriale di Cagliari comprende tutta la Sardegna
fonte: Grtn        
 

La Direzione Enel cita ad esempio il numero verde 800900800 ed i servizi distribuzione, che adesso possono essere richiesti via Internet o nei negozi del circuito Qui Enel. Non ci sono state riduzioni, continua il comunicato, neanche nei gruppi operativi, che «continuano a presidiare il territorio in modo capillare». La Direzione regionale respinge anche l’ultima contestazione: «Il Sindacato afferma che è diminuita la qualità del servizio elettrico, ma i certificati dell’Autorità per l’energia e il gas dicono esattamente il contrario: negli ultimi due anni i tempi di black-out sono diminuiti del 45 per cento».

Al di là di queste polemiche, l’obiettivo fondamentale resta l’autosufficienza energetica. Come raggiungerla? «Con un piano da mille miliardi (in lire) per rinnovare la rete elettrica sarda, che si aggiungano ai cinquemila previsti per i prossimi cinque anni dall’Enel (cofinanziati dall’Ue), che faccia svestire alla Sardegna la maglia nera delle regioni d’Europa nella qualità dei servizi energetici». È questa la proposta della Fnle Cgil, lanciata al 7° congresso regionale dello scorso anno.

 

CONSUMI DI ENERGIA ELETTRICA IN SARDEGNA

(al 31.12.2000)

(in GWh)
settori economici

Cagliari

Sassari

Nuoro

Oristano

Sardegna

% sul totale

industria 5.412,5 1.060,2 489,3 60,9 7.022,9 65,6
agricoltura 55,8 34,5 30,3 43,0 163,6 1,5
terziario 747,8 514,1 196,5 119,4 1.577,9 14,7
domestico 889,9 608,9 277,3 157,2 1.933,3 18,1
totale 7.106,6 2.217,8 993,4 380,6 10.697,8 100,0
fonte: Grtn spa - elaborazione: Sardegna industriale

 

 

PRODUZIONE ENERGIA ELETTRICA IN SARDEGNA

(anni 2000 e 2001)

(in GWh)

      variazione %
      

anno 2000

anno 2001

2001/2000

produzione idroelettrica

362,4

448,0

+19,1

produzione termoelettrica

11.754,8

12.320,0

+4,6

produzione eolica

15,6

20,0

+22

totale produzione lorda

12.132,8

12.788,0

+5,1

energia destinata ai servizi

 

 

 

della produzione

947,0

998,0

+5,1

totale produzione netta

11.185,9

11.790,0

+5,1

energia destinata ai pompaggi

365,9

366,0

 

produzione netta destinata al consumo

10.820,0

11.424,0

+5,3

fabbisogno

11.317,2

11.615,0

+2,6

deficit produzione rispetto richiesta

497,2

191,0

 

 

-4,4%

-1,65%

 
fonte: Grtn spa - elaborazione: «Sardegna industriale»

 

«La frequenza dei nostri disservizi – ha spiegato il segretario regionale Giuseppe Podda – è pari al triplo rispetto alle regioni del centro-nord d’Italia ed al quadruplo rispetto alle altre nazioni europee». Tutta colpa di una rete sottodimensionata e malconcia. La Sardegna, inoltre, è legata al continente da un cavo sottomarino che passa attraverso la Corsica ed è incapace di sopportare le emergenze. «Insomma – ha detto Podda – abbiamo l’esigenza di essere autosufficienti».

Dopo aver constatato l’accantonamento del progetto di gassificazione del carbone Sulcis, il segretario della Fnle Cgil sarda ha auspicato il rafforzamento della centrale Sulcis, la valorizzazione della centrale di Portoscuso e quella del polo di Fiumesanto. Pur ribadendo l’elevata competitività del carbone, ha auspicato la risoluzione del processo di metanizzazione dell’isola, soprattutto per gli “usi nobili” (famiglie e piccole e medie industrie). Quanto al tracollo della Enron, colosso americano che partecipa per il 45 per cento nella Sarlux (in joint venture con la Saras, che possiede il 55 per cento, come vedremo più avanti), Podda ha osservato: «Speriamo di non avere ripercussioni. In questi casi, rischiano sempre gli anelli più deboli.

Il Segretario regionale ha poi segnalato la proposta dei lavoratori dell’Enel Hydro di collegare un dissalatore alla centrale termoelettrica di Santa Gilla, oggi obsoleta, che sarebbe in grado di produrre 20 milioni di metri cubi di acqua all’anno, dando un sostanziale contributo ad alleviare la sete del capoluogo. Proposta, quest’ultima, che la dice lunga sulle sinergie che potrebbero essere attivate con una visione non settoriale dei problemi dell’isola.

Nell’attuale situazione sono soprattutto le industrie a trovarsi in gravi difficoltà, principalmente quelle del comparto metallurgico, dopo il provvedimento legislativo che ha cancellato le agevolazioni sulle tariffe elettriche. Infatti, gran parte delle fabbriche, che avevano scelto come fornitore Enel Trade, hanno visto salire alle stelle le bollette. Veramente un brutto colpo per i bilanci delle società metallurgiche che, in regime privatistico e di sfrenata concorrenzialità con gli stabilimenti di tutto il mondo, devono rientrare nei costi.

