Bimestrale di informazione economica

 
Home page
Presentazione

Arretrati e abbonamenti

E-mail

Archivio

Riviste
Argomenti
Ricerca semplice
Ricerca avanzata
News

Sommario


Editoriale
Lucio Piga
C'è ancora spazio per la chimica in Sardegna?
Lucio Piga
Sul futuro della chimica il parere di Confidustria
Carlo Mannoni
L'eterna emergenza della risorsa acqua
Gherardo Gherardini
Un primo passo verso la continuità territoriale
Gherardo Gherardini
Lo stato dei lavori negli aeroporti dell’isola

 

C'è ancora spazio per la chimica in Sardegna?
Lucio Piga

 

 Chimica, minero-metallurgico, carbone, metano. Tornano prepotentemente in primo piano dopo tanto oblio. Sembravano ormai problemi quasi dimenticati. Ed invece, sull’onda di fatti qualche volta preoccupanti, dopo essere stati a lungo relegati nelle pagine interne dei vari bollettini economici sardi (perdutamente trascinati dalle sirene telematiche del Web e della new economy) tornano con irruenza alla ribalta. Il 2000 aveva ufficialmente aperto la stagione della cyber-economy. Ora sembra voler riproporre problemi forse troppo frettolosamente messi da parte. L'assessore regionale all'Industria Andrea Pirastu

«Sardegna industriale», sempre attenta ai mutamenti grandi e piccoli del panorama economico, vuole far tesoro della lezione e per questo ha avviato un’inchiesta attorno a quello che è stato il sistema industriale pubblico per capire cosa sia cambiato, quali sono state le conseguenze delle privatizzazioni e delle ristrutturazioni, ma soprattutto per comprendere attraverso le cifre e la parola dei diretti interessati, quali prospettive ancora esistono, sempre che ne esistano, per la grande industria.

I capitoli di cui ci occuperemo sono quelli indicati dalla stessa cronaca. Si parte dalla Chimica, per andare alla scoperta delle trasformazioni avvenute rispetto a mitici anni Ottanta-Novanta. Si prosegue con quello che resta e che si può ancora riconvertire del sistema minerario. Per passare quindi attraverso un altro bacino importante di reddito e lavoro quale è stata fino a qualche anno fa la metallurgia. E concludere il percorso infine con il sistema energetico e quindi con le nuove opportunità del gas carbone e del metano.

Un viaggio attraverso quello che è stato, fino a una decina d’anni fa, lo zoccolo duro del sistema industriale sardo, sviluppatosi prima con contributi pubblici e dall’80 in poi tutto basato sul capitale pubblico; un sistema che, nel bene e nel male, è stato comunque protagonista dello sviluppo economico della nostra regione. Un patrimonio di impianti ed aziende tante volte considerato agonizzante, ma su cui è ancora oggi azzardato scrivere l’epitaffio, almeno a giudicare dall’interesse finora manifestato da molti colossi del mercato globale.

Chimica dunque, per cominciare. E su questo versante le più recenti notizie di cronaca sembrano rivelare una sorta di “strabismo ideologico” in molti osservatori. Accanto a giudizi che inneggiano ad un futuro, se non radioso, quanto meno positivo grazie alle attese di privatizzazioni (soprattutto nella Sardegna centrale) si allungano, per un altro verso, le ombre dello sconforto e del pessimismo per l’annunciato disimpegno dell’Enichem dalla Sardegna.

Con poco più di 3.230 occupati la forza dell’industria chimica nell’isola si presenta estremamente ridimensionata non solo in confronto a com’era nei mitici anni 70 ma anche rispetto a soli dieci anni fa. Le prospettive, per di più, a detta dei sindacati, sono fosche data la tendenza ad un ulteriore ridimensionamento delle varie produzioni, soprattutto ad opera di Enichem, ed in considerazione anche delle strategie complessive di sviluppo dell’Isola. Queste ultime, infatti, sembrano orientate verso una riduzione progressiva delle attività industriali di grandi dimensioni a favore di altre linee di politica economica.

