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Editoriale
Giancarlo Bussetti
Costi energetici e trasporto marittimo
Commissione europea (Bruxelles, 28 marzo 2011)
Libro Bianco - Tabella di marcia verso uno spazio unico europeo dei trasporti
Achille Sirchia
Un porto laguna per l’economia di Cagliari
Seminario
“La Cooperazione come valore economico e sociale in Sardegna”

 

Costi energetici e trasporto marittimo
Giancarlo Bussetti

 

SARDEGNA INDUSTRIALE n. 1-2/2011

Costi energetici e trasporto marittimo 

Il massiccio aumento della domanda mondiale di petrolio, con una produzione difficilmente adeguabile
alle nuove richieste, ha determinato una situazione di costi energetici progressivamente crescenti.
Nel settore del trasporto marittimo delle merci ciò potrebbe determinare una migrazione dai modi
di trasporto  a più alta richiesta energetica verso altri più parsimoniosi. Una strategia valida anche
per le brevi tratte,  nell’ordine delle 200 miglia (pari alla distanza Sardegna-Continente)
utilizzando  le navi portacontenitori, piuttosto che le meno economiche ro-ro.

di Giancarlo Bussetti 

 

L’autore di questo servizio, l’ing. Giancarlo Bussetti, ha una lunga esperienza in materia di studi economici, di logistica e di problemi portuali. Già responsabile tecnico della società di consulenza e ingegneria Marconsult di Genova, dove ha coordinato il lavoro su tutti i maggiori progetti sviluppati dalla società, opera da anni nel settore portuale come partner dello studio Bussetti e Cozzi, affrontando problemi di logistica per conto di alcuni fra i maggiori gruppi operanti in Italia. In diverse occasioni, anche su questa rivista (*), ha avuto modo di occuparsi del sistema trasportistico della Sardegna e più specificamente del problema dei collegamenti con il continente.

1. Caro petroli e trasporti marittimi 

Un cargo della Tirrenia ormeggiato nel porto commerciale di Cagliari. Sullo sfondo un traghetto per il trasporto merci della Grimaldi Lines
Un  cargo  della Tirrenia  ormeggiato  nel porto com-
merciale di Cagliari. Sullo sfondo, un traghetto per il
trasporto merci della Grimaldi Lines
Nell’attuale momento storico, uno dei fattori che possono maggiormente condizionare l’evoluzione dell’economia a scala mondiale è certamente il costo dell’energia, che a sua volta dipende ancora pesantemente dall’andamento del costo del petrolio.
In termini congiunturali, gli effetti di un drastico aumento del prezzo del greggio si sono già visti in diversi casi. Per la prima volta, quando nel 1973 la guerra dello Yom Kippur provocò l’interruzione delle forniture da parte dei paesi arabi all’Europa ed agli Stati Uniti, innescando la prima grande crisi energetica nei paesi avanzati. Successivamente, nel 1979, è stata la guerra tra Iraq e Iran a sconvolgere il mercato petrolifero, come conseguenza della situazione creatasi nel Golfo Persico. Infine nel 1990 l’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq ha provocato una nuova impennata nei prezzi del greggio.
Oggi si parla di una nuova crisi petrolifera, ma una simile definizione per l’attuale fase di rialzo del petrolio rischia di essere fuorviante. Infatti le cause che hanno provocato le prime tre crisi energetiche sono state di natura chiaramente congiunturale, legate allo scoppio di guerre nell’area da dove provengono le maggiori forniture.
A differenza di quanto è accaduto in passato, la causa degli attuali rincari non è invece da ricercare in fenomeni transitori destinati ad esaurirsi in tempi brevi, ma piuttosto nel massiccio aumento della domanda mondiale che deriva dall’esplosione dei consumi nei paesi di nuova industrializzazione. Basti pensare che i consumi congiunti di Cina ed India, che oggi rappresentano un 15% circa del totale mondiale, sembrano avviati a raggiungere un 40% in meno di vent’anni. Si tratta quindi di un fenomeno strutturale e irreversibile, che in presenza di una produzione difficilmente adeguabile porterà inevitabilmente a una situazione di costi energetici progressivamente crescenti.
In una prospettiva di medio termine, il contributo che potrà venire dalle fonti rinnovabili o eventualmente dal nucleare appare limitato e comunque male utilizzabile nel settore dei trasporti. Ciò significa che in prospettiva ci si deve attendere una migrazione dai modi di trasporto a più alta intensità energetica verso altri più parsimoniosi.
Movimentazione container su una banchina del porto canale di Cagliari
Movimentazione container su una banchina del porto
canale di Cagliari
Questa esigenza di ridurre il fabbisogno energetico del settore dei trasporti era apparsa chiara agli estensori del Piano Generale dei Trasporti, che già del 2001 preconizzava «lo sviluppo dei traffici merci sulle medie-lunghe distanze con modalità di trasporto più sostenibili di quella stradale».
Tra le misure indicate nel Piano era raccomandato «il rilancio del trasporto di cabotaggio, dando piena attuazione al progetto delle autostrade del mare», che prevedeva l’utilizzazione della via marittima non solo nei collegamenti con le isole, ma anche sulle maggiori direttrici di traffico lungo l’Italia peninsulare. In questo modo buona parte del percorso da origine a destinazione avrebbe potuto essere effettuato via mare, imbarcando autocarri, autotreni e semirimorchi su navi traghetto.
Questa trasformazione era vista come strumento per abbattere i consumi energetici del trasporto merci, in quanto si dava per scontato che il trasporto marittimo fosse energeticamente più efficiente di quello su strada. A supporto di un maggior ricorso al cabotaggio sembravano quindi sussistere congiuntamente tanto ragioni economiche quanto ragioni ambientali.
Nei dieci anni che sono passati dal momento della preparazione del Pgt i problemi di ordine energetico ed ambientale hanno assunto una gravità anche maggiore di quella che gli estensori del Piano avevano previsto. Da ciò deriva l’interesse di una rivisitazione delle tesi del Piano relative al cabotaggio, in quanto dalla loro validità dipenderanno l’evoluzione del sistema nazionale dei trasporti e le conseguenze che ne potranno derivare per la Sardegna.
 

2. Trasporto su strada e trasporto via mare - Un confronto energetico 

Mettere in discussione la maggiore efficienza energetica del trasporto marittimo rispetto a quello del trasporto stradale può sembrare assurdo, in quanto contrasterebbe con un principio che viene dato comunemente per scontato. Tuttavia, come accade spesso per i principi di applicazione troppo generale, anche l’assunto del “minor consumo per unità di carico” della nave rispetto al mezzo stradale in qualche caso può risultare fuorviante.
Questo concetto può essere meglio chiarito traducendolo in termini quantitativi.
Nel settore dell’autotrasporto, i consumi di combustibile non cambiano di molto da caso a caso. Un autoarticolato o un autotreno possono percorrere da 2,5 a 3,0 km con 1 litro di gasolio, trasportando da 20 a 30 tonnellate, ma l’ordine di grandezza dei consumi unitari non cambia. È sintomatico che uno studio di Confetra su questo tema indichi come dato medio 2,73 km/litro, senza ritenere necessaria alcuna precisazione su un suo possibile campo di variazione (1).
Su questa base si può calcolare il fabbisogno di combustibile tipico di un trasporto su strada, o meglio il suo “consumo specifico”, inteso come “fabbisogno di combustibile per spostare una tonnellata su una distanza di un chilometro”, prendendo come riferimento un carico di merci varie, con un peso medio attorno alle 25 tonnellate. Partendo dal dato di Confetra, si vede che con un litro di gasolio, pari a circa 0,820 kg, un autoarticolato può trasportare il suo carico di 25 tonnellate per 2,73 chilometri. Ciò vuol dire che il suo consumo specifico, è pari a 0,820 kg diviso per 25 tonnellate e per 2,73 chilometri; a calcoli fatti, sono circa 12 grammi di combustibile per tonnellata e per chilometro (12 g/tkm). Dato che nel caso dell’autotrasporto si considera fisiologico un 25% di percorsi a vuoto, nella pratica il consumo effettivo può essere considerato pari a 12/0,75 g/tkm, ossia a 16 g/tkm.
Passando a esaminare quello che succede in mare, balza subito agli occhi come la situazione sia completamente diversa, tanto da poter affermare che non ha senso parlare di consumi se non si precisa di quale nave si stia parlando. Infatti i consumi, sia assoluti che per unità di carico, possono variare, addirittura come ordini di grandezza, in funzione del tipo di nave, della sua dimensione e della sua velocità (2).
In architettura navale, per stimare preliminarmente la potenza di cui una nave ha bisogno, è ancora oggi utilizzata la tradizionale “formula dell’ammiragliato”, dove la potenza in chilowatt si ottiene moltiplicando il dislocamento in tonnellate elevato a 2/3 per il cubo della velocità in nodi e dividendolo per una costante che dipende dal tipo di nave. Senza entrare in un dettaglio che in questa sede sarebbe del tutto fuori luogo, basteranno due semplici osservazioni:
– dato che la potenza cresce più lentamente del dislocamento, la potenza richiesta per unità di carico si riduce al crescere delle dimensioni della nave. Raddoppiando il dislocamento, la potenza richiesta varia percentualmente da 100 a circa 159. Ciò significa che considerando la capacità di carico grosso modo proporzionale al dislocamento e sempre in termini percentuali, la potenza per unità di carico passa da 100 a 159/2, cioè a circa 80, quando si raddoppi la portata della nave;
– a parità di altre condizioni, la potenza richiesta cresce con il cubo della velocità. Ad esempio, il grafico di Figura 1 mostra come, passando da una velocità di 15 nodi a una di 20, la potenza necessaria passi, sempre in termini percentuali, da 100 a 237, risultando più che raddoppiata. Addirittura un ulteriore aumento della velocità fino a 24 nodi richiederebbe di quadruplicare la potenza necessaria a 15 nodi. Si capisce così il macroscopico aumento delle potenze installate sui tipi di naviglio, come traghetti e grandi portacontenitori, dove negli anni passati l’aumento delle velocità è stato più marcato.
Fatta questa premessa, si può calcolare quale sia il consumo specifico (sempre inteso come fabbisogno di combustibile per spostare una tonnellata di un chilometro) per i tipi più rappresentativi di navi, in modo da poter impostare in modo quantitativamente corretto il confronto con il trasporto su strada. 