POTENZIALE PRODUTTIVO DI ENERGIA ELETTRICA IN SARDEGNA

(situazione al 31.12.2001)

produttore impianto combustibile
o energia
utilizzata

n. gruppi
o sezioni
o linee

potenza compless.
lorda (MW)
numero addetti
Endesa centrale termoelettrica        
  Fiumesanto olio combustibile

2

320

 

         

330

         " orimulsion

2

640

 

       

960

330

Enel Produzione                 
  centrale t.e. Sulcis carbone

1

240

200

           
  c.t.e. Portoscuso olio combustibile

2

320

90

           
  centr.turbogas  Assemini gasolio

2

176

5

           
  c.t.b. Codrongianus  gasolio

2

 34

5

           
  c.idroel. Taloro energia idrica

1

240

60

       

1.010

360

Green Power c.li idroelettriche        
  Flumendosa, Casteldoria,        
  Coghinas,Ozieri energia idrica  

196

50

  centrali eoliche        
  Alta Nurra,
Monte Arci
energia colica  

22

4

       

218

54

Sarlux lgcc Targas
Sarroch
semilavorati grezzi

3

  550

111

totale Sardegna  

 

2.738

855

fonte: elaborazione "Sardegna industriale" dati forniti da aziende produttrici e Segreteria regionale Cisl-Flaei

 

Emblematico il caso della Portovesme srl, che negli ultimi tre anni ha visto lievitare del 40 per cento le tariffe elettriche. Un vero e proprio trattamento “strozza impresa” riservato, per giunta, al terzo utente nazionale di consumo di energia, quale è appunto l’industria sulcitana, che ogni anno consuma 700 milioni di kilowattora per una occupazione diretta ed indotta di circa 1.600 unità. Ciò che preoccupa maggiormente è il fatto che l’azienda abbia programmato investimenti per svariate decine di miliardi e che le elevate tariffe elettriche potrebbero mandare a monte tutto, comprese le produzioni storiche degli impianti, con tutti i risvolti di natura sociale che il fatto andrebbe a provocare.

L'industria metallurgica è quella che risente maggiormente degli alti costi dell'energia elettrica in Sardegna. Nella foto: produzione di allumina a Portovesme
L'industria metallurgica è quella che risente maggiormente degli alti costi dell'energia elettrica in Sardegna. Nella foto: produzione di allumina a Portovesme

La società sta cercando di correre ai ripari. Ha presentato alla Regione un progetto per la costruzione a Portovesme di un gruppo termoelettrico da 100 megawatt di potenza, in grado di garantire alla fabbrica di piombo e zinco l’energia necessaria per far marciare gli impianti elettrolitici. La Regione si è riservata di decidere, sulle autorizzazioni, legando la decisione al piano energetico del Sulcis Iglesiente, che si basa sull’impianto Igcc, ancora da definire. La sorte del polo integrato piombo-zinco è dunque legata a doppio cappio al prezzo del kilowattora ed alla realizzazione del gassificatore.

Osservano i sindacati: «È improponibile che in Sardegna l’energia elettrica abbia un costo superiore a quello della penisola.Tra Enel ed aziende si dovrebbe trovare un punto di incontro in modo da rendere compatibile la presenza di fabbriche anche nell’isola. In una simile situazione, giustamente, Portovesme srl è costretta a correre ai ripari, ma se anche le altre fabbriche dovessero seguire il suo esempio salterebbe il piano energetico del Sulcis: non avrebbero senso l’impianto Igcc e gli stessi investimenti Enel».

In pratica, a produrre energia elettrica dovrebbero essere soggetti abilitati ed in grado di immettere nel mercato energia elettrica a basso costo e quindi le centrali autarchiche non dovrebbero sorgere. Sotto la lente deve essere quindi l’intero mosaico energetico del territorio.

Nell’attesa di decisioni che tardano ad arrivare, c’è chi sceglie altre strade. Così, grazie al libero mercato energetico, un pool di imprese ed enti pubblici del Nuorese nel 2002 risparmierà circa il 15 per cento rispetto ai costi Enel. In soldoni significa un’economia di quasi un miliardo (in lire), con un taglio alle spese doppio rispetto al risultato, già positivo, dello scorso anno (nel 2001 era stato dell’otto per cento).

È il frutto del contratto stipulato dal consorzio “Sinergia Nuoro” con la Tecnoenergia, società di fornitura di energia elettrica del Nord Italia.

Sinergia Nuoro, che riunisce 16 partner (imprese ed enti pubblici, ciascuno con consumi superiori al milione di kwh all’anno), sinora è l’unico consorzio in Sardegna che ha applicato la delibera della Giunta regionale del giugno 2001, che estende a tutta l’isola l’ambito operativo dei consorzi energetici nati dalla liberalizzazione dei mercati dell’energia e del gas, iniziata nel 1999 con un decreto dell’allora ministro dell’industria, Luigi Bersani. Sinergia è anche l’unico consorzio sardo dove sono presenti siti industriali di varie province.

Un’iniziativa proficua, attuata nella regione con il maggior tasso di imprese ed enti idonei (pari al 63%), che hanno già scelto di passare al libero mercato contrattando le tariffe dell’energia elettrica con soggetti diversi dall’Enel. Questi si dividono in quattro consorzi, tre dei quali (uno a Nuoro e due a Sassari) costituiti nell’ambito delle Associazioni industriali. In provincia si contano 19 adesioni e 16 di queste fanno parte del consorzio Sinergia.

Il risultato ottenuto con il nuovo contratto è notevole. Infatti,il volume di consumo annuo dei sedici consorziati si aggira intorno ai cinquanta milioni di kwh, che corrispondono ad una bolletta di 4,6 milioni di euro e rappresenta il venti per cento di tutto il mercato isolano idoneo per il libero mercato. Grazie a questo contratto, nel 2002 i gruppi consorziati potranno contare su un notevole risparmio economico e liberare risorse per altre iniziative.

È un bel risultato, per una regione da sempre penalizzata per la mancanza di un’importante fonte energetica come il metano. Se ne parla da decenni, ma siamo sempre al punto di partenza. Progetti ce ne sono, anche recenti ed importanti (ne parleremo più avanti), ma per vedere qualche risultato ci vorranno anni. Intanto il carbone, vera ricchezza energetica sarda, giace inutilizzato nella miniera di Monte Sinni.

Sul “perché” le risposte si sprecano, ma uno spiraglio per meglio capire la questione si è aperto nel marzo di quest’anno, quando – come "Sardegna industriale" aveva previsto con largo anticipo – l’Enel si è aggiudicato la gara europea per l’acquisto della Viesgo (Endesa), battendo l’agguerrita concorrenza di Electrabel ed Hidroelectrica del Catambrico. L’Ente italiano è diventato proprietario al cento per cento dell’impianto Igcc di Puertollano, in Galizia, tuffandosi così a capofitto nella gassificazione del carbone per la produzione di energia elettrica.