Su questo versante il confronto è tuttora aperto e non si preannuncia affatto pacifico. Si scontrano due distinte correnti di pensiero: da un lato coloro che ritengono finita l’esperienza della grande industria, dall’altra chi è convinto che questa abbia ancora una funzione da svolgere in un sistema economico articolato e polivalente.

Ma intanto il panorama è profondamente mutato rispetto al recente passato. Vediamo in sintesi come si presenta attualmente la situazione nei poli chimici sardi: Assemini-Sarroch, Ottana, Portotorres.

Assemini. Con circa 450 dipendenti Enichem produce cloro (per circa 145 mila tonnellate all’anno), idrossido di sodio (161 mila), idrogeno, sodio ipoclorito (8 mila), dicloroetano (186 mila), acrilonitrile (85 mila), trielina percloro (6 mila).

Il cloro è principalmente usato per la produzione successiva di dicloroetano; un sottoprodotto della lavorazione, l’idrossido di sodio, è utilizzato sia nello stesso stabilimento ma anche destinato al commercio perché viene impiegato nella produzione di detergenti, e nell’industria della carta e dell’alluminio. Il sodio ipoclorito (varechina) è prevalentemente commercializzato e le sue utilizzazioni riguardano la potabilizzazione delle acque, la disinfestazione in genere e l’igienizzazione degli ambienti. C’è poi il dicloroetano, che deriva dal cloro e viene impiegato per la realizzazione di materie plastiche, particolarmente il pvc; oltre che alla vendita esterna, esso è destinato agli altri stabilimenti Enichem. L’acrilonitrile, è fondamentalmente adoperato per la produzione di fibre sintetiche acriliche (Ottana). Infine la trielina ed il percloro sono impiegati nel campo della pulitura e delle lavanderie.

Veduta parziale degli impianti dell'Enichem a SarrochA Sarroch, oltre alla benzina per autotrazione ed al propilene, materia prima per l’acrilonitrile destinato alla produzione di fibre, si producono una serie di intermedi. Sono in attività cinque cicli produttivi. Il ciclo del “reforming” che attraverso l’utilizzazione della virgin nafta consente di immettere sul mercato 640 mila tonnellate l’anno di benzina riformata, 80 mila di Gpl, e 80 mila di idrogeno e gas. Il ciclo della purificazione del propilene di raffineria che consente di produrre 65 mila tonnellate di propilene l’anno. Il ciclo del Cumene, utilizzando come materie prime il propilene ed il benzolo, consente di ottenere 250 mila tonnellate l’anno di cumene, che è adoperato per la produzione del fenolo destinato a sua volta alla produzione di resine termoindurenti e di acetone, ed con gli altri prodotti; questa lavorazione dà luogo anche in alternativa al cumene ad altri intermedi necessari per produrre plastificanti, additivi per lubrificanti, solventi per vernici.

C’è poi il ciclo produttivo degli xiloli, da cui vengono sfornate 30 mila tonnellate di etilbenzolo, usato per la produzione di polistirolo e Abs, 70 mila tonnellate di paraxitolo destinate alla manifattura di fibre e film poliestere, 60 mila tonnellate di ortoxilolo che verrà utilizzato per realizzare plastificanti, prodotti farmaceutici, pitture e profumi, ed ancora 50 mila tonnellate di metaxilolo destinato alla sintetizzazione di prodotti per l’agricoltura, ed infine, 1000 tonnellate di mesitilene intermedio per coloranti e antiossidanti. I cicli di Sarroch si completano con l’estrazione e frazionamento dei cosiddetti aromatici: e cioè, 52 mila tonnellate di benzolo da cui si ricavano vari intermedi necessari per la preparazione di vernici, tensioattivi, prodotti farmaceutici, profumi, solventi per gomme, resine, 237 mila tonnellate di xiloli, di cui si sono viste le possibili applicazioni, 20 mila tonnellate di pseudocumene per la fabbricazione di resine termoplastiche per il rivestimento di cavi.

