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Una nuova strategia per il polo di Portovesme

Porto Torres: attesa per il piano industriale di E.On

In forse il progetto miniera-centrale elettrica

Le nuove strade dell'energia

Le nuove reti di distribuzione del gas

Centrali pulite nel rispetto dell’ambiente

Sintesi del Piano energetico ambientale regionale

 

In forse il progetto miniera-centrale elettrica

 

Alto contenuto di zolfo e basso potere calorifero  avevano sinora bloccato l’utilizzazione del carbone Sulcis. Questi handicap sono oggi superabili con le moderne tecnologie che sfruttano al meglio anche valori calorici bassi e abbattono totalmente lo zolfo. Il vero problema per il decollo del progetto integrato miniera-centrale, sostengono alla Carbosulcis, è che il documento non ha trovato nella legge 80/2005 il veicolo normativo idoneo a superare i controlli della Commissione.


Il commissario europeo alla Concorrenza, Neelie Kroes
Il commissario europeo alla
Concorrenza, Neelie Kroes
Miniera di Nuraxi Figus
- L’estate 2008 sarà ricordata come la peggiore per il grande sogno del Sulcis: la possibilità di sfruttare il giacimento di Nuraxi Figus per il progetto integrato “miniera – centrale elettrica a carbone”. Una centrale che rischia seriamente di morire ancora prima di nascere, a seguito della procedura di infrazione aperta a metà luglio dalla Commissione europea.
La decisione era nell’aria, ma non per questo ha generato meno sconcerto e disappunto: la Commissione ha contestato tutta la procedura decisa dallo Stato e fatta propria dalla Regione Sardegna. E così anche l’ultimo tassello della legge 80, quella che nel 2005 aveva cercato di disegnare uno scenario roseo per le industrie energivore sarde, è stato demolito da Bruxelles.
«L’Italia intende sovvenzionare il funzionamento di una centrale elettrica, ancora da costruire, acquistando parte dell’elettricità prodotta a prezzi superiori a quelli di mercato. La centrale dovrebbe vendere la restante energia elettrica alle imprese locali ad alto impiego di energia a prezzi inferiori a quelli di mercato. La Commissione – recita una nota diffusa dall’organismo europeo – teme che questo accordo possa produrre un vantaggio concorrenziale indebito a favore del gestore della centrale, che riceverebbe aiuti al funzionamento, e a favore anche degli utenti finali, che potrebbero acquistare energia elettrica a prezzi artificialmente bassi. L’avvio di un’indagine – conclude la nota – offre alle parti la possibilità di presentare osservazioni sulla misura proposta, ma non pregiudica l’esito del procedimento».
Questo significa che una decisione su un’eventuale sanzione sarà presa solo dopo che il Governo italiano avrà risposto ai rilievi della Commissione e che da Bruxelles arriva anche l’invito a sospendere l’avvio del progetto, fino a quando non sarà definito il procedimento. Peraltro, la Commissione europea continua a manifestare non pochi dubbi sui prezzi agevolati a favore delle imprese che consumano molta energia.
Lapidarie le dichiarazioni del senatore Pd, Francesco Sanna. «Purtroppo è un altro pezzo della legge 80 che cade. A questo punto il Governo, così come sta facendo sul versante delle tariffe energetiche, si muova subito e trovi la soluzione con un vero negoziato a Bruxelles per utilizzare il carbone senza turbare il mercato. Il progetto integrato, magari con la cattura del CO2, deve andare avanti».
Miniera di Nuraxi Figus: impianto trattamento carbone
Nuraxi Figus: impianto trattamento carbone
Di ben altro tono le dichiarazioni del deputato Pdl, Mauro Pili, già presidente della Regione. «È l’ennesimo fallimento della politica energetica della Giunta regionale. La centrale a carbone rappresentava uno snodo fondamentale di una piattaforma energetica che avrebbe consentito alla Sardegna di produrre energia in quantità sufficienti anche per l’esportazione. Soru – ha detto Pili – ha bloccato per tre anni quel progetto sostenendo la tesi che la Sardegna non doveva produrre energia per l’esportazione, dovendosi limitare alla sola produzione legata ai consumi interni. Quello che dobbiamo chiedere, oggi come ieri, sono azioni tese al riequilibrio infrastrutturale e tariffario. È indispensabile il riconoscimento del gap derivante dall’insularità».