L’invasione dell’Enel nel mercato spagnolo dell’energia e soprattutto nel settore delle tecnologie innovative non poteva lasciare indifferenti gli attenti sindacati del settore, che hanno condannato apertamente le strategie dell’ente elettrico ed i boicottaggi che ha sempre messo in atto per fermare l’impianto di gassificazione di Portovesme. Eppure, a parere degli esperti, le condizioni di Puertollano e di Nuraxi Figus sono allo stesso livello. Il carbone utilizzato nel gassificatore spagnolo è in grado di produrre 4.700 kcalorie a tonnellata, mentre quello sardo “regala” ben 800 kcalorie in più. A scapito del combustibile sardo c’è una maggior percentuale di zolfo, che nel processo di gassificazione dovrebbe comunque avere un’incidenza insignificante.

Il presidente dell'Enel Chicco Testa
Il presidente dell'Enel Chicco Testa
«Lo sbarco di Enel Power in Spagna – spiega Sergio Usai, segretario generale della Cgil del Sulcis Iglesiente – dimostra che la produzione di energia elettrica con la gassificazione del carbone è valida dal punto di vista ambientale ed economico. A Puertollano marcia un impianto Igcc che produce 236 megawatt di potenza usando carbone torba con caratteristiche simili al carbone di Nuraxi Figus. Con proposte simili si dovevano applicare comportamenti conseguenti. Invece – prosegue Usai – dal ’92 Enel ha cominciato a tramare contro le miniere sarde ed ha trovato alleati potenti nei vari governi nazionali. Il primo nemico è stato Chicco Testa, che dopo le prime assicurazioni di disponibilità ha cambiato rotta».

Gli interessi dei gruppi petroliferi e le scelte logistiche che i politici hanno fatto in questi ultimi anni nel settore energia hanno condizionato negativamente l’affermazione del carbone sardo. «Eppure l’Enel avrebbe dovuto adoperarsi per la realizzazione del gassificatore – aggiunge Mario Crò, della Uil territoriale – perché in questi anni ha incamerato una lira a kilowattora per sopportare l’impegno industriale. Il risultato? Ha incassato decine e decine di miliardi di lire alle spalle dell’utente italiano, che ha pagato l’energia elettrica a prezzo maggiorato». Il fallimento del progetto di gassificazione del carbone Sulcis, dunque, era scritto ad inchiostro simpatico sin dalle prime battaglie dei minatori della Carbosulcis. Si doveva attendere soltanto la presenza dell’elemento di disturbo ed il progetto carbone sarebbe finito nel baratro.

«Il guaio, e di questo non sembrano accorgersene le autorità politiche regionali e nazionali – aggiunge Bruno Saba della Cisl –, è che nel dirupo rischiano di finire i minatori della Carbosulcis, che da oltre dieci anni sono impegnati a combattere contro le barricate, i sabotaggi e le imboscate dei politici e di vari gruppi di potere». L’impianto di Puertollano è sorto con la benedizione dell’Ue, che aveva bocciato il progetto di gassificazione a Portovesme. Questa decisione, però, era maturata con la complicità dei parlamentari europei italiani, che non avevano partecipato all’incontro dove si dovevano definire le scelte tra Portovesme e Puertollano. L’unico rappresentante italiano a presentarsi a quella riunione era stato Mario Melis, che nonostante l’impegno era stato battuto dalla massiccia presenza dei parlamentari spagnoli e dei loro alleati. «Anche in quell’occasione – osserva Sergio Usai – è arrivata la conferma che il carbone sardo non era gradito ai responsabili della politica industriale nazionale e, mentre l’Ue finanziava l’impianto Igcc di Puertollano, per quello sardo non era neppure iniziata la fase di privatizzazione».

Come si presenta, allora, l’attuale situazione del quadro energetico regionale? Proviamo a fare una sintetica carrellata.

 

 Fiumesanto

 

Particolare della centrale termoelettrica di Fiumesanto
Particolare della centrale termoelettrica di Fiumesanto
Si ritorna a parlare di carbone per la termocentrale di Fiumesanto. La nuova proprietaria, la società spagnola Endesa, ha confermato l’intenzione di abbandonare l’orimulsion e riconvertire i due impianti al combustibile fossile. Per raggiungere questo obiettivo, il colosso energetico spagnolo ha scelto la strada del dialogo con le istituzioni del territorio. Recentemente, le commissioni ambiente dei comuni di Sassari e Porto Torres hanno visitato gli impianti Endesa di Palma di Maiorca. Un sopralluogo organizzato per tranquillizzare gli amministratori delle due città: nell’isola iberica il carbone viene trattato da più di vent’anni e senza spiacevoli conseguenze. La centrale di Alcudia è inserita addirittura all’interno di un parco naturale e di un insediamento turistico da 50 mila posti letto.

Non solo. Rispetto a quello di Maiorca, l’impianto di Fiumesanto garantirebbe un maggior rispetto dell’ambiente. Nel golfo dell’Asinara il carbone verrà prelevato direttamente dalle stive delle navi e trasferito nei serbatoi di stoccaggio della termocentrale attraverso il carbondotto realizzato anni fa. Nell’isola di Maiorca, invece, il combustibile viene trasportato dal porto alla centrale sopra dei camion coperti solo con un telone.

La visita ha impressionato favorevolmente i rappresentanti delle due amministrazioni locali, ma ora saranno le rispettive Commissioni ambiente a dare un giudizio definitivo.

La centrale di Fiumesanto rappresenta, in termini di produzione energetica, circa il 50 per cento del totale della Sardegna. Ma è anche una centrale duramente segnata dagli anni (almeno i gruppi uno e due) e anche dall’impiego dell’orimulsion come combustibile, perché i gruppi tre e quattro erano stati progettati per marciare a carbone. «I danni agli impianti hanno anticipato il processo di obsolescenza ed aumentato i problemi di manutenzione – ha detto il direttore di Endesa, Joaquin Galindo – con frequenti interruzioni nella produzione».