Anche le Saline Contivecchi costituiscono un patrimonio Enichem. Come è noto il sale marino ed i suoi derivati sono essenziali per le lavorazioni dei diversi prodotti petrolchimici. Con 54 dipendenti, le Saline Contivecchi vantano una produzione di 285 mila tonnellate anno di sale per uso industriale a basso contenuto di calcio e magnesio, sale per uso speciale e vari altri tipi di sale, oltre a 40 mila tonnellate di cloruro di magnesio e 3 mila di solfato di magnesio.

Ad Ottana, l’Enichem ha ridotto la sua presenza sostanzialmente al settore dei servizi tecnologici, avendo venduto ad altre società numerosi impianti. Oltre all’Enichem operano infatti nell’area della Sardegna centrale la Dow Chemical, la Lorica Sud a capitale nippo tedesco, la Mini Tow, la Montefibre, che dal 1996 ha acquisito il grosso delle produzioni Enichem.Una caratteristica immagine degli impianti di Sarroch della Condea Augusta

Per quanto concerne la società Eni, questa mantiene ancora una forza lavoro in quell’area di 310 dipendenti (contro i ben 2.800 dei primi anni ’80). Come detto, Enichem fornisce ormai solamente servizi alle altre aziende: energia elettrica, vapore, azoto, servizi tecnici e attività di manutenzione. Secondo le organizzazioni sindacali l’obiettivo fondamentale dell’azienda è quello di abbandonare definitivamente il territorio.

Con 110 mila tonnellate di Pet, materia prima per la realizzazione dei contenitori per uso alimentare, la Dow Chemical costituisce una presenza importante in Sardegna, essendo questa fra le prime nel mondo per dimensioni ed importanza. La Dow Chemical occupa 170 unità lavorative ed oltre al Pet produce anche 160 tonnellate di acido tereftalico (che è la materia prima per il Pet) da destinare i mercati europeo e israeliano. Il fatturato complessivo della produzione sarda si aggira intorno ai 350 miliardi. La Dow Chemical ha operato negli ultimi anni un notevole sforzo di investimento (circa 100 miliardi) per rendere più competitivo il sito sardo. Si deve registrare infatti un forte abbattimento del prezzo a livello mondiale che rende particolarmente competitive le produzioni analoghe provenienti dei Paesi del Terzo mondo che godono di un costo del lavoro notevolmente più ridotto rispetto a quello occidentale.

La Lorica Sud è stata l’ultima in ordine di tempo ad essere stata privatizzata attraverso la dismissione di alcuni impianti da parte dell’Enichem. Il capitale azionario è ora in mano alla Haru Kura-Ray, holding nata dalla compartecipazione di capitali tedeschi e giapponesi. La Lorica Sud produce pelle sintetica per la confezione di calzature e rivestimenti d’arredamento ed occupa 44 unità. Dalla attuale produzione di circa 400 mila metri quadri di prodotto finito l’obiettivo è quello di portarla a 600 mila metri quadri con investimenti per 4 miliardi. Il mercato è prevalentemente europeo e garantisce attualmente un fatturato di 17 miliardi di lire.

Sempre nell’area di Ottana opera la Mini Tow sorta alla fine degli anni 80 dopo le forti ristrutturazioni dell’Enichem. Oggi la Mini Tow fa parte del Gruppo De Martin di Biella e produce feltrini per pennarelli attraverso la trasformazione di fibre poliestere, nylon e propilene. Ha alle sue dipendenze 20 unità lavorative e vanta una produzione che garantisce un fatturato che oscilla fra i 5 ed i 6 miliardi. È previsto un allargamento della produzione con un investimento di 2,5 miliardi.

Regolazione impianto all'Enichem di OttanaLa Montefibre opera ad Ottana dal 1996, avendo acquisito la maggior parte degli impianti dell’Enichem, ed in particolare quelli riguardanti la produzione acrilica. Come si legge in un documento delle organizzazioni sindacali, è pertanto giustamente considerata la «maggiore delle società operanti nella zona con un organico di 268 dipendenti».

La Montefibre appartiene al gruppo “Orlandi”, che ne detiene il controllo. Montefibre continua ad essere fra i maggiori produttori di fibra acrilica con una produzione complessiva di 320 mila tonnellate all’anno, di cui 60 mila sono sfornate dagli stabilimenti di Ottana (la restante produzione proviene da Porto Marghera e dagli stabilimenti spagnoli.