Le dichiarazioni di Mauro Pili non sono ovviamente piaciute all’assessore regionale dell’Industria, Concetta Rau. «Lascia stupefatti – ha detto – la disinvoltura con cui l’ex presidente modifica eventi e atti. Nelle fumose accuse alla Regione si omette il cuore del problema: la censura della legge 80 del 2005. La Commissione europea contesta la legittimità delle misure contenute in una legge del 2005 del governo Berlusconi. Una legge che richiama forme di aiuto e agevolazione (il Cip 6) del 1994, mai autorizzate. La sua debolezza è stata segnalata dalla Regione in tante note al Governo, ma Berlusconi ritenne comunque di far approvare il testo oggi sotto contestazione».
Fra polemiche, botte e risposte verbali, interrogazioni parlamentari e pause di riflessione, il tempo è passato e non si conosce ancora quale strategia abbia adottato il Governo e come, nei dettagli, abbia risposto alle contestazioni partite qualche mese fa da Bruxelles. Né, tutto sommato, è dato sapere cosa farà la Regione, che in questa fase si limita al ruolo di interessato ma impotente spettatore.
L’unico dato certo è la presenza della miniera di Nuraxi Figus, che nel suo portafoglio clienti ha solo l’Enel per un contratto triennale, che scade nel 2009, per un totale di un milione e centomila tonnellate di minerale da bruciare nella centrale di Portovesme. Nel giugno scorso, quando si sono diffuse le prime voci del pollice verso europeo, il presidente della Regione, Renato Soru, avrebbe parlato (secondo quanto riferito dai sindacati) di una “Soluzione di riserva”. «Basta solo applicare  il Dpcm 8 marzo 2002 che “consente l’uso di combustibili indigeni nella Regione  Sardegna” e il gioco è fatto», avrebbe detto. La soluzione prevederebbe l’inserimento della centrale di Fiume Santo, quando entrerà in funzione il gruppo da 410 megawatt, tra gli acquirenti del carbone Sulcis  per le quantità eventualmente non utilizzabili dall’Enel a Portovesme.
Un mnatore della Carbosulcis alla fine del turno di lavoro
Un mnatore della Carbosulcis
alla fine del turno di lavoro
Con queste cifre tutti gli attori del gioco ne trarrebbero un evidente vantaggio. Chi deterrà le centrali a Fiume Santo potrà disporre di un carbone che costa oggi il 30 per cento in meno di quello importato dall’Africa o dall’Australia e che, opportunamente miscelato, riporta la concentrazione di zolfo ai valori normali. La miniera, poi, avrà un mercato sicuro e raggiungerà il pareggio di bilancio senza affanni.
L’ipotesi della “Soluzione di riserva” ha provocato diverse reazioni. Negative quelle dei delegati sindacali della Portovesme Srl, secondo i quali «la soluzione per le industrie energivore del Sulcis non passa attraverso la vendita del carbone a Fiume Santo. Bisogna insistere sulla strada della centrale, a contatto di gomito degli utilizzatori di energia». Critica anche la posizione del consigliere regionale Claudia Lombardo (FI): «La Giunta ha ingranato la retromarcia, vanificando i risultati ottenuti con l’Intesa Stato-Regione del dicembre 2003, che ha visto un coinvolgimento e una concertazione continua con le parti sociali, oggi completamente tenute ai margini ed escluse da ogni processo decisionale».
Di diverso tenore le dichiarazioni dei sindacalisti della Carbosulcis. «Il sindacato – affermano Stefano Meletti (Uil) e Giancarlo Sau (Cgil) – è rimasto fermo al progetto integrato miniera-centrale. La vendita del carbone alla centrale di Fiume Santo è per noi un problema squisitamente politico e quindi va affrontato nelle sedi opportune. Se le autorità di governo decidono che sia possibile bruciare carbone anche a Fiume Santo, si modifichi la norma di legge e nel contempo si adeguino anche gli impianti minerari. C’è carbone a sufficienza per soddisfare un ampio ventaglio di esigenze».