Secondo il massimo dirigente dell’Endesa, il passaggio dall’orimulsion al carbone non avrà impatti significativi. Ecco la sua proposta: «Un patto per l’ambiente, con un contributo serio allo sviluppo delle imprese e dell’occupazione locale, la firma delle convenzioni con i comuni di Sassari e di Porto Torres». Galindo ha assicurato anche un monitoraggio continuo ed ha proposto una Commissione tecnica di controllo, dove siano rappresentate le istituzioni e le comunità locali. Ha infine annunciato una maggiore occupazione nella centrale, 15 milioni di euro in nuovi investimenti e l’interesse ad entrare a far parte dell’Accordo di programma sulla chimica in Sardegna.

Il sindaco di Sassari Nanni Campus
Il sindaco di Sassari Nanni Campus
Quale sarà la reazione delle popolazioni? Già si avvertono i primi segnali di una battaglia lunga e difficile. Il primo a “sparare” è stato il deputato di Forza Italia, Giampaolo Nuvoli, che ha scritto al sindaco di Sassari, dichiarandosi contrario al carbone, «un combustibile dannoso, micidiale per l’ambiente». La sensazione di Nuvoli è che si stia formando «un fronte politico-sociale trasversale e maggioritario, che all’insegna di una promessa di maggiore occupazione accetta la scelta dell’Endesa di bruciare carbone nella centrale di Fiumesanto. Considerando secondarie – continua il deputato – le conseguenze disastrose che ciò avrebbe sulla salute degli abitanti del territorio, a partire da quelli di Porto Torres, che sono i più vicini a Fiumesanto».

Nell’attesa che la Regione vari il piano energetico, Nuvoli chiede al sindaco Nanni Campus di indire un referendum popolare, sia pure consultivo, per conoscere l’opinione dei sassaresi sull’argomento. Lo stesso referendum proposto nel 1996 a Porto Torres, che mise in luce il parere negativo della città sulla possibilità di bruciare carbone a Fiumesanto. Quel referendum era stato promosso dai componenti del Comitato anticarbone di Porto Torres, che ora si oppone con la medesima fermezza di allora alla proposta dell’Endesa.

«Ci eravamo illusi che il problema fosse stato risolto. Invece – spiegano – la situazione è rimasta uguale: a cambiare sono stati solo i soggetti, prima l’Enel, oggi l’Endesa». Già sei anni fa il Comitato aveva indicato la via da seguire per evitare disastri ambientali e realizzare il sogno dello sviluppo: il metano. «Invece sembra che la politica abbia voluto mettere da parte questa possibilità – sostengono – dopo aver speso miliardi in studi di fattibilità. Resta il fatto che il risultato del referendum del ’96, il “no” deciso al carbone da parte di Porto Torres, non può essere messo in discussione da alcuno».

Anche Legambiente Sardegna è sulle stesse posizioni. «Riproporre il carbone a Porto Torres, a chi attende da anni un progresso del sistema energetico, in termini di salute e di vantaggi per lo sviluppo, suona come una beffa». E ribadisce, per bocca dei suoi rappresentanti, il rifiuto del carbone e di «qualunque altro materiale nocivo».

 

Portovesme

 Alla fine di giugno sono ripresi, all’interno della centrale “Sulcis”, i lavori per la costruzione del secondo gruppo termoelettrico dell’Enel, da 340 megawatt di potenza. La notizia della ripresa dell’attività edile era stata data dai responsabili dell’ente elettrico qualche settimana prima, in occasione della manifestazione “Centrale aperta”, che aveva consentito ad un numeroso pubblico di conoscere tutti i segreti della centrale sulcitana.

La conferma è arrivata con l’apparizione, all’interno del cantiere, di numerosi mezzi meccanici, che dovranno completare le opere lasciate in sospeso alcuni mesi fa. In questa prima fase non ci saranno, come previsto, notevoli richieste di personale, ma quando si inizierà la messa in opera delle caldaie e della turbina le assunzioni, nelle imprese appaltatrici, dovrebbero superare le trecento unità.

La termocentrale sarà alimentata, come risaputo, a carbone secondo la tecnica a letto fluido circolante, per cui potrà essere utilizzato il carbone della miniera di Nuraxi Figus. Soddisfazione negli ambienti sindacali per la ripresa dei lavori nella termocentrale che, in verità, dovevano essere conclusi da tempo.

Trasporto minatori in una miniera del Sulcis
Trasporto minatori in una miniera del Sulcis
La megacentrale a letto fluido circolante andrà a sostituire i due gruppi costruiti negli anni ’60 e smantellati qualche anno fa perché ritenuti obsoleti ed inquinanti, ma all’operazione di smantellamento non è seguita, con la programmata puntualità, la fase successiva, vale a dire quella della ricostruzione. Per smuovere l’Enel si mobilitarono alcune centinaia di operai delle imprese di appalto, seguirono manifestazioni di protesta (scalata e presidio della ciminiera alta 270 metri), occupazioni di centrali elettriche, spedizioni a Roma al ministero dell’Industria e persino denunce a raffica per interruzione di pubblico servizio a carico di cinque sindacalisti, dopo che 400 lavoratori invasero le centrali Sulcis e Portovesme mentre si produceva energia elettrica a pieno ritmo.

Quei momenti difficili e di forti tensioni sociali sono ora superati: rimane ancora in piedi l’aspetto penale di quelle vicende ed i cinque segretari territoriali di Cgil, Cisl e Uil dovranno scrollarsi di dosso la pesante accusa in Tribunale.Ma l’apparizione del cemento all’interno del cantiere Enel ha rincuorato tutti e fatto dimenticare le controversie giudiziarie. «Sebbene con ritardo – ha commentato Roberto Puddu, segretario territoriale della Fnle-Cgil – l’Enel sta provvedendo a ricostruire il parco centrali a Portovesme. Con l’entrata in servizio della nuova turbina la rete sarda disporrà di un apporto notevole di energia elettrica. Si sa da tempo che la Sardegna vive sempre sul filo della continua emergenza. Molte fabbriche, in alcune occasioni, sono state avvertite che l’Enel non avrebbe potuto garantire l’energia necessaria per far marciare gli impianti elettrolitici».