Restando all’area sarda, il fatturato derivante dalle produzioni di Ottana ammonta ultimamente a circa 260 miliardi. La metà delle 60 mila tonnellate di acrilico sardo vengono destinate ai mercati orientali (Pakistan, Cina e Indonesia), per il resto il 35% della produzione resta in Italia ed circa il 15% è destinato al mercato europeo.

Gli impianti di Ottana sono gli unici del Gruppo a poter produrre fibre caratterizzate da “titoli nobili”, ovvero fibre il cui diametro è inferiore a quello della seta, il che rende particolarmente pregiato questo prodotto pur se sintetico.

A questo riguardo non si può non ricordare la vertenza che vede impegnate le organizzazioni sindacali nei confronti della società che ha avanzato la richiesta di avviare la cassa integrazione per tutti i dipendenti in vista di una completa fermata degli impianti. La ragione della richiesta andrebbe ricercata nella riduzione del mercato e nella ridotta concorrenzialità delle produzioni sarde rispetto a quelle provenienti da altre aree geografiche mondiali. Secondo le organizzazioni al contrario, il sito di Ottana, specializzato nel settore cotoniero, grazie alle caratteristiche di particolare qualità del prodotto e nonostante la crisi congiunturale in atto per il settore, potrebbe ancora contare su un mercato soddisfacente per la prosecuzione della produzione.

Le organizzazioni sindacali temono in particolare che le frequenti fermate degli impianti a seconda delle diverse congiunture del mercato possano causare danni tecnologici che aumenterebbero i costi di produzione. Il rischio oggettivo è poi che la fermata di questi impianti si ripercuota sui costi di produzione delle aziende impegnate nella erogazione dei servizi, in particolare Enichem, con effetti negativi a cascata.

Il nucleo forte della chimica sarda continua ad essere Porto Torres, con un bacino di impianti forte di oltre 1.400 addetti. Attorno al core business rappresentato dagli impianti petrolchimici ruotano oltre una decina di piccole aziende che hanno realizzato la cosiddetta discesa a valle.

All’interno del vecchio stabilimento petrolchimico ex Sir ed ex Eni operano quattro società distinte: l’Enichem, che occupa circa 1.220 addetti, l’Evc con 170, Condea Augusta con una quarantina di dipendenti.Particolare stabilimento Montefibre Ottana

Nel petrolchimico si producono etilene (220 mila tonnellate all’anno), benzolo (193 mila), cumene (300 mila), fenolo (100 mila), cloro (80 mila), polietilene (110 mila). Ad eccezione di quest’ultimo gli altri prodotti rappresentano il cuore dell’attività produttiva dell’Enichem. Gli impianti di Evc producono dicloroetano (150 mila tonnellate), cloruro di vinile (84 mila) e pvc (65 mila). Dagli impianti della Condea Augusta (39 addetti) escono invece 100 mila tonnellate di abl (alchibenzenlineare), un intermedio per l’industria della detergenza, per un fatturato di 150 miliardi di lire.

Attorno al petrolchimico, si diceva, sono sorte altre piccole aziende che si occupano delle seconde lavorazioni. In particolare sono da ricordare la Tecnicoop che si occupa di essiccamento e insacco residui lavorazione del pvc; la Rit, la Cres e la Complast che producono tubi, raccordi e serbatoi in resina e materie plastiche per vari usi; la Turris Espansi che realizza imballaggi in polistirolo; ed ancora Riva e Mariani Group, Coibesa, Termisol Ms Isolamenti che realizzano isolamenti termici e acustici; la Distoms, che si dedica al recupero e distillazione di olii industriali esausti; la Apsa, che sorge però ad Alghero, che opera nel settore delle vernici e pertanto può essere compresa nel polo di Porto Torres.