Petroliera da 250.000 tonnellate. Una cisterna di questa dimensione a pieno carico viaggia a 15 nodi con circa 24.000 kW(3). Dato che un diesel marino di grande potenza ha un consumo specifico attorno a 0,175 kg/kWh, è facile verificare che il consumo orario è di circa 4.200 kg.
A 15 nodi, questa nave in un’ora trasporta le sue 250.000 tonnellate per 15 miglia marine, corrispondenti a quasi 28 chilometri. Il suo consumo specifico, sempre inteso come quantità di combustibile necessaria per spostare una tonnellata di un chilometro, si ottiene perciò dividendo i 4.200 kg del consumo orario per le tonnellate del carico e per la distanza percorsa. ottenendo un consumo specifico pari a 0,605 grammi per tonnellata e per chilometro (g/ tkm).
Dato però che una petroliera effettua necessariamente un ritorno a vuoto, il consumo su un viaggio completo diventa di 1,210 g/tkm. In realtà i consumi che si hanno viaggiando in zavorra sono minori di quelli a pieno carico, ma a questo livello la cosa non è significativa.
Volendo fare un confronto con un pur improbabile trasporto su strada, si può prendere come riferimento un semirimorchio da 36.000 litri, che trasportando greggio con densità di 0,850 ha una capacità di trasporto di circa 30 tonnellate. Utilizzando il dato Confetra per il consumo del trattore (un litro di gasolio per 2,7 km), anche in questo caso si può calcolare il consumo specifico in g/tkm. Se con un litro, cioè con 0,820 kg di gasolio, si trasportano 30 tonnellate per 2,7 km, una singola tonnellata da trasportare per un chilometro richiede circa 10,1 grammi, che diventano 20,2 per tener conto del ritorno a vuoto, come per la nave.
In questo caso quindi, il rapporto tra il consumo del trasporto stradale e quello del trasporto marittimo che è stato calcolato come 1,21 g/tkm è pari a 16,7. Ciò significa che il consumo su strada è quasi 17 volte più elevato di quello che si ha in mare. 

Nave rinfusiera da 100.000 tonnellate.Un analogo confronto si può fare per un trasporto di rinfuse solide, paragonando l’efficienza di una portarinfuse da 100.000 tonnellate con quella di un autoarticolato con 30 tonnellate.
Una nave di questo genere richiede 11.300 kW per viaggiare a 14 nodi(4)e consuma circa 2.000 kg/h. Con un calcolo analogo a quello sviluppato per la nave cisterna si vede che il consumo specifico risulta pari a 1,54 g/tkm tenendo conto dei ritorni a vuoto.
Su strada un autoarticolato con 30 tonnellate ha un consumo simile a quello dell’autocisterna, facendo 2,7 km con un litro o 3,3 con 1 kg di gasolio. il suo consumo specifico è quindi di 10,1 g/tkm, che diventano 20,2 tenendo conto dei ritorni a vuoto. In queste condizioni il rapporto tra i consumi di un trasporto terrestre e quelli di un trasporto marittimo diventa pari a 13,1. Anche se il rapporto è meno sbilanciato a favore della nave, i consumi del trasporto stradale sono ancora 13 volte maggiori di quelli del trasporto via mare.
Si ha così la conferma che almeno nel caso delle rinfuse industriali, liquide o solide che siano, i consumi del trasporto marittimo sono nettamente minori di quelli del trasporto su strada. Rimane però da verificare se ciò si verifichi nel settore dei traffici commerciali.
Oggi il trasporto via mare di merci varie come collettame è praticamente sparito. Sulle lunghe distanze le merci varie viaggiano in contenitori trasportati da navi cellulari, mentre sulle distanze più brevi si è generalizzato il trasporto di interi veicoli stradali su navi traghetto, meglio definite come navi “roll on - roll off” a causa delle modalità con cui esse imbarcano e sbarcano il loro carico. Il confronto tra strada e mare deve quindi essere basato su questi tipi di navi, che qui di seguito sono esaminate nelle loro più significative versioni. 

La portacontenitori Bremen Express da 8.500 teu della Compagnia Hapag Llojd
La  portacontenitori  Bremen  Express  da 8.500  teu
della Compagnia Hapag Lloyd
Portacontenitori oceanica di grande portata.
Per i trasporti sulle principali direttrici oceaniche sta affermandosi il ricorso a navi di grandissima dimensione, con capacità attorno a 8.000 teu (twenty equivalent units, in pratica contenitori da 20’). Si tratta di navi di circa 330 metri di lunghezza, simili quindi per dimensioni a petroliere da 250.000 tonnellate.
Un buon esempio di nave di questo genere può essere rappresentato dalla “Bremen Express” di Hapag Lloyd, della capacità di 8.749 teu. Le impressionanti dimensioni della nave risaltano bene nella fotografia riprodotta in questa pagina.
Questa nave utilizza una potenza di 31.000 kW per viaggiare a 20 nodi. La sua capacità di trasporto, intesa come quantità di merce mediamente trasportata, si può stimare moltiplicando gli 8.749 teu per una media di 12 tonnellate per teu, con un coefficiente di riempimento del 75 per cento. Si ottiene un carico medio di circa 79.000 tonnellate, che in un’ora viene spostato di 20 miglia marine, ossia di circa 37 chilometri.
Il consumo orario di macchina, sulla base di 175 grammi per chilowatt/ora risulta di 5.425 kg. Dividendo questo quantitativo per tonnellaggio trasportato e per la distanza percorsa in un’ora si ottiene il consumo specifico di questa nave, che risulta pari a 1,9 g/tkm.
Si può notare che questo dato non si discosta molto da quello trovato per la portarinfuse; tuttavia il traffico di contenitori si distribuisce tra navi di dimensione molto diversa, che vanno da quella dei giganti dell’ultima generazione fino ai piccoli feeder destinati a servire i porti minori.
È agevole verificare che anche limitando il confronto a navi qualitativamente omogenee come le portacontenitori cellulari, la dimensione della nave influisce in modo sostanziale sui consumi unitari. A questo scopo basta esaminare i casi di un nave intermedia da 3.000 teu e di un feeder da 500 teu. 