Carbosulcis Da quando il Governo nazionale ha annunciato che «entro cinque anni sarà posata la prima pietra delle nuove centrali nucleari italiane», si è riaperto il dibattito tra favorevoli e contrari. Ci si è anche chiesti se il rilancio del nucleare possa in qualche modo pregiudicare il progetto di puntare sul carbone Sulcis, visti i prezzi del petrolio e le sue riserve limitate.
«Il carbone – afferma Andreano Madeddu, presidente della Carbosulcis – è attualmente la fonte su cui stanno puntando tutte le maggiori economie industrializzate e sinceramente non penso che puntare sul nucleare possa penalizzarne le prospettive, considerato che in questo momento è la fonte energetica che garantisce il minor costo per chilowattora prodotto».
In effetti, tutte le economie in crescita puntano decise sul carbone. Esemplare il caso della Cina, che fino a due anni fa esportava carbone, mentre ora (e progressivamente sempre di più) è costretta a fare ricorso al mercato internazionale determinando un aumento della domanda e dunque un aumento del prezzo di questa materia prima a livello globale.
Un particolre dell'impianto esterno della miniera di Nuraxi Figus
Un particolare dell'impianto esterno della miniera
di Nuraxi Figus
In un anno, nella sola Repubblica popolare cinese si sono bruciate due miliardi e mezzo di tonnellate di carbone. In Italia, attualmente solo il 12 per cento dell’energia prodotta deriva dal carbone; ben lontano dalle percentuali tedesche, dove la fonte carbone produce da sola quasi il 50 per cento dell’energia.
In questo scenario, come si colloca la Carbosulcis? «Un’azienda che deve farsi carico della coltivazione della miniera, ovviamente, ma anche un’azienda tra le protagoniste nel settore della ricerca e dell’innovazione», sottolinea Madeddu, che delinea le attività collaterali a quella tradizionale dell’estrazione del carbone. «Le parole chiave – spiega – sono contenute in tre sigle: Ecbm, Css, Ucg. La prima significa Enhanced coal bed methane e indica il procedimento di recupero del metano dai giacimenti di carbone del sottosuolo. Col sistema Carbon capture and storage si cattura l’anidride carbonica prodotta dalle industrie che bruciano fossili  e la si immagazzina nei siti geologici adatti, tra i quali i giacimenti carboniferi e quelli salini acquiferi profondi. Infine, con l’Underground coal gassification si lavora per gassificare il carbone direttamente nel sottosuolo».
Questi tre processi fondamentali (insieme ad altri minori) sono nei programmi a breve di Carbosulcis, a testimonianza di una posizione di avanguardia nella ricerca, secondo le linee guida tracciate dall’Unione europea.
Attualmente, Carbosulcis è impegnata in un’attività di trivellazione nelle campagne tra San Giovanni Suergiu e Portoscuso, con un permesso di ricerca rilasciato dalla Regione. Andreano Madeddu spiega che «le prime trivellazioni serviranno per appurare la consistenza del giacimento di carbone a profondità superiori agli 800 metri, verificare quale è il contenuto di metano, la presenza di acque termali e confermare l’idoneità degli strati profondi di carbone ad immagazzinare l’anidride carbonica». Insomma, un’esplorazione che consentirà di acquisire le conoscenze tecniche per impostare i progetti. A supporto del team di tecnici della Carbosulcis lavorano affiancati due geologi polacchi, esperti in perforazioni profonde, che hanno già collaborato al Recopol, un progetto analogo realizzato nel loro Paese. 
«Comunque – aggiunge Madeddu – non esiste il rischio di lavorare a vuoto, perché ci stiamo muovendo in linea con le scelte strategiche dell’Unione europea, che ha deciso di adottare il nostro come uno dei sistemi per limitare le emissioni di gas serra in ossequio ai dettami del protocollo di Kyoto».
Ciò significa che la Carbosulcis sarà in grado di sperimentare nuove tecnologie da cedere, poi, ad altri Paesi interessati a realizzare progetti analoghi per lo sfruttamento dei giacimenti di carbone più profondi.
Ma non è grazie ai programmi avveniristici di domani che l’azienda si può mantenere in piedi oggi. I due miliardi di tonnellate di carbone presenti nel sottosuolo, da Gonnesa  a Portoscuso e San Giovanni Suergiu e sotto il mare fino a Carloforte, hanno una sola destinazione logica: quella di venire estratti e lavorati. Per questo servono giovani e competenti energie, e la Carbosulcis di oggi registra un’età media più bassa e un livello di preparazione tecnica molto più alto rispetto al recente passato.
In cosa consiste allora il problema? La “vecchia” motivazione è che il carbone Sulcis si porta appresso due handicap che negli anni scorsi sono risultati decisivi per bloccare qualunque progetto di espansione: l’alto contenuto di zolfo (6%) e un potere calorifero tra le 5 e le 6 mila chilocalorie. Ma questi handicap sono oggi superabili senza eccessive difficoltà, con le moderne tecnologie che sanno sfruttare al meglio anche valori calorici bassi e abbattono totalmente lo zolfo.
«Il vero problema – sottolinea Madeddu – è che  il progetto integrato miniera/centrale, attorno al quali ruotano tutte le altre tessere del mosaico energetico del Sulcis, non ha trovato nella legge 80/2005 il veicolo normativo idoneo a superare i controlli della divisione Concorrenza della Commissione europea. E stavolta sono puramente giuridiche, anziché tecnico-ambientali come in passato, le motivazioni che ne rinviano ulteriormente la valorizzazione».