 «Non solo la chimica ha ancora un ruolo a livello nazionale, ma ha ancora un futuro in Sardegna». Questa è l’opinione di Gianni Basciu, segretario regionale Cisl il quale ci tiene a ricordare che «il nostro Paese ha un deficit fra consumi e produzione per 15 mila miliardi, una cifra da capogiro che va a gonfiare i portafogli delle multinazionali». «Altri paesi producono ed esportano prodotti chimici – dice Basciu – l’Enichem vuole chiudere e l’Eni vuole interessarsi esclusivamente di energia. Da un serbatoio di manodopera di 50 mila unità il settore chimico è calato oggi a 12 mila a livello nazionale. Altre multinazionali, invece, accelerano le concentrazioni».

Eppure non si può negare che gli impianti sardi e l’eccesso di manodopera fosse un grave handicap per il futuro dell’intero comparto. Le ristrutturazioni in Sardegna sono state certamente salutari, con indubbi vantaggi a favore dell’efficienza e dell’economicità degli impianti, e conseguenti benefici effetti sul costo dei prodotti. «Ma se l’Enichem poteva avere le sue buone ragioni per denunciare l’eccessiva dispersione dei siti produttivi – ricorda Basciu – non si può dimenticare tuttavia che da 20 oggi ne sono rimasti solamente 11. Il fatto è che si vuole concentrare tutta la produzione tra Porto Marghera e Ravenna e chiudere tutto al Sud».

Secondo il sindacato è questo il rischio che corre la Sardegna: che venga del tutto cancellata dal panorama chimico mondiale quando invece, si afferma, nel mercato della chimica c’è spazio. «E poi – ricorda ancora il rappresentante della Cisl – cancellare la grande industria senza un concreto programma di sviluppo della piccola e media impresa sarebbe una perdita gravissima».

Il sindacato è convinto che la sua non sia una battaglia di retroguardia. «Non si può avere uno sviluppo duraturo senza la presenza di una solida base industriale e soprattutto della grande industria. Turismo e agroalimentare non possono offrire adeguate garanzie nel tempo».

Impianti Enichem e Condea Augusta visti da un pontile, a Porto TorresE poi anche a prendere per realistiche le ipotetiche volontà dell’Enichem di voler ulteriormente ridimensionare la propria presenza in Sardegna, occorrerebbe a monte risolvere il problema del costo dell’energia. Un problema serio che oggi minaccia le possibili velleità di insediamento nell’isola di altri capitali nazionali ed esteri.

Quella dell’energia è per molti una vera emergenza che sta aggravando la già precaria condizione delle produzioni chimiche. In particolare dell’area di Assemini, e che sembra giustificare abbondantemente le preoccupazioni più volte espresse anche a livello parlamentare. Il costo dell’energia elettrica ha raggiunto limiti insopportabili, si dice. Recentemente queste preoccupazioni sono state fatte proprie dal senatore Ds Rossano Caddeo, che ha anche presentato un’interrogazione al ministro dell’Industria.

Il parlamentare sardo sottolinea gli alti consumi energetici che caratterizzano gli impianti chimici, e si sofferma sulla situazione dell’area cagliaritana, con particolare riferimento alle produzioni del cloro-soda dell’Enichem; Caddeo sottolinea che l’elettricità necessaria per la produzione di cloro-soda «costituisce una materia prima di base che incide sui costi variabili di produzione per più del 65 per cento».

Sulla base di tale assunto, e dopo aver ricordato che «il costo dell’energia dal 1993 è progressivamente aumentato fino a raddoppiare a causa dell’eliminazione dello sconto sulla componente del sovraprezzo termico della tariffa precedentemente in vigore», Caddeo aggiunge come rispetto ai competitori europei esiste di fatto una penalizzazione del prezzo dell’energia elettrica dì circa 30 lire a Kwh con un aggravio di costo di oltre 100 lire al chilogrammo di cloro. Secondo il Parlamentare del Centro-sinistra, rispetto al sistema Italia, «che si sta attrezzando a reggere la concorrenza europea con la produzione di turbogas», il sistema isolano «è particolarmente penalizzato dalla mancata metanizzazione, nonostante l’Enichem abbia tentato di approvvigionarsi di energia d’importa­zione a costi più bassi di quelli del mercato nazionale con un contratto siglato con l’Enel Trade nel dicembre 1999», ma senza successo, dato che «le regole stabilite dall’apposita autorità per accedere all’im­portazione di energia elettrica hanno successivamente reso impossibile questa fornitura».