Portacontenitori da 3.000 teu. Una nave di questa categoria per viaggiare a 20 nodi ha bisogno di circa 17.300 kw(5)e consuma circa 3 tonnellate di bunker all’ora. La sua capacità di trasporto, sempre assumendo un carico di 12 tonnellate per teu e un coefficiente di utilizzazione,del 75%, risulta di 27.000 tonnellate. Il suo consumo specifico si può ottenere nel modo consueto, dividendo i 3.000 chilogrammi consumati per 27.000 tonnellate e per 37 chilometri. Si trova un valore di 3,0 g/tkm, superiore di un buon 50% a quello della nave maggiore. 

Portacontenitori da 500 teu.Se poi si prende in esame una nave da 500 teu (6) come quelle utilizzate nei collegamenti con i porti minori, si vede che il consumo unitario sale ancora, nonostante che una nave di questo tipo abbia una velocità più bassa. Sempre ipotizzando un coefficiente di riempimento del 75%, la capacità di questa nave è di 4.500 tonnellate.
A 15,5 nodi, una nave di questo genere richiede circa 4.350 kW, con un consumo di circa 760 kg/ora. Con il consueto calcolo si può trovare il consumo specifico, che risulta di 5,9 g/tkm.
Tipico feeder da 400 teu in navigazione
Tipico feeder da 400 teu in navigazione
Si vede così che passando da una capacità di 3.000 teu ad una di 500 il consumo specifico è ulteriormente raddoppiato, nonostante la minore velocità della nave più piccola. Tuttavia è facile verificare che anche in questo caso esso rimane ben lontano da quello di un trasporto su strada.
Su strada, si può considerare che un autoarticolato con 2 teu consumi mediamente un litro di gasolio per percorrere i 2,7 km indicati dallo studio Confetra. Dato che la densità del gasolio per autotrazione è di circa 0,820, Il suo consumo specifico si ottiene dividendo tale quantità per il peso trasportato (due teu da 12 tonnellate) e per la distanza percorsa, tenendo conto di un 25% di percorsi a vuoto. Si arriva a un valore di 16,9 g/tkm, che dimostra come anche nel caso della nave più piccola, i consumi su strada rimangano quasi tre volte maggiori di quelli del trasporto marittimo.

Navi ro/ro.Fino a questo punto, la tesi che vede il trasporto marittimo come intrinsecamente più efficiente di quello stradale dal punto di vista energetico sembra confermata. Tuttavia in questo quadro non si è ancora esaminato il caso delle navi ro/ro, che oggi costituiscono la maggioranza dei mezzi utilizzati sulle rotte più brevi e che dovrebbero continuare ad essere impiegate sulle “autostrade del mare”, quanto meno in ambito nazionale.
La capacità di una nave ro/ro è espressa in metri lineari di lunghezza delle corsie su cui si possono stivare i mezzi imbarcati. È quindi necessario tradurre questo dato in tonnellate utili, al fine di renderlo confrontabile con quelli degli altri tipi di navi fin qui esaminati. Ciò è possibile quando si precisi il tipo di veicoli imbarcati, il carico medio per mezzo e il fattore di utilizzazione della nave.
Nel caso dei collegamenti con le isole, che almeno in ambito nazionale rappresentano la maggioranza del traffico, la merce trasportata è prevalentemente costituita da beni di consumo. Dato che essi hanno una densità relativamente bassa, si può assumere che il limite di carico di ogni semirimorchio,sia rappresentato dal suo volume, superiore di un 15% circa rispetto a quello di un container da 40’. Se a un container da 40’ si è fatto corrispondere un carico di 24 tonnellate, a un semirimorchio se ne può assegnare uno di circa 27,5.
Volendo scegliere una nave rappresentativa della flotta attuale, si può assumere uno sviluppo di corsie attorno ai 2.000 metri. In Tabella 1 sono riportati i dati di alcune navi in questa fascia dimensionale.
Le velocità delle navi prese in esame non sono esattamente le stesse. Tuttavia i loro consumi possono essere resi confrontabili ricordando la “legge del cubo”, cioè la constatazione che i consumi di macchina variano grosso modo in proporzione al cubo della velocità di una nave.
Con una capacità di trasporto vincolata dalla lunghezza di corsie della nave, risulta evidente che la capacità stessa dipende dal tipo di veicoli che vengono imbarcati. Lo stesso quantitativo di merce può infatti viaggiare su un semirimorchio, su un autoarticolato o su un autotreno, occupando nei tre casi una diversa lunghezza di corsia.
Ai fini dell’analisi qui sviluppata si può prendere come primo riferimento un carico di semirimorchi da 12,50 m, che richiedono una disponibilità lorda di corsia pari a circa 14,5 metri. In questo caso il numero massimo di semirimorchi che può essere stivato a bordo di una nave da 2.000 metri di corsie risulta di 138. Introducendo il consueto fattore di utilizzazione del 75% il numero scende a 103 semirimorchi, che con un carico medio di 27,5 tonnellate porta a un carico utile totale di 2.850 tonnellate.
Se la potenza richiesta da una nave ro/ro da 2.000 ml per viaggiare a 19 nodi è di circa 10.000 kW come risulta dalla Tabella 1, il suo consumo di combustibile risulta di 1.750 kg/h, con un consumo specifico di 17,5 g/tkm.
Si nota immediatamente quanto que­sto valore si discosti da quelli trovati per tutti gli altri tipi di naviglio, come si può vedere in Tabella 2, dove sono riepilogati i dati di tutti i tipi di nave fin qui presi in esame.
I consumi tanto elevati della nave ro/ro derivano dalla natura stessa di questo tipo di nave, perché l’esigenza di imbarcare interi veicoli rende impossibile un buono sfruttamento dello spazio a bordo. Lo schema di Figura 2, dove vengono messi a confronto le sezioni di un ro/ro e di una portacontenitori è sufficiente per chiarire il concetto.
Le differenze di ingombro per unità di carico non riguardano solo l’ingombro in sezione, ma anche quello longitudinale: anche nel caso che si imbarchino soltanto semirimorchi, la lunghezza di corsia occupata da ciascuno di essi è inevitabilmente maggiore di quella di un container da 40’. Inoltre le rampe di smistamento dei veicoli tra i diversi ponti contribuiscono ad aumentare ulteriormente il fabbisogno di spazi a bordo non utilizzabili per il carico.
Dai calcoli fin qui effettuati, emerge un fatto anomalo, cui fino ad oggi non è stata riservata un’adeguata attenzione: il consumo unitario di un ro/ro del tipo sopra definito risulta addirittura superiore a quello su strada di un autoarticolato. Ricordando il dato di Confetra, che indicava in 2,7 km la distanza percorribile da un autoarticolato con un litro di gasolio (ossia con circa 0,820 kg), il consumo specifico di un trasporto stradale per un carico di 27,5 tonnellate risulta di 14,7 g/tkm, sempre tenendo conto di un 25% di percorsi a vuoto.
Operazioni di carico su un cargo della Tirrenia, nello scalo marittimo di Porto Torres
Operazioni di carico su un cargo della Tirrenia, nello
scalo marittimo di Porto Torres
Nel caso di una nave ro/ro di caratteristiche usuali, il principio fin qui confermato della maggior efficienza energetica del trasporto marittimo rispetto a quello stradale viene dunque a cadere. Ricordando che il consumo di combustibile varia con il cubo della velocità della nave, per ridurre il consumo a un valore equivalente a quello del trasporto stradale occorrerebbe ridurre la velocità sotto i 19 nodi, con un punto di equilibrio attorno a 17,5.
È da sottolineare che questo calcolo ha ipotizzato un trasporto di soli semirimorchi, escludendo un traffico guidato come quello tipico dei collegamenti con la Sicilia. Passando da semirimorchi ad autoarticolati e autotreni, la lunghezza media di un’unità di carico può arrivare a 17 metri, con un ingombro a bordo attorno a 19 metri. Ciò significa che nel caso di un traffico guidato l’ingombro di un’unità di carico passa approssimativamente da 14,5 a 19 metri, riducendo la capacità di trasporto di un ro/ro del tipo qui preso in esame a meno di 2.200 tonnellate, con un consumo specifico di 22,9 g/tkm.
A questo punto risulta evidente che tutto quanto è stato detto sul risparmio energetico ottenibile con il trasferimento alla via marittima di una parte del traffico merci oggi circolante su strada, è da prendere con qualche cautela. Se infatti il trasferimento avvenisse imbarcando semirimorchi o peggio autotreni su navi ro/ro, il bilancio energetico dell’operazione potrebbe chiudersi addirittura con un aumento dei consumi di combustibile.
È bensì vero che i consumi unitari del sistema ro/ro potrebbero essere ridotti utilizzando navi di maggiore dimensione, visto che i consumi non crescono in proporzione al dislocamento e quindi alla capacità di carico. Tuttavia un aumento della capacità non porterebbe a conclusioni sostanzialmente diverse, neppure utilizzando navi da 3.000 metri lineari.
L’aumento dei consumi che si avrebbe passando da 2.000 a 3.000 metri di corsie può essere stimato in un 31% circa. Il consumo specifico si ridurrebbe quindi nel rapporto 1,31/1,50, passando da 17,5 g/tkm a 15,3. Questo valore è ancora superiore ai 14,7 del trasporto stradale: l’aumento dimensionale delle navi non renderebbe quindi le navi ro/ro competitive sul piano dei consumi, mentre verosimilmente renderebbe difficile l’accesso di queste navi a molti dei porti minori usati per i traffici a breve distanza.
La scarsa efficienza energetica delle navi ro/ro non ha avuto un’importanza decisiva fino a quando il costo del combustibile ha inciso relativamente poco sulla gestione di una nave. I risparmi di tempo e di costo ottenibili nelle fasi di imbarco e sbarco del carico rispetto a una portacontenitori hanno avuto un peso molto maggiore nella scelta dl tipo di nave da utilizzare sulle brevi distanze. Tuttavia in uno scenario di costi crescenti per il combustibile, questo stato di cose è destinato a cambiare. 