Sotacarbo – L’attuale scenario energetico mondiale vede due esigenze contrapposte. Da un lato quella di soddisfare la sempre crescente domanda di energia per l’incremento notevole dei consumi, soprattutto nei Paesi emergenti (Cina e India), con maggior utilizzo di combustibili a basso costo e disponibili in grande quantità, come il carbone. Dall’altro lato, la necessità di ridurre il surriscaldamento del pianeta e le variazioni climatiche causate dai gas serra e dalle emissioni di anidride carbonica in prevalenza emesse dal consumo dei combustibili fossili.
Due sfide che possono essere coniugate con lo sviluppo delle tecnologie “a emissione zero”, che prevedono la cattura dell’anidride carbonica e il suo confinamento nel sottosuolo. È in questo quadro che si inserisce l’attività della Sotacarbo e del suo nuovo Centro ricerche inaugurato a Carbonia.
Ci sono voluti sei anni per costruirlo e oltre dieci milioni di euro di investimento, ma da metà maggio il Centro è finalmente una realtà. Quello che un tempo era il magazzino della Grande Miniera di Serbariu, è adesso la sede della società che studia l’utilizzo di nuove tecnologie per la produzione di energia. Una sede messa a disposizione dal Comune di Carbonia, che vi ha investito due milioni e mezzo provenienti dal finanziamento regionale dell’annualità duemila della legge sul lavoro. Gli altri otto li ha messi a disposizione la Sotacarbo per realizzare la piattaforma tecnologica. Si estende su una superficie coperta di circa 2.500 metri quadrati, oltre a un’area attrezzata di diecimila metri quadri per l’installazione di impianti sperimentali.
«La principale delle ricerche è quella inserita nel progetto “Cohygen” – spiega il presidente Mario Porcu – e prevede lo sviluppo di tecnologie di produzione e trattamento del gas di sintesi ottenuto dal carbone per la produzione di idrogeno e la cattura dell’anidride carbonica».
Facile capire che in ballo non c’è tanto il futuro del carbone Sulcis, quanto quello del sistema energetico nazionale, visto che il ricorso al combustibile solido sarà sempre più necessario per compensare l’aumento dei costi delle altre fonti energetiche non rinnovabili. Quindi si impone l’esigenza di mettere a punto sistemi innovativi che consentano l’impiego del carbone riducendo a zero le emissioni inquinanti (micropolveri e microparticelle) e annullando l’immissione in atmosfera di anidride carbonica.
«Lavoriamo per realizzare impianti dimostrativi – illustra Porcu – ma la loro dimensione è tale che possono già essere definiti industriali e non di laboratorio. Ciò significa avere prospettive di inserimento nel mercato, di vendita di tecnologia e degli stessi impianti. La nostra è una struttura viva, che punta ai modi di utilizzo del carbone con modalità ecocompatibili. La Sotacarbo è una frontiera dell’innovazione, un punto di riferimento nazionale e internazionale».
Alla società, d’altronde, guardano con interesse le più importanti aziende del settore. L’Enea affianca in permanenza le iniziative, ma fra i partner troviamo anche l’Ansaldo, la Tekint, le Università. Né va trascurato l’occhio attento del ministero per lo Sviluppo economico e dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas.
Parlare di speranze per il futuro sembra a questo punto riduttivo, perché progetti e realizzazioni sono tutti in stato avanzato, e il futuro è ormai a pochi passi.
Pur non essendo un personaggio poco incline ai facili entusiasmi, il sindaco di Carbonia, Tore Cherchi, dimostra grande soddisfazione per l’apertura del Centro. «Ci siamo impegnati affiancando la Sotacarbo e destinando risorse per questo progetto, nella convinzione che la ricerca nelle tecnologie di utilizzo “pulito” del carbone rappresenti per il nostro territorio un elemento di straordinaria importanza». Ma Cherchi si spinge anche più in là e rivela che, sempre a Serbariu, accanto agli impianti Sotacarbo, potrebbero svilupparsi altri importanti filoni di ricerca nel campo dell’energia rinnovabile. Uno di questi potrebbe essere l’impianto temodinamico ad alta temperatura per la produzione di energia dal sole, al quale stanno lavorando gli esperti di Sardegna Ricerche.
Insomma, il sindaco di Carbonia è convinto che «il fronte della ricerca è destinato ad allargarsi da Serbariu al panorama europeo e anche mondiale». «Tra l’altro – aggiunge Cherchi – la presenza di grossi gruppi, pronti a tradurre in applicazioni industriali i nuovi processi e le nuove tecnologie messe a punto dai ricercatori, produrrà una ricaduta considerevole in termini di occupazione, visto che gli accordi prevedono che i nuovi impianti vengano localizzati in Sardegna».