Bimestrale di informazione economica

 
Home page
Presentazione

Arretrati e abbonamenti

E-mail

Archivio

Riviste
Argomenti
Ricerca semplice
Ricerca avanzata
News

Sommario

Salvatore Cherchi *
Editoriale
Lucio Piga
Per un nuovo sviluppo investire in risorse umane
a cura della redazione
Valorizziamo le nostre ricchezze
Andrea Saba - Banco di Sardegna
L'economia del Sulcis Iglesiente - prima parte

L'economia del Sulcis Iglesiente - seconda parte

L'economia del Sulcis Iglesiente - terza parte

 

L'economia del Sulcis Iglesiente - seconda parte

 

L'ECONOMIA DEL SULCIS IGLESIENTE - seconda parte

4. La struttura produttiva

1.1. L’agricoltura

Il Sulcis Iglesiente presenta un grado di diversificazione della struttura produttiva secondo in provincia solo a quello dell’Area vasta di Cagliari. Rivestono infatti un ruolo rilevante sia l’attività industriale – qui più proiettata verso la manifattura e meno sull’edilizia – che quella dei servizi. Quest’ultima sconta peraltro – con l’eccezione delle isole – un basso grado di sviluppo turistico ed una limitata offerta ricettiva e di servizi connessi.

Pur in questo quadro, che differenzia fortemente l’area in esame dall’ambiente economico ad elevato tasso di ruralità presente nella gran parte dell’isola, l’agricoltura gioca un ruolo importante. Come si è osservato nell’ultimo Rapporto sulla provincia di Cagliari, curato dal Banco di Sardegna, continua a rappresentare infatti il primo settore per numero di imprese (il 34% del totale). Nell’ultimo anno si segnala anzi una crescita di quelle iscritte alla Camera di commercio, in controtendenza rispetto all’andamento regionale.

Ciò costituisce, almeno in parte, la conseguenza della diminuita capacità degli altri settori di creare nuove opportunità di lavoro e di mantenere quelle esistenti. L’agricoltura svolge quindi, in parte, il ruolo di settore rifugio, che nei momenti di crisi assorbe la manodopera in uscita dalle altre attività.

Nel Sulcis Iglesiente vive più del 20% dei lavoratori agricoli della provincia di Cagliari e opera il 25% delle aziende censite, che lavorano su una equivalente parte della superficie agricola utilizzata. L’attività si svolge prevalentemente lungo la valle del Cixerri, da Uta e Decimoputzu, passando per Siliqua, Narcao, Iglesias e Carbonia, sino ad arrivare al comune di San Giovanni Suergiu (980 aziende) che è, insieme a Calasetta (711), quello con più aziende. In testa alla classifica per numero di lavoratori agricoli troviamo ancora San Giovanni Suergiu (2.717), seguito da Uta (circa 2.100).

Il Sulcis Iglesiente complessivamente considerato ha una densità di occupati in agricoltura inferiore alla media regionale. Ciò segnala, come testè affermato, l’assenza della monocoltura del settore primario e la presenza di una realtà economica più ricca e articolata che altrove. Peraltro l’Area presenta una marcata dicotomia tra i centri maggiori con buona presenza delle attività industriali e di servizio – Carbonia, Iglesias, Portoscuso, Carloforte, Domusnovas e Teulada, caratterizzati da un’incidenza molto bassa dell’occupazione agricola – e tutti gli altri, la cui economia fa invece molto affidamento sul settore primario.

Per quanto riguarda l’utilizzo delle superfici, l’Area si distingue per una forte presenza boschiva. I boschi rappresentano quasi il 50% della superficie totale, contro una media provinciale del 40 per cento. Meno presenti, invece, i seminativi, per i quali sono impiegate il 35% delle superfici. Vi sono peraltro alcuni centri in cui tale destinazione d’uso assorbe quasi integralmente le superfici utilizzate. Tra questi Carloforte, Masainas, Decimoputzu, San Giovanni Suergiu e Villaspeciosa. La destinazione a prato e pascolo assume particolare rilevanza nei comuni di Gonnesa, Carbonia, Giba, Domusnovas, Narcao e Villamassargia.