3. Prospettive evolutive del trasporto marittimo a breve e media distanza 

Le considerazioni fin qui svolte, per quanto grossolane, sono sufficienti per individuare gli effetti che il progressivo aumento del costo dei combustibili potrà avere sul settore del trasporto marittimo a scala mediterranea, più specificamente nel campo dei trasporti commerciali di merci varie. Questo tipo di traffico viaggia oggi solo in forma unitizzata, su veicoli stradali o dentro contenitori, dato che il trasporto di collettame su navi tradizionali è ormai praticamente sparito.
Come si è osservato al punto precedente, in questo settore la scelta della tecnologia da adottare è condizionata dal peso relativo che i costi portuali ed i costi del combustibile hanno sui costi di esercizio di una linea. Le due voci di costo hanno un andamento diverso in funzione della lunghezza del percorso, in quanto i costi portuali non risentono della distanza, mentre quelli del combustibile crescono in proporzione alla distanza stessa. Questo spiega l’impiego quasi generalizzato che sulle brevi e medie distanze ha avuto fino ad oggi la tecnica ro/ro, che al contrario non è quasi mai utilizzata sulle rotte oceaniche.
I vantaggi del sistema ro/ro sul fronte portuale hanno però come contropartita il maggior consumo di combustibile che è stato messo in evidenza in queste note e che può diventare critico al crescere del prezzo del petrolio; da questo discende la previsione di uno spostamento dal sistema ro/ro a quello “full container” su distanze sempre minori.
La distanza entro la quale l’impiego di navi ro/ro risulta vantaggioso tenderà inevitabilmente a ridursi, nel modo schematizzato in Figura 3.
Il trasferimento dal sistema ro/ro a quello “full container” avrà come conseguenza necessaria un aumento del carico medio trasportato da ogni nave. Infatti per ragioni di affidabilità del servizio in condizioni di maltempo non si potranno impiegare navi con capacità inferiore a 400-500 teu, con una lunghezza attorno ai 100 metri. Se si considera che l’imbarco di poco più di 100 semirimorchi per viaggio (corrispondenti a 200 teu) richiede già una nave con circa 2.000 metri di corsie, il cambio di tecnologia implicherà quanto meno un raddoppio del carico medio.
In base ai dati di Tabella 2, il consumo per tonnellata trasportata e per chilometro percorso derivante da un passaggio da ro/ro da 2.000 ml a navi cellulari da 500 teu passerebbe dai 17,5 g/tkm a 5,9. Ciò significa che anche su rotte nell’ordine delle 200 miglia (circa 370 km) come quelle tipiche dei collegamenti con le isole, il trasferimento su navi portacontenitori di un milione di tonnellate porterebbe a un risparmio di quasi 4.300 tonnellate, pari a circa due terzi del totale necessario con l’impiego di navi ro/ro.
Un’ulteriore conseguenza del caro petroli già oggi evidente in campo marittimo, è la tendenza alla riduzioni delle velocità delle navi. Ad esempio le grandi portacontenitori che fino a poco tempo fa viaggiavano normalmente a 23-24 nodi, ora difficilmente superano i 20-21.
Tuttavia, nel caso dei collegamenti marittimi gestiti con navi ro/ro, una riduzione della velocità sarebbe difficilmente accettata dagli operatori dell’autotrasporto, per i quali i tempi di viaggio da origine a destino rappresentano un elemento critico di redditività.
Anche da questo punto di vista le cose cambierebbero con il passaggio a un sistema containerizzato, che svincola una dall’altra le due tratte terrestri all’inizio e alla fine del viaggio. La minore velocità di una cellulare da 500 teu (normalmente attorno ai 15 nodi) rispetto a quella tipica delle navi ro/ro, non rappresenterebbe più un inconveniente significativo.
Le considerazioni fin qui svolte forniscono un quadro convincente di cosa ci si debba attendere nel campo dello “short sea shipping”. Ma quando ci si ponga il problema di cosa potrà succedere nello specifico caso dei collegamenti marittimi della Sardegna, le conclusioni raggiunte non possono essere accettate senza qualche precisazione e qualche ulteriore approfondimento. 

4. Caratteristiche del sistema dei trasporti della Sardegna 

Una prima osservazione si impone subito, alla luce dei risultati ottenuti al punto 3. Si sostiene spesso che il modo in cui è oggi gestito lo scambio di merci con il continente rappresenti un caso tipico di quel fenomeno di “distorsione modale” che viene comunemente addebitato all’intero sistema nazionale dei trasporti. In Italia infatti, il ruolo del trasporto su strada sarebbe eccessivo e difforme rispetto a quello rilevabile negli altri paesi avanzati.
Nel caso dei collegamenti tra la Sardegna e le regioni della terraferma, ciò sarebbe dimostrato da un indirizzamento del traffico che tende a minimizzare i percorsi marittimi a favore di quelli stradali, utilizzando i porti situati nel nord dell’isola anche per i traffici con origine/destinazione nel Cagliaritano. Ma se si accettano i risultati ottenuti al punto 3 a riguardo dei consumi di combustibile dei diversi mezzi di trasporto, si deve concludere che il sistema attuale non è solo quello più accetto al mercato, ma anche quello da preferire per ragioni di ordine energetico e conseguentemente anche di ordine ambientale.
Un esempio numerico può chiarire nel modo più semplice i reali termini del problema.
Per spedire un carico dai dintorni di Cagliari a una destinazione nell’area di Milano si possono confrontare due alternative, che tendano rispettivamente a massimizzare o a minimizzare la lunghezza della tratta marittima. Mantenendo comunque Genova come porto di sbarco, nel primo caso si può scegliere Cagliari stessa come porto di imbarco; nel secondo caso, si può imbarcare a Porto Torres.
Nel primo caso le distanze stradali si riducono a una tratta di pochi chilometri nell’area metropolitana di Cagliari e ai 150 chilometri che vanno da Genova a Milano, per un totale attorno a 170 chilometri. La distanza marittima da Cagliari a Genova è di 353 miglia, pari a 654 chilometri.
Nel secondo caso, la distanza dalla zona di Cagliari a Porto Torres è di circa 230 chilometri, da sommare ai 150 della tratta Genova-Milano. La distanza marittima da Porto Torres a Genova è di 215 miglia, ossia di circa 400 chilometri.
Se si prendono come riferimento i consumi di un autoarticolato indicati da Confetra e quelli di una nave ro/ro come calcolati al punto 2, un calcolo del consumo di combustibile per ogni tonnellata trasportata porta ai risultati illustrati in Tabella 3.
Si può vedere come imbarcando a Porto Torres anziché a Cagliari, il consumo scenda di 1,38 kg, con una riduzione del 10% sul totale. Se però si ripete il confronto ipotizzando il ricorso al contenitore ed alla nave cellulare (Tabella 4), le conclusioni si invertono, a causa della maggiore efficienza energetica di una portacontenitori rispetto a un ro/ro. In questo caso l’imbarco a Cagliari anziché a Porto Torres porta a una riduzione del consumo pari a 1,59 kg per tonnellata, pari al 20% del totale.