Anche con la costruzione del nuovo gruppo, la Sardegna rimane deficitaria per quanto riguarda la disponibilità di energia elettrica. Ora che sembra ormai svanita nel nulla la possibilità di disporre dell’energia prodotta con la gassificazione del carbone Sulcis, occorre individuare valide alternative.

 

Sarlux

 

Il presidente della Saras Gian Marco Moratti
Il presidente della Saras Gian Marco Moratti
È ormai pienamente operativo, alla Saras di Sarroch, l’impianto di gassificazione a ciclo combinato (Igcc) per la produzione di energia elettrica della potenza lorda di 550 megawatt. L’impianto è stato realizzato dalla Sarlux (55 per cento Saras e 45 per cento dell’americana Enron), con l’impegno di un raggruppamento di imprese capeggiato dalla Snam Progetti. L’investimento complessivo è stato di 2.050 miliardi di lire. «Si tratta – spiega Gabriele Previati, direttore generale della Sarlux – di un’iniziativa di grande rilevanza industriale, decisa a metà degli anni ’90, di fronte alla forte riduzione della domanda di olio combustibile ad alto contenuto di zolfo».

La scelta industriale dell’impianto di Sarroch si adatta all’evoluzione del mercato con due punti di forza: consente di utilizzare grezzi ad alto contenuto di zolfo senza ottenere prodotti di difficile mercato (olio combustibile o coke ad alto zolfo) e produce energia elettrica, la cui richiesta è decisamente in crescita, con un ciclo ad alto rendimento energetico e bassissime emissioni.

L’autorizzazione alla costruzione dell’Igcc risale al maggio del 1995, con decreto del ministero dell’Industria. Il finanziamento dell’iniziativa è stato effettuato secondo la formula del no recourse project financing, che basa il rimborso del prestito sulla capacità di generazione di cassa del progetto stesso: un’operazione di complessa ingegneria finanziaria tra le prime realizzate in Italia e, dimensionalmente, tra le maggiori realizzate al mondo. I capitali sono stati reperiti tramite un consorzio formato da quattro banche internazionali, che hanno coinvolto nell’operazione altri cinquanta grandi istituti di credito italiani ed esteri.

Di rilievo l’impegno sull’impatto ambientale: l’area sottoposta a verifica sull’influenza esterna dell’Igcc è stata estesa entro limiti sufficientemente vasti da far ritenere praticamente nulli gli effetti ipotizzabili nelle zone esterne a tale area. Nel dettaglio, l’area presa in esame si estende per circa 192 chilometri quadrati.

Con l’avvio della centrale, si è concluso un programma che ha visto, negli ultimi anni, importanti investimenti per altri seicento miliardi nella realizzazione di una serie di innovazioni impiantistiche e tecnologiche all’interno della Saras.

Molto è stato scritto in quest’ultimo periodo sulla stampa specializzata sul futuro dell’impianto di Sarroch, che fornisce di elettricità un terzo della Sardegna ed ha chiuso il primo bilancio con un margine lordo di 144 milioni di euro su 386 di ricavi. Come è noto, il colosso texano dell’energia, la Enron di Houston, è finito in amministrazione giudiziale dal dicembre del 2001. La quota del 45 per cento nella Sarlux, fin qui degli americani, sottoposta a sequestro giudiziario con decreto “inaudita altera parte” del Tribunale di Cagliari, è stata affidata in custodia al commercialista Andrea Dore.

Intanto, un collegio arbitrale insediato a Ginevra dovrà decidere sulla richiesta Saras (che detiene, ricordiamo, il 55 per cento di Sarlux) di considerare il restante 45 per cento già suo, in virtù dell’esercizio del diritto di opzione al prezzo prefissato di 61,6 milioni di euro, notificato dai Moratti e motivato dalla condotta del partner Usa «in spregio al patto parasociale firmato il 26 novembre 1996 ed al più elementare dovere di buona fede».

Tutto ciò perché Enron avrebbe «modificato attraverso oscure macchinazioni societarie e finanziarie l’assetto proprietario di Enron Dutch (intestataria con base a Rotterdam del 45 per cento Sarlux) contrariamente agli accordi». Secondo i Moratti, Enron ha violato i patti con l’attuazione del progetto “Condor”: la costruzione di una catena societaria soprastante Enron Dutch ed aperta ad investitori terzi, cioè creditori che possano richiamare diritti sul 45 per cento Sarlux. Un assetto venuto alla luce dopo il collasso e contrario ai patti parasociali, che consentivano solo una catena posseduta al 100 per cento da Houston. Pena l’esercizio automatico dell’opzione da parte dell’altro socio.

Tenuta fin qui coperta dalla riservatezza, nonostante il sequestro risalga al 31 gennaio, la battaglia tra la Saras ed il gruppo Usa ora guidato da Stephen Cooper è entrata ormai nel vivo con il deposito delle memorie di parte al collegio arbitrale. Va aggiunto che alla società veicolo dell’impianto, la Sarlux presieduta da Angelo Moratti, figlio di Gian Marco, manifestano grande tranquillità: il partner Usa è finito a gambe all’aria dopo aver versato le sue quote di capitale e la presenza di un custode giudiziale della quota mette al riparo da ogni manovra non amichevole.

 

Gassificazione del carbone Sulcis

Alla fine, come tutti temevano, sono risuonati i rintocchi delle campane a morto per il progetto di gassificazione del carbone Sulcis. Mancava solo un atto ufficiale, arrivato alla fine di maggio: si tratta di una lettera di tre pagine con cui l’Ati Sulcis, associazione di cinque grandi imprese industriali private, ha praticamente annunciato il suo ritiro: progetto troppo costoso e troppo rischioso per le banche che avrebbero dovuto finanziarlo.