In questo modo, ha scritto Caddeo, «lo stabilimento industriale si trova pratica­mente escluso dai processi di liberalizzazione e di integrazione dei mercati dell’energia. elettrica con gravi danni rispetto ai suoi competitori». Aggiunge come questa vicenda costituisca solo un esempio dello svantaggio competitivo che colpisce tutto il sistema industriale isolano. È pertanto necessario avviare azioni positive per consentire alle indu­strie isolane, specie a quelle energivore, ed in particolare agli stabilimenti di produzione di cloro-soda, una reale integrazione nel mercato europeo di energia elettrica: «A tal fine – secondo il deputato – è possibile utilizzare l’attuale interconnessione con cavo a corrente continua dell’isola con la rete elettrica europea, che è in grado di convogliare circa 200 Mw».

Particolare degli impianti Enichem ad AsseminiSulla base di tali considerazioni, il parlamentare chiede al Ministro dell’industria quali iniziative si intendano assumere per evitare una così pesante pe­nalizzazione dello stabilimento Enichem di Cagliari rispetto ai competitori nazionali ed europei e per scongiurare in prospettiva la chiusura della fabbrica. Secondo Caddeo infatti occorre intervenire presso l’Autorità per l’energia elet­trica affinché:

a) assegni da subito all’Enichem cagliaritana quella parte della quota dell’importazione nazionale consentita che ogni mese non viene ri­tirata dai beneficiari italiani che utilizzano meno di quanto è stato impegnato;

b) stabilisca per il 2001 regole chiare, in grado di dare un ruolo allo stabilimento cagliaritano di cloro-soda nel mercato europeo dell’energia elettrica e di permettergli di acquistare energia a basso costo da produttori non nazionali.

Nessun commento ufficiale da Macchiareddu. All’Enichem di Assemini la regola è il riserbo. Certo è che negli stessi ambienti produttivi non si può escludere che l’Eni intende uscire dal business del cloro, «e che gli impianti di Assemini sono all’interno di questa strategia». E come si diceva poc’anzi, il vero nodo sembra essere quello del costo dell’energia («... per produrre 1 chilo di cloro che si vende oggi sul mercato a 300 lire, occorrono 3 kilowattora di energia elettrica che costano oggi 360 lire»). Il problema, si sottolinea ancora, è comune a molti siti Enichem e non riguarda solamente la Sardegna. «Anche a Portomarghera si cedono le linee del cloro e derivati; a Brindisi i cloroderivati».

La stessa logica, secondo recenti riscontri riguarda tuttavia anche le produzioni di acrilonitrile di Assemini, la qual cosa potrebbe creare difficoltà alle produzioni di fibre.

«No, non è affatto arrivata l’ultima ora per la grande industria chimica, perché essa ha grandi potenzialità per trainare altre attività industriali. Con i contratti d’area si sta già cominciando a vedere qualche risultato», chi parla è Giampaolo Diana, segretario regionale Cgil. Secondo il leader sindacale la grande industria e, quindi, la chimica è da considerare la base indispensabile per caratterizzare il sistema produttivo in senso verticale verso le piccole e medie imprese. «Ci sono alcuni aspetti su cui occorre lavorare – sostiene Diana – come quello che riguarda l’ambiente, con particolare riferimento ai nuclei di Porto Torres e di Portovesme. La questione dell’impatto ambientale va affrontata, per rendere l’industria compatibile con il territorio. Questo può essere fatto con i contratti d’area. Il panorama della grande industria – sottolinea Diana –, è profondamente mutato rispetto al periodo precedente al 1996, cioè all’era delle Partecipazioni statali. Certamente il sistema industriale italiano nel suo complesso ha goduto negli anni ’90 di una certa competitività perché si agiva sulla leva fiscale e finanziaria. Quando queste opportunità sono venute meno si è scontato un gap negativo di competitività per quei settori che non avevano investito in innovazione. In Sardegna ovviamente il dato è stato macroscopico. Oggi – aggiunge Diana – ci troviamo di fonte all’esigenza di partire dalle vocazioni della Sardegna, fra cui ormai rientra la chimica, per andare avanti sostenendo con un appropriato sistema di incentivazione la piccola e media industria con particolare riferimento a quelle che non guardano solamente al mercato sardo. Non più interventi di assistenza generalizzata, ma solo a quelle realtà piccole e medie capaci di inserirsi nelle reti distributive nazionali e internazionali».

