Bimestrale di informazione economica

 
Home page
Presentazione

Arretrati e abbonamenti

E-mail

Archivio

Riviste
Argomenti
Ricerca semplice
Ricerca avanzata
News

Sommario


Editoriale
Gherardo Gherardini
L'Europa rivaluta la risorsa carbone
Claudio Allevi
Targas: un impianto all'avanguardia

Uno strumento per orientare lo sviluppo

Sintesi del documento di programmazione economica e finanziaria per la Sardegna - 2003-2005

Una nuova stagione per i trasporti?

Sintesi dei Piani regionali dei trasporti e delle merci

 

Uno strumento per orientare lo sviluppo

 

Il presidente della Regione Mauro Pili e il commissario europeo per la Politica regionale Michel Barnier nel corso di un recente incontro a Bari
Il presidente della Regione Mauro Pili e il commissario europeo per la Politica regionale Michel Barnier nel corso di un recente incontro a Bari
Con l’approvazione, avvenuta il 17 luglio scorso, del Documento di programmazione economica e finanziaria per gli anni 2003-2005, la Regione si è dotata dello strumento operativo, previsto dalla legge, che le consentirà di orientare lo sviluppo economico nei prossimi anni. Uno strumento che delinea gli obiettivi e le azioni di intervento, coordina i flussi finanziari pubblici e determina l’ammontare delle risorse disponibili.

Il Dpef (questa è la sigla con la quale si identifica il Documento del quale pubblichiamo un’ampia sintesi nelle pagine successive) è figlio della “filosofia” del nuovo quadro programmatico regionale, nel quale l’intervento pubblico sull’economia dell’isola viene considerato all’interno di un unico ciclo di programmazione. Un ciclo che comprende tutti gli strumenti finalizzati allo sviluppo dell’isola: il Quadro comunitario di sostegno 2000-2006, l’Intesa istituzionale di programma Stato-Regione del 1999, i fondi Cipe per le aree depresse, le politiche regionali di programmazione finanziaria ed economica con i relativi meccanismi attuativi, fra i quali appunto il Dpef, gli stanziamenti e gli interventi del bilancio dello Stato “territorializzato” su base regionale.

Il principale obiettivo strategico insito nel nuovo ciclo di programmazione consiste nell’utilizzare le rilevanti risorse che si renderanno disponibili come una leva per determinare un “grande salto” nell’accrescimento della competitività e della produttività, in termini strutturali, della Sardegna e delle altre regioni del Mezzogiorno.

Si tratta di un modello di crescita basato sia sulla convenienza alle localizzazioni produttive (concentrazione ed integrazione degli interventi) determinate dalle risorse mobili, capitale e lavoro specializzato ed imprenditoriale, sia sulle risorse immobili, patrimonio naturale e culturale, specificità della posizione geografica e radicamento del capitale umano in sistemi produttivi locali.

È una strategia di sviluppo che sposta l’accento dal potenziamento della domanda al potenziamento dell’offerta: offerta di lavoro qualificato, di servizi competitivi e qualità della vita, di localizzazioni convenienti, quali precondizioni per attivare la domanda.

In questo meccanismo programmatorio, che inquadra la Sardegna nel grande scenario europeo e nazionale, nuovi problemi si presentano, derivanti dalla configurazione che l’Unione europea si appresta ad assumere e dalla dimensione extraeuropea che avrà la zona di libero scambio che nel 2010 si aprirà tra i Paesi del Sud e dell’Est del Mediterraneo.

Su questi aspetti e sulle prospettive che si aprono per la Sardegna, abbiamo rivolto una serie di domande al presidente della Regione Mauro Pili.

 

Presidente Pili, lei ha recentemente incontrato, a Bari, il commissario europeo per la Politica regionale, Michel Barnier. Ci può indicare i principali temi che, nella circostanza, ha ritenuto di dover sottolineare?

L’incontro con il commissario europeo Barnier è stata un’importante occasione per mettere a punto strategie e politiche di sviluppo, per valutare lo stato di attuazione dei programmi, focalizzare criticità e favorirne il superamento, prospettare nuovi scenari per individuare le indispensabili priorità di governo. Ho rappresentato la volontà della Sardegna di ridefinire la pianificazione dei Fondi europei verso un piano strategico complessivo, che abbia come presupposto la realizzazione delle precondizioni infrastrutturali e come obiettivo lo sviluppo economico.

Per quanto riguarda il rapporto con l’Europa, ho ribadito la necessità del riconoscimento dell’insularità come condizione permanente, da affrontare attraverso misure specifiche che mantengano, di fatto, le isole nell’obiettivo prioritario dell’Unione europea.

Per quanto concerne, invece, il rapporto col Mediterraneo, ho tenuto ad evidenziare tre aspetti: la valorizzazione del corridoio marino occidentale, in cooperazione con la Corsica; la partecipazione in primo piano alla realizzazione della nuova linea di adduzione metanifera dall’Algeria; la cooperazione con la sponda meridionale mediterranea nella lotta alla desertificazione.