Come si è arrivati al fallimento del progetto carbone? Non c’è una sola causa. Nel 1994, quando il presidente della Repubblica, Scalfaro, promulgò il decreto legge governativo che prevedeva la privatizzazione delle miniere e la gassificazione, la cosa sembrava fattibile. La gara internazionale andò deserta, ma la licitazione privata organizzata subito dopo giunse a buon fine. Cinque colossi guidati dall’Ansaldo costituirono l’Ati e si fecero avanti per rilevare le miniere e realizzare una centrale a gas di carbone: 2 mila miliardi di vecchie lire di investimenti, 420 miliardi di sovvenzioni per ripristinare le miniere, 2.500 miliardi di agevolazioni statali per pagare a prezzi maggiorati l’energia generata gassificando il carbone, come quella ricavata dal tar del petrolio.

Dopo una serie interminabile di rinvii e pause di riflessione, il progetto si è imbattuto in un ostacolo insormontabile: le banche. Avrebbero dovuto stanziare i soldi per realizzare la centrale ed il gassificatore, ma un anno fa hanno sentenziato che i costi erano lievitati troppo e quel progetto non garantiva più sufficienti margini di guadagno. Insomma, era “non bancabile”.

L’Ati ha chiesto allora di introdurre alcune modifiche nell’accordo: più energia a prezzi agevolati, senza vincoli temporali, la benedizione dell’Unione europea e l’aumento della potenza della centrale. Modifiche in grado di capovolgere il giudizio delle banche ed ottenere, insieme alla “bancabilità”, anche i finanziamenti. Il Governo ha risposto sì a soltanto una delle quattro richieste. E l’Ati ha tirato le conclusioni: a quelle condizioni il progetto era impossibile.

L'economista Paolo Savona
L'economista Paolo Savona
Fallita la gassificazione, quale futuro per le miniere? Oggi come oggi verrebbe da dire che il Sulcis ha puntato tutto sul carbone ed ha perso. Lo ha ricordato l’economista Paolo Savona, ministro dell’Industria nel 1994, nel corso di un vertice con la giunta Pili per definire i contorni del nuovo Piano di rinascita: «Chiedemmo chiaramente al Sulcis se volesse puntare sulla gassificazione o se preferisse investire quelle ingenti risorse in altri settori: venne scelto il carbone».

Lo stesso carbone che oggi giace a milioni di tonnellate nella profondità dei pozzi di Nuraxi Figus e che nessuno sembra volere. Intanto, quei minatori che a centinaia continuano ad affannarsi per strappare alle viscere della terra l’inutile combustibile, sono determinatissimi a chiedere conti al Governo ed alla Regione.

Governo e Regione che qualche risposta, sia pure parziale, l’hanno data. Palazzo Chigi ha inviato un proprio emissario in Sardegna alla fine di luglio, per dare assicurazione ai minatori. Ne è scaturito un piano in quattro mosse per rilanciare l’oro nero del Sulcis. Prima mossa: tenere aperte le miniere fino al 31 dicembre. Seconda: mettere a punto un progetto di riconversione industriale per sfruttare i giacimenti accertati. La terza mossa sarà quella di predisporre un nuovo strumento normativo che consenta di rilanciare l’idea del progetto integrato estrazione-gassificazione-generazione di energia elettrica. Ultima giocata, il rilancio dell’economia del territorio con iniziative alternative in grado di “riconvertire” i posti di lavoro persi.

L’assessore regionale dell’Industria Giorgio La Spisa e l’emissario romano, il direttore del Servizio incentivi del ministero delle Attività produttive, Antonio Martini, in realtà, hanno dovuto fare qualche aggiustamento “in corsa”. Avevano infatti ipotizzato per le miniere una sorta di eutanasia dolce, una chiusura programmata e diluita nel tempo, fino ad accompagnare alla pensione l’ultimo degli 820 minatori. Ma si sono scontrati contro il muro eretto dal Sindacato.

«Non siamo disponibili a soluzioni che prevedano una pietra tombale per il carbone», ha detto Giampaolo Diana della Cgil, che ha posto un limite invalicabile ai progetti che contemplavano soluzioni alternative. «L’obiettivo è la ripresa produttiva della Carbosulcis – ha sostenuto – e tutte le tappe da percorrere devono condurre alla meta di uno sfruttamento energetico della risorsa carbone ed alla realizzazione del gassificatore».

Il ministro delle Attività produttive Antonio Marzano
Il ministro delle Attività produttive Antonio Marzano
La proposta del rappresentante del Governo, Martini, partiva dallo stato delle cose: esiste un decreto che regola il progetto per la gassificazione del carbone Sulcis, ma al momento non ci sono le condizioni perché si realizzi. Occorre, perciò, un nuovo strumento legislativo che consenta altre iniziative produttive nel territorio. «Dovranno essere garantite – ha affermato il delegato del Ministro – risorse pubbliche che permettano investimenti compensativi. Gli strumenti possono essere tanti e diversi, compreso un nuovo contratto d’area».

La posizione del Governo ha trovato un completamento nella linea programmatica della Regione. «Noi non intendiamo chiudere la miniera – ha assicurato l’assessore La Spisa – ma pensiamo che si debbano portare al primo posto le questioni dell’occupazione e dello sviluppo del territorio. Non la priorità dell’industria del carbone quanto, piuttosto, la nascita di iniziative imprenditoriali che creino nuovi posti di lavoro. Il gassificatore – ha ribadito La Spisa – resta una prospettiva strategica, la soluzione più ecologica e convincente, ma al momento non abbiamo un interlocutore in grado di portare avanti il progetto. Occorre individuare possibili alternative, sulle quali è necessario un consenso politico, sociale e sindacale il più ampio possibile».