Il settore zootecnico sta lentamente superando anche nell’Area in esame una delle crisi sanitarie più difficili degli ultimi anni, per cui sia il numero delle aziende che quello dei capi si è notevolmente ridimensionato. Ciò nonostante, rimane tuttora una delle maggiori risorse. I segmenti di maggiore specializzazione sono quelli ovino (179 mila capi) e caprino (35 mila). Nel settore ovino, che vanta il 57% del patrimonio zootecnico complessivo, il maggior numero di capi si concentra a Siliqua (più di 40.000). Altre realtà importanti sono Iglesias, Carbonia, Decimoputzu e Villamassargia (circa 15.000 capi ciascuno). Ma è nel caprino che l’Area presenta la specializzazione più elevata, con l’11% dei capi, quasi il triplo della media regionale (4%). Le realtà con il maggior numero di capi – tra i 5.000 ed i 6.000 – sono Fluminimaggiore, Iglesias e Teulada. Scarsa è invece l’incidenza del settore equino e la presenza di bovini e di suini. Nell’ultimo decennio tutti i segmenti della zootecnia hanno subito un ridimensionamento consistente, superiore in termini percentuali a quello registrato a livello regionale, con l’eccezione del comparto caprino, in cui il calo è stato più contenuto. Particolarmente grave il colpo subito dal patrimonio ovino, in cui si perde un quarto dei capi, e da quello suino, con un calo del 30 per cento.

Sulla base dei dati del V Censimento generale dell’agricoltura è però il settore agricolo nel suo complesso ad aver subito, nell’ultimo decennio, una flessione. Mentre la contrazione della base produttiva (numero di aziende) è superiore alla media regionale, quella della superficie totale e, soprattutto, di quella utilizzata, è. al contrario, molto più contenuta. In alcuni comuni – Domusnovas, Narcao, Fluminimaggiore, Decimoputzu, Portoscuso – si registra anzi un incremento di quest’ultima. La Sau diminuisce invece in modo marcato a Carbonia (-46%), Teulada (-58%), Sant’Antioco (-42%) e Nuxis (-56%) e Sant’Anna Arresi (-36%). In questi comuni in dieci anni si perde dal 40 al 60% della superficie coltivata. Il decennio segna quindi un ulteriore passo nella direzione di una differenziazione delle specializzazioni produttive all’interno del Sulcis Iglesiente.


1.2. L’industria e i servizi

Il Sulcis Iglesiente dalla notte dei tempi rappresenta nell’immaginario collettivo la culla dell’industria isolana. La storia di questa terra, a partire dallo sfruttamento delle risorse del sottosuolo da parte dei Punici e dei Romani, è da sempre legata a tale attività. Attorno alle miniere, da cui si estraggono materie prime come il carbone, il piombo e lo zinco, inserite in contesti prettamente rurali, nascono agglomerazioni di dimensione del tutto sconosciuta prima, vere e proprie città completamente autosufficienti. Si sviluppa la meccanica, per fornire all’industria mineraria i pezzi di ricambio. Crescono gli agglomerati residenziali e le strutture di servizio. Poi arrivano ripetute crisi che portano infine alla chiusura delle miniere. L’alternativa è rappresentata dall’industria metallurgica, che si sviluppa soprattutto a Portoscuso e Sant’Antioco come attività di trasformazione delle materie prime, che sono però sempre meno locali. Col tempo anche quest’ultima va incontro a ripetute di crisi, alcune acuitesi proprio negli ultimi mesi.