Si può quindi concludere che la massimizzazione del percorso marittimo può effettivamente contribuire ad una riduzione del consumo di combustibili e alla conseguente riduzione delle emissioni in atmosfera, ma solo a patto di utilizzare il sistema full container nei collegamenti con il continente.
Quanto alla proponibilità economica di una simile trasformazione, si può far notare che da oltre quarant’anni il gruppo Grendi-Tarros offre un servizio full-container tra la Sardegna ed il continente (vedi foto), dimostrando come i costi di tale sistema possano reggere il confronto con quelli del consueto traghettamento di mezzi stradali.
Portocanale di Cagliari, anno 1998: operazione di carico container in autonomia funzionale sul feeder Vento di Levante della Grendi-Tarros
Porto canale di  Cagliari,  anno  1998: operazione  di
carico container in autonomia funzionale sul feeder
Vento di Levante della Grendi-Tarros
Una trasformazione del tipo qui ipotizzato non potrà tuttavia essere completa, né avvenire nell’arco di pochi anni. Prescindendo dalla profonda ristrutturazione che si renderà necessaria nel settore dell’autotrasporto, occorrerà tener conto delle specificità dei collegamenti marittimi con la Sardegna, che utilizzano prevalentemente navi miste per il trasporto congiunto di passeggeri e merci.
L’impiego di questo genere di navi trova la sua spiegazione nella natura dei traffici da servire, che richiedono tanto il trasporto di merci quanto il traghettamento di passeggeri. Si può anzi dire che in realtà i tipi di traffico da servire sono tre, in quanto il movimento di passeggeri è costituito da due flussi di natura completamente diversa: quello relativo al fisiologico interscambio con le regioni continentali e quello di tipo turistico. Il volume di passeggeri dei primo tipo ha delle fluttuazioni stagionali relativamente limitate e analoghe a quelle del traffico merci, mentre quello del secondo tende a concentrarsi nella stagione estiva ed ancor più nei soli mesi di luglio e agosto. Ma soprattutto una parte rilevante dei turisti si muove con veicoli al seguito, auto, natanti a rimorchio, camper e roulottes.
Le navi miste consentono di gestire congiuntamente questi diversi tipi di traffico, potendo utilizzare le corsie del loro garage sia per i mezzi pesanti, sia per i veicoli al seguito dei turisti. Tuttavia la stagionalità del traffico turistico fa sì che la capacità di trasporto passeggeri delle navi miste oggi in servizio finisca per essere pesantemente sottoutilizzata durante la maggior parte dell’anno.
L’elemento critico che ha portato a questa situazione è costituito proprio dai veicoli al seguito dei turisti. Se infatti si dovessero spostare soltanto persone o merci, il traffico potrebbe essere smaltito in modo energeticamente più efficiente, ossia con minori consumi di petrolio, utilizzando l’aereo per i passeggeri e la nave portacontenitori per le merci.
È evidente che le caratteristiche del traffico passeggeri della Sardegna rendono del tutto teorica l’ipotesi di un’integrale sostituzione dei servizi effettuati mediante navi miste ro/ro-passeggeri, con un abbinamento tra navi portacontainer e aerei. Tuttavia i dati statistici dell’ultimo decennio mostrano chiaramente come un progressivo trasferimento del traffico passeggeri dalla via marittima a quella aerea sia già in corso, come è mostrato dal grafico della Figura 4 (6).
Si può notare come il movimento via mare a partire dal 2005 si sia praticamente stabilizzato, manifestando caso mai una leggera tendenza a ridursi; il numero dei passeggeri che ricorrono all’aereo ha invece continuato a crescere, arrivando a superare quello di coloro che viaggiano per mare tra il 2007 e il 2008.
I dati statistici dicono anche che il movimento annuo complessivo ha continuato a crescere, nonostante che la popolazione dell’Isola e il suo prodotto interno lordo non abbiano avuto variazioni significative durante il decennio. Ciò significa che l’aumento del traffico aereo della Sardegna deve essere prevalentemente imputabile al movimento turistico; nell’ambito di questo movimento la tendenza a preferire l’aereo è quindi già in atto.
Per avere una conferma della presenza di una consistente componente turistica nel traffico aereo della Sardegna è sufficiente un esame della distribuzione stagionale del traffico stesso negli aeroporti di Cagliari, Alghero e Olbia. La media del numero mensile di passeggeri per gli anni 2008, 2009 e 2010, tradotta in termini percentuali del totale annuo, ha l’andamento illustrato nel grafico della Figura 5.
La concentrazione del traffico nei mesi estivi è marcatissima nel caso di Olbia, con il traffico di agosto che da solo rappresenta il 20% del totale annuo; ma anche per Alghero e Cagliari il traffico mensile di luglio e agosto è doppio rispetto a quello dei mesi invernali.
I dati qui presentati sono sufficienti per confermare l’importanza del mezzo aereo nello smaltimento del traffico turistico della Sardegna. Il problema è solo quello di capire cosa possa succedere in uno scenario caratterizzato da costi crescenti dell’energia. Gli elevatissimi consumi di combustibile delle navi miste per passeggeri e traffico commerciale utilizzate nei collegamenti con il continente porteranno a crescenti costi di esercizio, che a loro volta si tradurranno inevitabilmente in aumenti dei prezzi di traghettamento per persone e veicoli. Ciò incentiverà i turisti a un’utilizzazione sempre maggiore dell’aereo, ma solo a patto che i prezzi dei biglietti aerei non crescano in proporzione a quelli dei passaggi marittimi.
A prima vista verrebbe da pensare che una maggiore utilizzazione dell’aereo debba portare addirittura a un aumento dei consumi energetici e conseguentemente a una perdita di competitività del mezzo aereo rispetto alla nave. Tuttavia sono sufficienti pochi semplici conteggi per scoprire che le cose non stanno affatto così.
 