 

Lei ha citato i Fondi europei. Ricordiamo che tra il 1994 ed il 1999 la Sardegna è stata interessata dall’attuazione di un gran numero di programmi di sviluppo cofinanziati dall’Unione europea: le risorse stanziate dal Pop regionale sono state affiancate da altre, provenienti da Pom, Pic ed altri programmi di iniziativa comunitaria. È poi entrato nella fase operativa il Por Sardegna, per gli anni 2000-2006. Quale giudizio complessivo può dare sul conseguimento degli obiettivi indicati dall’Unione, vale a dire 1’integrazione politica ed economica e la coesione economica e sociale?

Gli obiettivi indicati, pienamente condivisibili e da noi condivisi, non possono considerarsi del tutto raggiunti, cosi come è evidente che il percorso per conseguire questi traguardi diverrà ancora più complesso con l’allargamento dell’Unione ai nuovi Stati.

Dal punto di vista della Regione Sardegna non può non essere rimarcato che le differenze in termini strutturali di sviluppo tra le diverse aree dell’Unione attualmente non risultano superate, e che esse permangono ben oltre quanto rivelino gli indicatori del Pil pro capite, in relazione ai livelli di occupazione, agli standard dei servizi ed all’accesso alle reti energetiche, di trasporti e di comunicazione. Questo vale in particolare per le isole, in considerazione degli handicap derivanti dalla loro collocazione geografica.

 

In quali grandi progetti europei vorrebbe veder coinvolta la Regione nei prossimi trent’anni?

In primo luogo, trasporti, telecomunicazioni, energia, approvvigionamento idrico. Sono questi gli handicap strutturali di una regione insulare come la Sardegna, che ha individuato da tempo specifiche proposte sia nei rapporti con lo Stato (in particolare, nell’Intesa istituzionale di programma stipulata nel 1999), sia nella programmazione dei Fondi strutturali europei (Por e Complemento di programmazione) per il periodo 2000-2006. In quest’ambito, continuità territoriale nei trasporti marittimi ed aerei da e per il continente ed approvvigionamento di gas naturale dal Nord Africa sono oggetto di specifiche iniziative della Regione in sede nazionale e comunitaria.

In secondo luogo, sviluppo delle conoscenze, ricerca scientifica e tecnologica, salvaguardia e valorizzazione dell’ambiente. Sono questi gli assi principali sui quali la Regione Sardegna intende fondare le proprie politiche di sviluppo.

Evidentemente, tutti i grandi progetti europei che riguardino i temi da me individuati sono di diretto interesse per la nostra isola.

 

Nell’ambito della revisione dei Trattati, come deve essere riproposto l’obiettivo di coesione economica e sociale di solidarietà?

Il perdurare di rilevanti differenze tra aree dell’Unione in ordine ai livelli occupativi ed alle condizioni di vita rende necessario non solo continuare, ma anche rafforzare le politiche di coesione. Come ho già detto, tali politiche non hanno, in particolare, annullato i gap strutturali delle regioni periferiche ed insulari. Il prossimo allargamento dell’Unione a nuovi Paesi, in particolare dell’Est europeo, potrebbe comportare conseguenze negative per tali regioni.

In assenza di nuove iniziative, molte isole attualmente ricomprese nell’Obiettivo 1, rischiano di non poter più accedere ai fondi strutturali e di non poter più fruire della soglia occorrente di aiuti di Stato, nonostante il fatto che verosimilmente i rispettivi problemi non saranno stati risolti. Dopo il 2006, pertanto, occorrerà prevedere che le risorse per la coesione siano sufficienti a coprire non solo le esigenze dei nuovi Stati membri, ma anche delle Regioni che oggi necessitano del sostegno allo sviluppo economico e sociale.

Per questa ragione, con specifico riferimento alle isole, al fine di fronteggiare e compensare gli svantaggi derivanti dall’insularità, occorrerà elaborare strumenti speciali d’intervento, che tengano conto non solo dei criteri legati al pil, ma anche della realtà territoriale e geografica.

 

L’obiettivo di coesione e di solidarietà è attuato dall’Unione europea attraverso lo strumento della politica regionale ed i relativi strumenti finanziari, i Fondi strutturali. Secondo lei, l’intervento europeo apporta un effettivo valore aggiunto rispetto all’intervento nazionale, regionale e locale? E nella prospettiva degli allargamenti, l’attuazione della politica di sviluppo regionale europea dovrà seguire gli attuali criteri di attribuzione o essere riformata?

La risposta alla prima domanda è senz’altro positiva. Mi preme precisare che i Fondi strutturali europei costituiscono una decisiva massa di risorse aggiuntive sia rispetto a quelle derivanti dalle finanze regionali, le quali sarebbero da sole insufficienti per far fronte ai problemi derivanti dal ritardo nello sviluppo, sia rispetto a quelle derivanti dal bilancio dello Stato, il cui intervento straordinario ed ordinario a favore della Sardegna è venuto negli anni a ridursi sensibilmente.