Un consenso delle parti sociali ad un nuovo progetto di sviluppo del territorio ed alla tenuta in stand by della Carbosulcis, in attesa di tempi migliori, che andrà cercato in occasione di prossimi incontri. «Ma la partita – afferma Giovanni Basciu, della Cisl – non può essere giocata solo sul tavolo sardo. Il Governo deve dare risposte chiare sugli strumenti che intende utilizzare per portare a regime l’attività produttiva della Carbosulcis e per collocare il carbone sul mercato. Altrimenti si chiede al sindacato di essere complice della chiusura della miniera».

Come uscirne? La gassificazione sembra restare la strada obbligata, la stessa che stanno percorrendo tutti i produttori mondiali di carbone. Allora miniere aperte e, per adesso, assistite, anche se basterebbe aumentare la produzione a 900 mila tonnellate per pareggiare i conti. «Con quella produzione e 500 minatori la gestione sarebbe economica», ha annunciato il direttore della Carbosulcis, Giuseppe Deriu.

C’è un problema: chi comprerebbe il carbone? Per ora nessuno. Infatti, nell’attuale situazione il futuro dell’attività estrattiva è fortemente condizionato dall’impossibilità di avviare la miniera verso il regime di produzione, perché esiste un unico utilizzatore, l’Enel, ed un’unica centrale a Portovesme, che consuma solo 20 mila tonnellate/mese di carbone lavato a 5000/5100 chilocalorie per chilogrammo, contro le 65 mila del regime minimo di produzione possibile della miniera.

L’assessore regionale La Spisa ha annunciato che a breve convocherà i tecnici per mettere a punto un nuovo progetto. L’unica certezza, attualmente, è la Finanziaria del Governo, che proroga fino al 31 dicembre la gestione transitoria delle miniere, stanziando 20 milioni di euro. Anche il Consiglio regionale ha fatto la sua parte, approvando prima della pausa estiva un provvedimento che stanzia 100 miliardi di vecchie lire per la gestione degli impianti minerari “in difficoltà”. La maggior parte di quei fondi (circa 40 milioni di euro) serviranno a mantenere in attività la Carbosulcis e la miniera di Nuraxi Figus, in attesa di trovare una valida alternativa al progetto di gassificazione, per ora accantonato.

I minatori sono serviti ma non soddisfatti. «Andremo a Roma – dicono –. Se non vogliono darci il “tavolo” con il Governo, ce lo prenderemo». È l’annuncio di una nuova battaglia nell’infinita guerra del carbone, che a fine agosto si è visto lanciare un’insperata ciambella di salvataggio dall’Unione europea. L’Ue ha infatti ribadito la necessità di valorizzare le risorse energetiche dei paesi membri, in particolare di Germania, Belgio ed Italia. Ormai, nel vecchio continente, non si parla più del carbone in termini ragionieristici, ma in funzione dell’affrancamento dai paesi produttori di petrolio, anche per evitare i pesanti condizionamenti che ciclicamente vengono imposti ai paesi industrializzati.

Il commissario europeo per l'Energia e i Trasporti, Loyola de Palacio
Il commissario europeo per l'Energia e i Trasporti, Loyola de Palacio
Proprio i condizionamenti del mercato del petrolio hanno indotto l’Unione europea a riconoscere al carbone una valenza strategica e di conseguenza la miniera di Nuraxi Figus dovrebbe continuare a marciare, nonostante le perdite di carattere economico. Una scelta dal costo di circa un milione e trecentomila euro all’anno a carico dello Stato e che dovrebbe avere ricadute importanti per il Sulcis Iglesiente: il mantenimento in produzione della miniera di carbone, con l’attività di almeno 500 minatori.

Il piano industriale che il ministero delle Attività produttive potrebbe completare nelle prossime settimane, dovrebbe prevedere una produzione di almeno 300 mila tonnellate/anno di carbone, da utilizzare nelle centrali Enel di Portovesme. Questa quantità è suscettibile di incrementi se si tiene conto che con la realizzazione del gruppo termoelettrico a letto fluido circolante dello stesso Ente elettrico gli impianti di produzione di energia nel Sulcis, alimentati a carbone, diventerebbero due.

La nuova direttiva dell’Ue ha dunque ridato slancio e vigore alla Carbosulcis ed ora si attendono gli interventi del Governo italiano. «Li aspettiamo – precisa Francesco Carta, segretario della Filcea Cgil del Sulcis Iglesiente – perché è importante che queste direttive trovino immediata applicazione in un piano di massima valorizzazione delle risorse energetiche nazionali. Il fallimento della privatizzazione della miniera e la conseguente mancata realizzazione dell’impianto Igcc non dovevano in alcun modo far pensare alla dismissione del cantiere di Nuraxi Figus. Sotto lo strato superficiale – conclude il sindacalista – ci sono miliardi di tonnellate di carbone, che rappresentano una riserva energetica di notevole importanza».

 

Metano

 

Posa a cielo aperto di una conduttura del metanodotto Algeria-Italia
Posa a cielo aperto di una conduttura del metanodotto Algeria-Italia
Arriverà dunque dal Nord Africa il metano per la Sardegna? Sembra proprio di sì, almeno stando alla legge delega approvata dal Consiglio dei Ministri, su proposta del ministro delle Attività produttive Antonio Marzano, che ha lanciato il progetto del nuovo gasdotto dall’Algeria in Italia attraverso la Sardegna. Il provvedimento, all’articolo 15, stanzia per il biennio 2003-2004 la somma di 225 milioni di euro (450 miliardi di lire circa) per potenziare le infrastrutture internazionali di approvvigionamento di gas naturale ed altri 175 milioni di euro (350 miliardi di lire) nel triennio 2002-2004 per la realizzazione del nuovo metanodotto tra Algeria ed Italia.

Obiettivo del Governo è «lo sviluppo del sistema del gas, la sicurezza degli approvvigionamenti e la crescita del mercato energetico». A tal fine «sono concessi contributi per il potenziamento e la realizzazione di infrastrutture di approvvigionamento di gas naturale presso paesi esteri, in particolare per la costruzione del metanodotto dall’Algeria in Italia attraverso la Sardegna».