L’Area continua a conservare una specializzazione relativa dell’attività industriale, come testimoniano i dati più recenti raccolti in occasione dell’ultimo Censimento dell’industria e dei servizi. Il settore assorbe infatti nel Sulcis Iglesiente il 32,5% della manodopera, mentre la media regionale e quella provinciale si collocano solo al 24 per cento. Alcune realtà costituiscono delle vere e proprie città industriali. A Portoscuso più dell’80% degli abitanti lavora nel comparto, a Gonnesa e Narcao si supera il 50 per cento. L’attività commerciale e quella delle istituzioni hanno una incidenza in linea con quella rivestita nei bacini di riferimento. Meno presenti sono invece i servizi di mercato – al netto di quelli commerciali – che occupano il 23% degli addetti, contro il 29% a livello regionale, nonostante la rilevante crescita sperimentata nell’ultimo decennio.

Dal 1991 ad oggi la distribuzione dell’occupazione tra i settori e tra i territori muta in misura consistente. Il settore industriale vede ridursi la sua consistenza del 20%, molto più di quanto accaduto in provincia e, più in generale, nel resto dell’isola. Sono soprattutto le cittadine di Iglesias, Buggerru e Portoscuso a subire il colpo più duro. La prima perde il 40% degli addetti, mentre la seconda e la terza addirittura più del 50 per cento. Per converso l’occupazione industriale aumenta del 53% a Carbonia, del 42% a Giba e del 61% a San Giovanni Suergiu. Anche l’attività commerciale subisce una forte contrazione.

L’occupazione cresce invece in misura rilevante nelle altre attività di servizio, pubbliche e private. Sono soprattutto queste ultime, insieme all’agricoltura, ad assorbire – anche se solo in parte – le risorse umane in uscita dagli altri due settori. Gli addetti negli altri servizi più che raddoppiano, più o meno in tutti i Comuni. Costituiscono un’eccezione rilevante Siliqua e, in particolare, Iglesias. In quella che risulta la seconda cittadina dell’Area per consistenza demografica, e che ne ha rappresentato nei secoli il polo di attrazione principale, gli altri servizi crescono ad un ritmo pari solo alla metà di quello regionale.

Va sottolineato inoltre l’incremento dell’occupazione e del peso del settore pubblico, in controtendenza rispetto ai contesti di riferimento. A Carbonia esso raggiunge il 30%, a fronte di un calo registrato a Iglesias (-4,3%). Carbonia tende quindi a configurarsi sempre più come centro di servizio dell’Area. Peraltro la Città chiude il decennio avendo migliorato la sua posizione relativa anche nel settore industriale.

Sulla base dell’ultima rilevazione censuaria, Carbonia è nel 2001 il comune in cui si concentra il maggior numero di occupati dell’intera Area Pit (22,6%), seguita da Iglesias (18%) e da Portoscuso (14,4%). Nel corso del decennio avviene quindi un cambiamento rilevante. Nel 1991 Carbonia risulta infatti solo terza per numero di addetti, dopo Iglesias (che ne vantava ben il 21%) e Portoscuso (20%). Nel decennio le due ultime cittadine perdono, rispettivamente, il 25% e il 12% degli addetti, mentre Carbonia li vede crescere del 40 per cento.

Questo cambiamento della distribuzione degli occupati tra i territori avviene peraltro in un quadro di progressiva crisi della capacità relativa dell’Area complessiva di creare opportunità di lavoro. Infatti gli addetti nel decennio crescono, ma ad un ritmo (3,5%) pari solo ad un terzo di quello rilevato per la provincia di Cagliari. Il numero delle imprese aumenta a ritmi più sostenuti, ma inferiori anch’essi alla dinamica del principale vicino. Il fatto che la base imprenditoriale cresca più rapidamente di quella occupazionale comporta una diminuzione della dimensione d’impresa.

L’Area Pit del Sulcis Iglesiente è una delle poche in Sardegna che vanti una struttura produttiva equilibrata dal punto di vista dimensionale, con una presenza adeguata di imprese medio-grandi. Qui nel 1996 gli operatori con più di 500 addetti assorbono ben il 30% degli occupati, e quelli tra i 200 ed i 500 quasi il 7 per cento (4). A livello regionale invece le due classi dimensionali non impiegano, complessivamente, che l’11% del totale. Il Centro dove maggiore è la presenza delle imprese di grandi dimensioni è Portoscuso, ma ve ne sono anche a Iglesias e Gonnesa. Si tratta in tutti i casi di operatori del settore industriale.