Per quanto riguarda la revisione degli attuali criteri di attribuzione, il tema è ampiamente dibattuto in relazione alla prospettiva dell’allargamento. Basti pensare all’inadeguatezza del criterio del pil pro capite in relazione a determinate realtà in ritardo nello sviluppo appartenenti agli attuali Stati membri.

La riduzione della politica di sviluppo regionale ad un semplice fondo di sostegno per le regioni europee più povere, d’altra parte, non sembra essere una risposta adeguata rispetto ai principi generali di coesione e sviluppo armonioso ed equilibrato che l’Unione intende perseguire.

L’esigenza di una politica regionale di ampio respiro resta dunque attuale nella prospettiva dell’allargamento. È evidente che permarrà, in tale ambito, la necessità di distinguere (qualitativamente e quantitativamente) una strumentazione specificamente rivolta alle realtà in ritardo nello sviluppo ed una finalizzata invece a promuovere competitivamente il raggiungimento di obiettivi di eccellenza, in una logica di sviluppo policentrico e non concentrato su un ambito territoriale limitato. In entrambi i casi, una maggiore flessibilità nella allocazione dei fondi si imporrà sia al al fine di tener presenti le ragioni specifiche di ritardo nello sviluppo (in particolare individuando strumenti idonei per fronteggiare handicap permanenti dovuti a limiti geografici e distinguendo tali strumenti da quelli occorrenti per superare in un arco di tempo programmabile i limiti derivanti da fattori storici); sia al fine di riprogrammare gli obiettivi di eccellenza in relazione ai cicli economici e sociali europei e mondiali, ai diversi gradi di sviluppo raggiunti dalle varie realtà territoriali, alle differenti vocazioni produttive maturate nel tempo dalle stesse.

 

Nella sua qualità di Presidente di Imedoc, l’organismo rappresentativo delle isole del Mediterraneo Occidentale, quali prospettive vede come conseguenza dell’allargamento? E come la questione insulare si inserisce nelle tematiche della coesione?

Lo dico con rammarico, ma con estrema sincerità: l’allargamento dell’Unione europea ad altri 12 o 13 membri potrebbe avere effetti deleteri nei confronti delle isole dell’Unione stessa. Con la riduzione del pil pro capite medio comunitario del 18%, fermi restando gli attuali criteri utilizzati per l’assegnazione dei fondi comunitari, l’effetto su molte isole sarebbe immediato e comporterebbe, tanto per fare un esempio, l’uscita dall’Obiettivo 1 – che assorbe circa il 70% di tutti i Fondi strutturali – della Sicilia e della Sardegna, che godono attualmente di finanziamenti pari rispettivamente a 9,415 e 4,686 miliardi di euro.

Il presidente della Regione Mauro Pili, accompagnato dall'europarlamentare Mario Segni e dal consigliere regionale Massimo Fantola, incontra a Bruxelles il presidente della Commissione europea Romano Prodi
Il presidente della Regione Mauro Pili, accompagnato
dall'europarlamentare Mario Segni e dal consigliere
regionale Massimo Fantola, incontra a Bruxelles
il presidente della Commissione europea Romano Prodi
Questo perché nella programmazione dei Fondi strutturali è mancata sinora una specifica tutela delle isole in quanto tali. Eppure il Trattato di Amsterdam, istitutivo della Comunità europea, all’articolo 158 prevede che per rafforzare la coesione economica e sociale la Comunità debba mirare a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite ed insulari. Un’affermazione sottolineata recentemente nelle conclusioni del vertice di Nizza, dove il Consiglio europeo ha ribadito la necessità di azioni specifiche a favore delle regioni insulari, a motivo dei loro svantaggi strutturali, che ne ostacolano lo sviluppo economico e sociale.

Esiste quindi un evidente scollamento fra quanto previsto dalle norme comunitarie, che danno ormai per acquisito il principio secondo il quale l’insularità rappresenta uno svantaggio strutturale permanente, e la corrente programmazione dei Fondi strutturali, che non prevede un regime specifico per le isole.

L’assenza di una tutela mirata e calibrata specificamente per l’insularità potrebbe determinare, nella prossima fase di programmazione, quella che destinerà risorse importanti e significative alle regioni in ritardo di sviluppo dei futuri nuovi membri dell’Unione, una deleteria assenza di risposte alle aspettative delle isole.

Ecco perché, alla luce di una più evoluta valutazione della coesione, la questione insulare assume una valenza specifica e permanente non più rinviabile. Proprio su questo tema intendo avanzare con forza la necessità di definire una apposita misura, anche all’interno dell’Obiettivo 1, che di fatto consenta alle isole di usufruire in termini permanenti di contributi e strumenti per affrontare il gap geografico. La condizione di insularità richiede una continua attenzione e la gestione del divario permanente potrà essere realizzata solo grazie agli strumenti ed alle risorse delle politiche di coesione, cui ancora oggi sono legate le maggiori e migliori prospettive per la crescita della nostra regione.