5. Confronto tra nave ro/ro passeggeri e portacontenitori più aerei 

Un aumento dell’uso dell’aereo dovrebbe portare una diminuzione del numero di navi miste impiegate nei collegamenti con il continente e a un aumento delle navi portacontenitori sulle stesse rotte. Per capire cosa ciò possa significare in termini di consumi energetici, si può mettere a confronto il consumo di una nave ro/ro-passeggeri con quelli di una portacontenitori dotata della stessa capacità di trasporto merci, affiancata da un servizio aereo per il trasporto di passeggeri.
Per impostare un confronto realistico tra i due casi, è opportuno fare riferimento a mezzi (navi e aerei) effettivamente esistenti, che siano dotati della stessa capacità di trasporto e che viaggino su rotte sostanzialmente equivalenti.
Per quanto riguarda la rotta, per le navi si considererà la Genova-Porto Torres, mentre per gli aerei ci si riferirà alla Genova-Alghero, su una distanza non molto dissimile.
Come esempio di nave mista si può prendere uno dei cruise-ferries di Grandi Navi Veloci, di cui in Tabella 5 si riportano i dati principali.
La distanza nautica da Genova a Porto Torres è di 214 miglia. Nel caso della nave mista presa come riferimento, a 23 nodi la durata del viaggio è di circa 9 ore e 20 minuti, a cui devono essere aggiunti i tempi di manovra, di ormeggio e di disormeggio. Con un consumo orario di combustibile pari a 4.561 kg, il consumo totale per un viaggio è di 44.200 chilogrammi in circa 9 ore e mezza.
Tenendo presente la grande influenza che la velocità della nave ha sul consumo di combustibile, si potrebbe pensare che su una rotta di poco più di 200 miglia una velocità di 23 nodi non si giustifichi. Una nave in servizio di linea deve infatti operare a orario fisso e non potendo completare un “round trip” di andata e ritorno nelle 24 ore, si trova con 14 ore a disposizione per i tempi di scalo, del tutto sovrabbondanti rispetto alle esigenze operative. Tuttavia la necessità di adeguare gli orari alle esigenze dell’autotrasporto renderebbe difficile un allungamento dei tempi di traversata. Come massimo si potrebbe ipotizzare di aumentare di un paio d’ore il tempo di viaggio, riducendo la velocità a 19 nodi.
Ricordando la regola del cubo, il consumo orario di combustibile a 19 nodi si ridurrebbe al 56% circa di quello a 23 nodi. I tempi di viaggio diventerebbero però di 11 ore e un quarto, aumentando del 21 per cento. L’effetto combinato della riduzione del consumo orario e dell’aumento dei tempi di viaggio farebbe passare il consumo totale di viaggio dai 44.200 kg a 29.950 circa.
Se in ipotesi i 2.250 metri di corsie della nave potessero essere integralmente destinati a semirimorchi, la sua capacità massima sarebbe di 155 mezzi, che con un carico medio di 27,5 tonnellate per mezzo arriverebbe a circa 4.250 tonnellate.
Per ottenere la stessa capacità, una nave cellulare dovrebbe poter imbarcare 355 teu da 12 tonnellate. Visto che per ragioni di affidabilità del servizio in condizioni di maltempo le dimensioni della nave non potrebbero scendere troppo, si può assumere per la cellulare una capacità di almeno 400 teu, come quella illustrata nella foto a fianco.
Le caratteristiche tipiche di una nave di questa capacità sono riportate in Tabella 6.
I tempi di viaggio della piccola cellulare sono ovviamente molto maggiori, visto che la sua velocità si colloca attorno a 15 nodi. Le 215 miglia sarebbero coperte in poco più di 14 ore, con un totale di 14,5 ore di moto e un consumo complessivo pari a 7.540 kg. I maggiori tempi di traversata non rappresentano però un problema, nel caso di un trasporto di contenitori, in quanto le due tratte terrestri del viaggio risultano svincolate tra loro.
Passando a esaminare la componente passeggeri del traffico, occorre fissare il tipo e il numero di aerei che sarebbero necessari per arrivare a una capacità pari a quella della nave presa come riferimento (2.253 passeggeri).
Per quanto riguarda il tipo di aereo da prendere come riferimento, occorre innanzi tutto stabilire se si debba scegliere un turboelica o un jet. Ma poiché l’analisi si deve inquadrare in un contesto di costi crescenti per il petrolio, la scelta di un turboelica sembra imporsi, dato che i suoi consumi a parità di capacità sono poco più della metà di quelli di un jet. La minore velocità non porta a significativi scadimenti del servizio su dei percorsi di poche centinaia di chilometri, dove la differenza di tempo di volo si riduce a una manciata di minuti.
Purtroppo però gli aerei con propulsione a turboelica oggi disponibili sul mercato sono tutti di dimensione limitata, essendo nati come mezzi destinati a trasporti a breve distanza su rotte con limitati volumi di traffico. In prospettiva ci si attende che gli alti costi dei combustibili portino a una ripresa della produzione di turboelica di maggiori dimensioni; tuttavia per mantenere il confronto tra mezzi oggi disponibili, come riferimento per i turboelica si utilizzeranno i dati dell’Atr 72. Di questo aereo sono stati costruiti circa 500 esemplari, ampiamente utilizzati per servizi del tipo che interessa in questa sede.
La capacità dell’Atr 72 nella configurazione più usuale è di 68 posti. Ciò significa che per sostituire un viaggio della nave presa come riferimento, occorrerebbero 33 voli (2.253/68).
I consumi di un Atr 72 su un percorso simile a quello che qui interessa si possono ricavare da un documento contenuto nello studio di fattibilità per un aeroporto regionale(7), adattandoli alla lunghezza del percorso Genova-Alghero. I risultati sono riportati in Tabella 7.
In definitiva, per predisporre una capacità di trasporto simile a quella di un viaggio della nave ro/ro-passeggeri, sarebbero necessari un viaggio di una portacontenitori da circa 400 teu e 33 voli di un Atr 72.
Risulta evidente che le ridotte dimensioni dell’Atr 72 rendono questo aereo inadatto a servire grandi volumi di traffico; esse quindi potrebbero influre negativamente sui risultati del confronto con la nave ro/ro mista. Non essendo disponibile un turboelica di dimensioni maggiori, l’analisi si può ripetere prendendo come aereo di riferimento un jet della fascia da 150 a 200 posti. Per un aereo di questa categoria non sono disponibili dati di dettaglio come quelli di Tabella 6, ma solo indicazioni sul consumo medio a regime di crociera. Ad esempio per un Boeing B737-800 il consumo dichiarato è di 2,25 galloni per miglio, che si traducono in 4,25 chilogrammi a chilometro da confrontare con 1,28 dell’Atr.
La capacità del Boeing è molto maggiore di quella dell’Atr, con 162 posti contro 68, ma il suo consumo per posto e per chilometro rimane nettamente più elevato. Infatti se la capacità del Boeing è pari a 2,38 volte quella dell’Atr, il suo consumo è 3,32 volte tanto. Si ha così la conferma che in termini di consumi specifici il turboelica risulta decisamente migliore e questo vantaggio non potrà che aumentare, se per contrastare gli effetti del caro petroli nei prossimi anni si renderanno disponibili dei turboelica di maggiori dimensioni.
ATR 72 in fase di atterraggio
ATR 72 in fase di atterraggio
Prendendo dunque un Atr 72 come riferimento per il trasporto aereo, si può completare il teorico confronto tra la nave ro/ro passeggeri e l’abbinamento tra una portacontenitori e un servizio aereo.
Nel caso della nave mista che viaggi a velocità ridotta, il consumo per un viaggio è stato calcolato in 30,0 tonnellate. A questo si contrapporrebbero le 7,5 tonnellate consumate dalla portacontenitori e le 22,1 tonnellate necessarie per i 33 viaggi di un Atr che consuma 0,670 tonnellate a viaggio.
Come si vede il risultato è sorprendente, in quanto l’ipotetica sostituzione di una nave mista con l’abbinamento tra una portacontenitori e un servizio aereo, non porterebbe affatto a un aumento di consumi, neppure nel caso che la nave mista viaggi a velocità ridotta. Ma il risultato sarebbe ancora più clamoroso se si prendesse in esame quello che accade durante la maggior parte dell’anno, fuori del breve periodo delle vacanze estive.
In bassa stagione infatti, è normale per le navi miste di viaggiare a pieno carico di mezzi pesanti per quanto riguarda l’utilizzazione del garage, ma con un carico di passeggeri ridotto a una frazione della capacità. In queste condizioni, per sostituire la nave mista sarebbe sufficiente abbinare alla portacontenitori non più di una decina di voli. Gli effetti da un punto di vista energetico sarebbero impressionanti, in quanto il consumo di combustibile passerebbe dalle 30,0 tonnellate a 7,5 tonnellate per la portacontenitori e a 6,7 per gli aerei, per un totale di 14,2 tonnellate. Il consumo di combustibile sarebbe quindi più che dimezzato.
Tutto questo porta a concludere che sotto la spinta congiunta dei costi crescenti del petrolio e degli sforzi per contenere le emissioni di gas serra nell’atmosfera, finirà per ridursi il traghettamento di veicoli stradali, siano essi mezzi pesanti o auto al seguito dei turisti. Sia pure per gradi, si assisterà ad una profonda mutazione del sistema dei collegamenti esterni dell’Isola, con un crescente impiego dei contenitori per il trasporto delle merci e dell’aereo per quello dei passeggeri.
In queste condizioni, è evidente che qualunque piano di sviluppo dell’economia isolana non potrà portare a risultati soddisfacenti, se non tenendo conto dei rischi ma anche delle opportunità che discenderanno dalle trasformazioni attese nel settore dei trasporti, tanto all’interno del settore stesso quanto nel settore del turismo.
 