Il Sulcis Iglesiente vede anche la presenza di una cospicua componente di imprese artigiane, che sono pari al 34% del totale. La loro incidenza è molto maggiore nell’attività industriale, in cui costituiscono ben il 71% della base imprenditoriale, raggiungendo valori elevati non solo nei piccoli centri, ma anche in quelli maggiori (64% a Carbonia, 62% a Iglesias e 71% a Sant’Antioco).

 Un ulteriore elemento distintivo per il contesto in esame è la particolare presenza non solo dell’industria estrattiva, ma anche di quella manifatturiera ed energetica nonché la minore importanza, rispetto al panorama regionale, dell’edilizia. In quest’ultimo il settore secondario si caratterizza infatti per la prevalenza delle costruzioni. Il Sulcis Iglesiente rappresenta un ambiente diverso, in cui si è sperimentato un sentiero di sviluppo industriale originale rispetto al contesto sardo e più in linea con quello nazionale.

La manifattura impiega ben il 57% degli occupati nell’industria. In quasi tutti i settori la specializzazione relativa è inferiore alla media regionale. Ciò dipende dal fatto che la maggior parte degli addetti manifatturieri si concentra in un solo settore dell’industria di base: la metallurgia. Il polo di Portoscuso, in cui è prevalentemente localizzata tale attività, assorbiva nel 1996 più della metà degli addetti totali all’industria dell’Area Pit. L’industria di trasformazione presenta quindi un elemento di debolezza: l’elevato rischio insito nella presenza di una sostanziale monocoltura. L’economista Tobin semplificava così l’insegnamento derivante dalla ricerca per la quale aveva ricevuto il premio Nobel: non si mettono tutte le uova in uno stesso paniere. Non era altro che un modo per dire che quando ci si affida ad una sola attività, se va male quella, si rischia di perdere tutto. Il limite di uno sviluppo industriale imperniato su un numero molto contenuto di settori e, in alcuni casi, di operatori è proprio questo. Il rischio che corre oggi l’Area, se dovessero rivelarsi irrisolvibili le crisi latenti e manifeste del polo metallurgico, è quello di un’implosione di buona parte dell’attività manifatturiera.

Tra gli altri segmenti dell’industria di trasformazione assumono infatti una consistenza apprezzabile solo l’alimentare, la lavorazione dei minerali non metalliferi e l’industria del legno. Scarsa la presenza del tessile e della meccanica, peraltro in crescita nella prima metà degli anni ’90.

Il settore dei Servizi vendibili ruota prevalentemente attorno all’attività commerciale. Gli altri comparti, tra cui i trasporti, sono infatti sottodimensionati. L’industria turistica è poco sviluppata. Anche le realtà più vocate, come Calasetta, Carloforte, Buggerru, Teulada e Sant’Anna Arresi, hanno un’offerta di posti letto molto limitata. I servizi connessi sono poco presenti, così come notevoli ritardi si sono accumulati nella valorizzazione dei resti dell’esperienza mineraria a fini turistici. Peraltro alcuni passi in avanti sono stati compiuti. Negli ultimi anni sono state realizzate da parte dell’Igea alcune iniziative di recupero di siti minerari di particolare pregio, ora visitabili con guida. La Comunità montana n. 19, a sua volta, ha avviato un progetto di tutela e valorizzazione di alcuni monumenti naturali: le Grotte di Domusnovas, il Pan di Zucchero di Masua, il Canal Grande di Nebida e il Castello di Acquafredda di Siliqua. La direzione tracciata dal progetto del Parco geominerario è quella giusta. Si esita però troppo a percorrerla.