Il metanodotto sottomarino è un vecchio pallino del presidente della Regione Mauro Pili. Nell’agosto del ’99, all’epoca della prima elezione, Pili parlò esplicitamente di gasdotto per la metanizzazione della Sardegna, anche se allora il progetto vedeva come capofila la Libia e non l’Algeria.

Lo spostamento verso quest’ultima è testimoniato dall’attenzione delle principali aziende italiane del settore energetico: l’Eni è presente da anni nella produzione di petrolio, mentre l’Enel ha siglato lo scorso anno un contratto con la compagnia statale algerina Sonatrach per la fornitura di 2 miliardi di metri cubi di metano, che vanno ad aggiungersi ai quattro miliardi del contratto ventennale firmato all’inizio degli anni ’90. Inoltre, l’Enel potrebbe essere interessato alla costruzione di un impianto di dissalamento in una centrale elettrica, mentre l’Eni (attraverso Saipem) parteciperà alla progettazione e costruzione del gasdotto.

L’interesse per il mercato algerino è più che giustificato. Gli idrocarburi rappresentano il 97 per cento delle esportazioni, il 60 per cento delle entrate di bilancio ed il 20 per cento del Pil. Il Paese maghrebino, inoltre, è il secondo esportatore di gas al mondo e l’Italia è molto impegnata a sfruttare le sue risorse di metano. Il Governo italiano, ad esempio, con l’Eni, punta a potenziare di un terzo la capacità del gasdotto Transmed, facendola passare da 22 a 32 miliardi di metri cubi l’anno.

Tornando al progetto del metanodotto Algeria-Europa, nel mese di maggio è stato compiuto un notevole passo in avanti, con l’approvazione, da parte della sessione plenaria del Comitato delle Regioni, del principio che «le reti transeuropee energetiche devono prioritariamente collegare le isole, rafforzando l’interconnessione col Mediterraneo». La proposta, di cui è stato relatore il presidente della Regione, Mauro Pili, è passata all’unanimità ed è la prima volta che il Comitato sancisce il ruolo strategico delle isole negli orientamenti delle reti transeuropee energetiche.

POTENZIALE CONSUMO DI GAS NATURALE IN SARDEGNA

 

consumo per utente  (m3/anno/utente)

consumo per settore (milioni/m3/anno)

  n. utenti

min.

max

 

min.

max

1 . settore civile 517.468  
- uso cucine

90

150  
- acqua calda sanitaria 200 270  
- riscaldamento 350 450  
- totale 517.468 640 870

232

315

2. settore terziario 35 47
3. settore industria 176 274
4. termoelettrico  
(4 gruppi/960 MW) 1.267 1.521
5. autoproduttori 200 400
totale consumo        

1.910

2.557

   

Il consumo del settore civile si riferisce ad una domanda potenziale del 70% degli

 utenti  
  Il consumo totale si riduce ovviamente se i gruppi alimentati a gas naturale sono 3, 2 o 1 solo (1488/2041,     1.065/1.534, 854/1.280).
fonte: elaborazione "Sardegna industriale" su dati Centro regionale di programmazione.  

 

LA FATTURA ENERGETICA DELLA SARDEGNA

(confronto tra l'utilizzazione di gpl e gasolio rispetto al metano - anni 1999 e 2001

 

consumo

costo

rnetano eq

costo

diff. costo

prodotto

(ton. x 1.000)

(miliardi di lire)

(milioni di me)

(miliardi di lire)

(miliardi di lire)

anno 1999

 

 

 

 

 

gpl uso industriale

100,000

73,000

133,330

37,066

35,934

gpl uso civile

23,000

56,557

30,666

31,831

24,726

gasolio uso civile

289,000

501,993

357,291

370,868

131,125

totale

 

631,550

 

439,765

191,785

anno 2001

 

 

 

 

 

gpl uso industriale

92,000

78,000

122,664

36,000

42,000

gpl uso civile

27,000

77,000

36,000

39,000

38,000

gasolio uso civile

186,000

337,590

228,100

247,000

90,590

totale

 

492,590

 

322,000

170,590

   
Il minor consumo di gasolio per uso civile nel 2001 rispetto al 1999 è dovuto soprattutto all'avviamento dell'impianto Targas a Sarroch
fonte: Consulting Investment Sardinia - Cagliari      

La proposta approvata dal Comitato delle Regioni si fonda su quattro punti: gli assi prioritari delle reti transeuropee energetiche devono sostenere lo sviluppo delle regioni insulari e di quelle prive di accesso alle reti; le reti devono rafforzare la sicurezza dell’approvvigionamento della Comunità; nella scelta dei progetti prioritari la Commissione dovrà considerare i provvedimenti già adottati dagli Stati; all’allargamento ad Est dell’Ue deve corrispondere una politica energetica verso il Mediterraneo, definendo un’azione “Euromed energia”.

Successivamente, il presidente Pili e l’assessore all”industria, La Spisa, hanno avviato una serie di incontri tecnici per approfondire le questioni legate al progetto di metanizzazione della Sardegna. «Occorre predisporre un quadro dettagliato dei progetti e delle risorse messe finora in campo dalla Regione – hanno detto Presidente ed Assessore – per poter definire una strategia d’azione. La nuova impostazione data al progetto, che prevede iniziative nazionali ed internazionali tra Italia, Algeria e Francia, comporta una ridefinizione della posizione del Governo regionale e del ruolo che intende assumere in questa prima fase della vigilia della gara internazionale».

Secondo La Spisa, l’approfondimento di tutte le questioni legate al progetto di metanizzazione è necessario, per evitare di farsi cogliere impreparati sia sul piano delle cognizioni tecniche sia su quello dei benefici economici.

Per quanto riguarda il piano nazionale, il Governo intende coinvolgere nel finanziamento l’Unione europea, affinché possa affiancarsi ai progetti di project financing pensati per l’opera.