6. L’evoluzione del trasporto marittimo nell’ambito del Mediterraneo 

Il confronto tra i consumi specifici di una nave ro/ro ed una portacontenitori presentato al punto 3 ha portato alla previsione di una progressiva sostituzione delle navi del primo tipo con altre del secondo, anche sulle rotte a media distanza tipiche del traffico intramediterraneo. Ma un’ulteriore misura che potrebbe contribuire all’abbattimento dei consumi è il ricorso a naviglio di maggiori dimensioni.
Una recente ricerca ha confermato in termini quantitativi (9) come al variare della dimensione, la potenza installata sulle portacontenitori cresca meno rapidamente della loro portata, nonostante che le navi più grandi siano normalmente più veloci. Ad esempio, passando da una nave da 400 teu a una da 1.000, ci si può attendere che potenza e velocità passino da 3.300 kW e 15 nodi, a 7.600 kW e 17,5 nodi, nel modo illustrato in Tabella 8.
Se poi si confrontassero i consumi delle navi di Tabella 8 a parità di velocità, gli effetti della maggiore dimensione risulterebbero ancora più evidenti.
La possibilità di ridurre i consumi aumentando la dimensione delle navi rappresenta un ulteriore punto a favore delle navi cellulari nei confronti delle navi ro/ro. La dimensione di queste ultime è infatti condizionata dal volume di traffico che si può raccogliere su un singolo collegamento tra due porti, in quanto le loro modalità di imbarco e sbarco del carico rendono poco pratica la toccata di diversi porti durante lo stesso viaggio. Per le portacontenitori questo è invece un modo di operare del tutto normale; basti pensare a come lavorano le navi feeder impegnate nel lavoro di raccolta/distribuzione del traffico che passa per un porto hub.
Utilizzando delle navi cellulari, nulla impedirebbe di gestire gli scambi tra il bacino occidentale e quello orientale del Mediterraneo, toccando diversi porti nei due bacini nel corso di ciascun viaggio.
Ovviamente questo modo di operare non può andare oltre certi limiti, per evitare che i tempi necessari per completare un viaggio si allunghino tanto da riassorbire i vantaggi derivanti dalla maggiore dimensione della nave. Tuttavia nel caso delle portacontenitori c’è un altro modo per razionalizzare una rete di trasporti in Mediterraneo, legato alla presenza dei porti di trasbordo (transshipment hubs) utilizzati dalle grandi navi oceaniche.
Lo scambio delle merci tra i paesi mediterranei potrebbe cioè avvenire affidandola alle reti dei collegamenti feeder che provvedono alla raccolta/distribuzione del traffico attorno ai porti hub, a patto di accettare l’onere di un trasbordo lungo il percorso. Il transito per un porto centrale di interscambio consentirebbe di concentrare su una singola nave tutto il traffico di un porto da e per tutti i porti da servire nell’altro bacino del mare interno. Si passerebbe così da uno schema logistico come quello di Figura 6 a uno più simile a quello di Figura 7, dove le dimensioni del naviglio da utilizzare sarebbero nettamente maggiori.
Una trasformazione del modello logistico come quella qui ipotizzata ha ovviamente senso, se appoggiata a un porto hub già operante, in quanto su ogni direttrice si sommerebbero i volumi del traffico intramediterraneo con quelli di raccolta/distribuzione del traffico oceanico. Se nel caso dei collegamenti diretti si usassero navi da 500 teu, concentrando il traffico in un porto centrale di trasbordo si arriverebbe quanto meno a navi della fascia attorno a 2.000.
Con questo cambiamento, il consumo specifico varierebbe nel modo indicato in Tabella 9, passando da 5,9 a 3,2 grammi per tonnellata e per chilometro, con una differenza di 2,7 g/tkm.
 
Ad esempio, su una distanza di circa 1.500 miglia (2778 km) simile a quella da Barcellona al Pireo, la differenza di consumo sulle 24 tonnellate di un contenitore da 40’ (pari a 2 teu) sarebbe di circa 180 kg. Con un prezzo del combustibile marino (intermediate fuel oil, o IFO) che già oggi si avvicina ai 650 dollari a tonnellata, il risparmio per ogni 40’ sarebbe di quasi 120 dollari, sufficienti per coprire da soli i costi del trasbordo intermedio. Tutte le economie derivanti dall’impiego di navi di maggiori dimensioni si tradurrebbero quindi in un risparmio netto.
Localizzando il punto di trasbordo nella zona centrale del Mediterraneo, le distanze da origine a destino non cambierebbero di molto rispetto al caso dei collegamenti diretti. I risparmi di combustibile derivanti dall’aumento dimensionale delle navi non sarebbero se non in piccola parte riassorbiti dall’aumento delle distanze da percorrere.
In definitiva, l’ipotesi che il ricorso a un trasbordo intermedio prenda piede anche per i traffici intramediterranei appare plausibile, anche a prescindere dai vantaggi di ordine ambientale che ne deriverebbero. Una trasformazione nel senso qui illustrato del sistema dei traffici tra i paesi litoranei del Mediterraneo rappresenta un’occasione di sviluppo per i porti di transshipment posti nella zona centrale del bacino, tra i quali può essere incluso il porto di Cagliari.
Ciò significa che la crescita dell’impiego dei contenitori nel traffico a media distanza dovrebbe creare per il porto di Cagliari una duplice opportunità: non soltanto potrebbe acquisire una quota ben maggiore del traffico di collegamento con le regioni continentali del paese, ma potrebbe altresì partecipare ad una profonda ristrutturazione dei traffici a scala mediterranea.
Va da sé che lo sfruttamento di quest’ultima opportunità ha come precondizione la presenza nel Porto Canale di un significativo traffico oceanico di trasbordo, che giustifichi l’esistenza di una rete di collegamenti feeder da utilizzare nel modo sopra descritto anche per i traffici interni al Mediterraneo. Il recente recupero di attività, documentato nel grafico di Figura 8, dà buone speranze in questo senso.
Non si può però dimenticare che in questo ruolo Cagliari si troverà in concorrenza con gli altri porti di trasbordo del Mediterraneo centrale come Gioia Tauro, Taranto o Malta, che forse dal punto di vista della collocazione geografica godono forse di qualche vantaggio.
Non è una partita facile, anche se la crescita dell’uso dei contenitori negli scambi tra la Sardegna e l’Italia continentale potrà dare un aiuto, a causa delle sinergie che si creerebbero tra il traffico di cabotaggio e quello di trasbordo. In ogni caso appare chiaro quanto sia importante che il polo di transshipment del Porto canale arrivi a un adeguato grado di utilizzazione, dato che solo il suo buon funzionamento nel settore dei traffici oceanici può creare le premesse per l’avvio di un’attività innovativa nello smistamento dei traffici mediterranei.
 