La variabile tempo è decisiva. Anche perché i passi in avanti da fare sono molti. Oggi competono per entrare nell’industria delle vacanze una miriade di realtà sparse in tutto il mondo. Non basta quindi avere grandi potenzialità. Risulta decisiva la capacità di valorizzarle prima degli altri, “catturando” le quote di mercato disponibili. Lo sviluppo dell’attività turistica, attraverso la creazione di una offerta composita, in un’area gravata da pesanti problemi di recupero ambientale, è di per se un’operazione complessa, che richiede tempo. Va quindi affrontata con decisione e rapidità e soprattutto con spirito imprenditoriale, come un’operazione di investimento sul futuro, senza rischiare, nell’attuazione, di scivolare in quella malintesa interpretazione della teoria keynesiana secondo la quale, per generare sviluppo, basterebbe scavare dei buchi e poi ricoprirli.

Una politica di effettiva valorizzazione delle potenzialità, e più in generale l’individuazione di nuove opportunità di sviluppo e la loro attivazione, sono d’altro canto indispensabili in un territorio che vede diminuire ormai da un decennio, e in misura crescente nell’ultimo quadriennio, la propria appetibilità. Tra il 1999 ed il 2002, in forte controtendenza con l’andamento manifestatosi a livello regionale e provinciale, il Sulcis Iglesiente vede calare infatti il numero delle imprese. A subire la contrazione più marcata sono i maggiori poli produttivi del territorio. Sant’Antioco perde il 15% delle imprese attive, Portoscuso il 12%, Carbonia il 7,3% e Iglesias il 6,8%, mentre nel resto dell’isola la crescita media supera il 6 per cento. Tale andamento segnala l’ulteriore deterioramento di una situazione già critica, che richiede massima considerazione e tempismo nell’adozione di iniziative di politica economica appropriate. Il Sulcis Iglesiente è oggi davanti a un bivio, e potrebbe scontare ulteriori emergenze occupazionali legate alla crisi che vivono alcune grandi aziende operanti sul suo territorio ma soprattutto pagare il ritardo nell’imboccare fattivamente strade alternative, che possano offrire reali chance di sviluppo per il futuro.

5. I Punti di forza e i punti di debolezza

A. I punti di forza

1.  Tradizione e cultura industriale

2.  Manodopera specializzata nell’industria

3.  Densità demografica superiore alla media

4.  Patrimonio ambientale di incomparabile valore

5.  Patrimonio di archeologia industriale di grande pregio

6.  Università che offre corsi legati alla valorizzazione di ciò che rimane della civiltà mineraria

7.   Presenza di industria di medie-grandi dimensioni

8.   Patrimonio boschivo di pregio

9.   Patrimonio zootecnico di valore nel comparto ovino e soprattutto caprino

10. Grande disponibilità di piante da sughero, risorsa ad oggi poco sfruttata

11. Diversificazione della struttura produttiva


B. I punti di debolezza

1.  Spopolamento diffuso

2.  Ritardi nella valorizzazione del patrimonio minerario

3.  Scarso utilizzo a fini turistici della risorsa ambientale

4.  Bassa offerta ricettiva

5.  Pesante impatto ambientale dell’industria mineraria e di quella metallurgica

6.  Rischi derivanti dalla dipendenza dalla monocoltura della metallurgia, che presenta crescenti segnali di crisi

7.  Scarsa presenza di servizi qualificati alle imprese

8.  Insufficiente capacità di creare opportunità di lavoro qualificato

9.  Sempre minore appetibilità a fini localizzativi per persone e imprese rispetto alla vicina Area di Cagliari

(continua nella terza parte)                                                                                                                                                                                                                                                 

Note

(4) Non esistono dati più recenti sulla struttura dimensionale delle imprese, come pure su una distribuzione settoriale spinta delle unità locali e degli addetti. Una parziale eccezione è costituita dalle statistiche sugli addetti delle imprese attive rilevate dalle Camere di commercio. Tuttavia, poiché solo una parte delle aziende registrate fornisce il numero degli addetti, si preferisce non utilizzare quelle informazioni, in quanto riferite ad un campione incompleto, che potrebbe risultare fuorviante. Si utilizzano pertanto i dati del Censimento intermedio dell’Industria e dei Servizi del 1996 che risultano, tra quelli  generali, i più recenti.