7. Il turismo nell'isola in un futuro a costi crescenti per l’energia 

Un'immagine aerea della parte orientale della città di Cagliari e del suo entroterra. In primo piano, l'imboccatura del porto storico. Sulla sinistra un cargo Tirrenia ed un traghetto della Moby Lines
Un'immagine aerea della parte orientale della città
di Cagliari e del suo entroterra. In primo piano, l'im-
boccatura del porto storico. Sulla sinistra un cargo
Tirrenia ed un traghetto della Moby Lines
Il progressivo aumento dei costi del petrolio previsto per gli anni a venire non si limiterà a trasformare radicalmente il settore dei trasporti marittimi a breve e media distanza; esso avrà inevitabilmente delle ripercussioni anche sul settore del turismo, in quanto farà aumentare i costi di viaggio, a prescindere dal mezzo di trasporto utilizzato. Questo potrà condizionare lo sviluppo del turismo a lunga distanza, che negli anni più recenti si è grandemente sviluppato sfruttando congiuntamente il basso costo dei servizi nei paesi del terzo mondo e le basse tariffe praticate dalle compagnie aeree per i voli charter.
Nel caso della Sardegna gli effetti del rincaro energetico non dovrebbero essere particolarmente marcati, a causa della ridotta distanza dell’Isola dai bacini di provenienza della sua clientela. È quindi prevedibile che il settore del turismo continuerà a rappresentare il maggior punto di forza dell’economia locale. Tuttavia le trasformazioni che al punto precedente si sono ipotizzate a riguardo del sistema dei collegamenti dell’Isola con il continente, dovrebbero incidere in modo significativo sulle caratteristiche del movimento turistico.
Si è visto infatti che l’aumento dei costi dei combustibili dovrebbe avvantaggiare le navi cellulari rispetto ai ro/ro, portando a una crescente utilizzazione del contenitore da parte del traffico merci e riducendo il traghettamento di autotreni, autoarticolati e semirimorchi. Mano a mano che l’impiego del contenitore si diffonderà, per le navi miste ro/ro-passeggeri ci si deve aspettare una riduzione della clientela commerciale, l’unica presente lungo tutto l’arco dell’anno. Questo renderà ancora più gravoso l’esercizio delle attuali navi, che sono già penalizzate dall’estrema stagionalità del traffico passeggeri; come conseguenza i prezzi di traghettamento di veicoli stradali sono inevitabilmente destinati a salire.
Dato che nel contesto attuale è difficile ipotizzare l’avvio di politiche di sostegno pubblico all’armamento o di contribuzione alla copertura delle spese di viaggio per i turisti, è inevitabile chiedersi quali possano essere gli effetti delle trasformazioni previste nel settore dei trasporti sullo sviluppo del turismo in Sardegna. In altre parole ci si deve domandare se sia plausibile lo sviluppo di un turismo meno legato al traghettamento di veicoli al seguito e suscettibile di un maggior uso dell’aereo come mezzo per raggiungere l’Isola.
Per rispondere a un simile quesito è necessario esaminare il modo in cui si è sviluppato fino ad oggi il turismo in Sardegna, ricordandone gli aspetti che più lo hanno caratterizzato.
Con la crescita della flotta adibita ai collegamenti con il continente, anno dopo anno è andato crescendo il numero dei visitatori che raggiungono l’Isola. Però l’abitudine italiana di concentrare le vacanze nei 60 giorni di luglio e agosto ha fatto sì che le presenze (e le conseguenti richieste di servizi) si concentrino in un arco di tempo estremamente limitato.
Nello stesso tempo la disponibilità di ampie aree costiere relativamente poco abitate ha facilitato la realizzazione di tutta una serie di interventi immobiliari che hanno messo a disposizione della clientela continentale un numero elevatissimo di seconde case. L’urbanizzazione del litorale ha assunto così una dimensione tale da mettere a repentaglio i valori ambientali di numerosi tratti di costa.
Osservandone gli effetti, bisogna riconoscere che l’attuale modello di sviluppo turistico ha ormai raggiunto e forse superato i suoi limiti di sostenibilità. Anche prescindendo dai problemi di natura energetica richiamati in queste note, ci si deve domandare se avrebbe senso puntare ancora a una crescita di questo tipo di turismo, tenendo conto delle sue limitate ricadute economiche e dei problemi sociali ed ambientali che esso genera. Oggi sembra piuttosto raccomandabile l’avvio di una politica turistica che punti a uno sviluppo qualitativo piuttosto che quantitativo della clientela, senza contare su ulteriori aumenti di presenze poco qualificate nel periodo di punta dell’estate.
In ogni caso, un cambio di indirizzo di questo genere si renderà indispensabile per effetto del caro petroli; ci si deve infatti aspettare che l’aumento dei costi di viaggio via mare freni in qualche modo la clientela tipica dei “passaggi ponte” e delle famigliole che arrivano in Sardegna con auto o camper al seguito, carichi di tutto il necessario per le classiche due settimane di vacanza. Si può invece pensare che il previsto rafforzamento dei collegamenti aerei faciliti la crescita di un tipo diverso di clientela, meno legato all’uso della propria automobile e più interessato a utilizzare tutti i servizi turistici che l’Isola può mettere a disposizione.
D’altra parte i dati del grafico di Figura 5 mostrano come già oggi una migrazione del traffico turistico dalla nave all’aereo sia già in atto, dato che la crescita del traffico aereo di questi ultimi anni è stata tale da includere necessariamente una significativa componente turistica. Ciò significa che per arrivare a un più generalizzato impiego dell’aereo da parte dei visitatori non sarà necessario contrastare le spontanee tendenze del mercato, ma solo aiutare il completamento di un processo già avviato.

8. Conclusioni 

Le note qui presentate, pur nella loro schematicità, dovrebbero dare un’idea dell’importanza dei fenomeni che condizioneranno l’economia della Sardegna negli anni a venire, in conseguenza del rincaro del petrolio. Come tutte le trasformazioni strutturali e irreversibili del quadro economico, anche questa è destinata a creare problemi e difficoltà, ma ad aprire al contempo nuove opportunità per chi sappia adeguarsi tempestivamente alla nuova situazione.
Tutto questo richiederà un attivo intervento da parte della Regione Sardegna, dato che un tempestivo aggiornamento dei suoi indirizzi in tema di trasporti e di turismo potrà rivelarsi determinante per il futuro dell’Isola.
Nel settore dei trasporti, le trasformazioni previste nelle caratteristiche dei traffici richiederanno un estensivo aggiornamento dell’intero sistema di infrastrutture dell’Isola. I porti marittimi dovranno essere adattati a un diverso modo di trasporto delle merci e gli aeroporti dovranno essere messi in grado di assorbire i maggiori volumi di traffico; anche la rete stradale dell’Isola sarà assoggettata a flussi di traffico diversamente distribuiti e dovrà essere adeguata alle nuove esigenze.
Se si considerano i tempi necessari per la realizzazione di ogni serio intervento infrastrutturale, per non parlare delle difficoltà di reperimento dei fondi necessari, risulta evidente l’urgenza di un aggiornamento del Piano regionale dei Trasporti, che tenga conto delle trasformazioni che ci si devono attendere per effetto del mutato scenario energetico. Viste le condizioni della finanza pubblica in Italia, una corretta pianificazione delle infrastrutture risulta indispensabile per far sì che le limitate risorse disponibili siano indirizzate alla realizzazione di opere di sicura utilità.
Per quanto riguarda il settore turistico, da parte degli operatori sarà necessaria una diversa impostazione dell’attività, che non si limiti a sfruttare passivamente la rendita dei soliti sessanta giorni all’anno di attività e che li metta in grado di offrire alla clientela internazionale più qualificata quei servizi “tutto incluso” a cui essa è abituata. Ma ancora una volta il ruolo della Regione sarà determinante: non c’è infatti dubbio che i cambiamenti previsti in campo energetico giustifichino la predisposizione di un nuovo piano di sviluppo del turismo, che si ponga come obiettivo principale quello di indirizzare il “sistema Sardegna” verso l’offerta di servizi a maggiore valore aggiunto.
Ci si deve solo augurare che la Regione provveda con la massima urgenza all’aggiornamento dei propri strumenti di pianificazione riguardanti due settori tanto critici per l’economia della Sardegna come quelli dei trasporti e del turismo.
Si è già sottolineato in queste note come l’attuale fenomeno di rincaro del petrolio sia da considerare di natura strutturale e quindi suscettibile di provocare effetti significativi soltanto in tempi relativamente lunghi. È però da temere che la mancanza di reali margini di riserva nell’offerta di greggio sui mercati mondiali porti a un’accelerazione del processo in atto sotto la spinta di semplici fatti congiunturali, sia pure gravi come la recente crisi nordafricana o come i ripensamenti sull’impiego dell’energia nucleare innescati dalla catastrofe di Fukushima.
Gli effetti del caro petroli su trasporti e turismo potrebbero perciò manifestarsi in tutta la loro gravità, in tempi più brevi di quanto fino ad oggi si potesse pensare. La disponibilità di un efficace piano d’azione che possa contrastarli, potrebbe fare tutta la differenza tra una Sardegna che ne subisca solo le conseguenze negative ed una che sia in grado di sfruttare le opportunità che si presenteranno nella nuova situazione.

 

NOTE

(*) Dello stesso autore “Sardegna industriale” ha pubblicato:

"Un nuovo ruolo per i porti industriali" - n. 2/1984, pag. 16;

"Traffico intermodale: quale politica per l’isola?" - n. 1/1993, pag. 6;

"Portualità turistica: il caso Sardegna" - n. 1/1995, pag. 6;

"Un’agenzia regionale per la portualità turistica" - n. 1/1999, pag. 26;

"Una nuova strategia per la portualità turistica" - n. 1-2/2000, pag. 6

BIBLIOGRAFIA

(1) Centro Studi Confetra - "Effetto serra, emissioni CO2, trasporto merci", Quaderno n. 109/1, novembre 1998.

(2) H. Schneekluth & V. Bertram - "Ship design for efficiency and economy", pag. 98 e seguenti - Butterworth & Heinemann 1987.

(3) Dati da: "Propulsion trends in tankers", Man B&W A/S - Copenhagen, agosto 2005.

(4) Dati da: "Propulsion trends in bulk carriers", Man B&W A/S - Copenhagen, feb­braio 2006.

(5) Dati da: Autorità Portuali, EAC e Assoaeroporti.

(6) Dati da: www. conti-shipping.com/fleet/container-vessels/3000-teu-class.

(7) Dati da: www.containership-info.com/misc_publ_feedergrowth.pdf.

(8) ampugnano.wordpress.com/.../un-confronto-tra-sistemi-di-trasporto.

(9) MariTerm AB: "Sea transport emission modeling", for the European Commission DG Tren.

(10) Dati da: Autorità Portuale di Cagliari.