Resta il fatto che la grande industria tra ristrutturazioni e tagli ha attraversato gravi momenti di crisi, e la stessa Enichem minaccia ancora di chiudere i battenti nell’isola.

Colpe del sindacato?

«Il sindacato è forte quando il tessuto produttivo è sano – sottolinea Diana –. Negli anni ’70 l’industria chimica ha diffuso l’industrializzazione nell’isola ed essa è stata caricata di particolari significati e ruoli sociali. Poi c’è stata l’esigenza di razionalizzare e ottimizzare le strutture produttive e sono cominciati i ridimensionamenti degli impianti. A questo punto il sindacato ha tardato a capire che non era tanto importante l’etichetta Eni-Enichem, bensì la salvaguardia dei siti produttivi. Solo recentemente, ed a fatica, abbiamo cominciato a ragionare in modo diverso. Ma è anche vero che il sindacato non è stato sempre nella condizione di serenità necessaria per affrontare le situazioni di criticità».

Oggi, ha ricordato anche Diana, sono arrivate società estere che hanno rilevato impianti sardi dell’Enichem. «L’Enichem – precisa il sindacalista – voleva chiudere quegli impianti sostenendo che erano in perdita. Le nuove società sopraggiunte hanno dimostrato il contrario e stanno facendo utili. Non è vero che nel mondo, in Europa e in Italia c’è bisogno di meno chimica; l’Italia sta facendo una scelta strategica errata».

Per riaffermare il ruolo ancora determinante che la presenza della grande industria esprime nell’isola, le organizzazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil hanno da parte loro lanciato la proposta di un accordo di programma per la chimica in Sardegna, partendo dal presupposto che «il potenziamento e la riqualificazione dell’apparato industriale esistente diventa condizione fondamentale per dare prospettive meno precarie allo sviluppo economico dell’isola».

Secondo quanto affermano le tre organizzazioni dei lavoratori, infatti, l’obiettivo prioritario del sindacato rimane il rilancio dello sviluppo e del lavoro partendo da un’intesa istituzionale Stato-Regione.

Il sindacato, insomma ritiene indispensabile valorizzare le attività produttive esistenti, mediante «il risanamento sostanziale dell’apparato industriale in questione» anche sulla scorta delle ristrutturazioni effettuate nell’ultimo periodo. Tale risanamento deve interessare in particolare il settore della chimica, della raffinazione e dell’alluminio, che costituiscono a tutt’oggi, secondo le organizzazioni dei lavoratori, i punti di forza dell’economia sarda.

«Tali presenze – si legge nel documento che le organizzazioni dei lavoratori hanno inviato alla Giunta regionale – devono essere considerate come parte integrante del sistema nazionale, e pertanto si tratterebbe di farle crescere con interventi che puntino ad eliminare gli ostacoli strutturali che hanno concorso finora ad ostacolare l’insediamento delle piccole e medie imprese in grado di qualificare le attività esistenti secondo la logica dei distretti industriali». La posizione dei sindacati appare pertanto inequivoca, ribadendo essi la convinzione che dal tessuto della grande industria può nascere una rete produttiva piccola e media ad essa collegata attraverso opportune economie di scala che si potrebbero realizzare nell’ambito dei distretti.

Il documento della parti sociali è chiaro: «oggi si è di fronte ad una sottovalutazione generalizzata che deriva probabilmente da una grave disinformazione sulle potenzialità delle attuali produzioni e sui soggetti industriali che vedono presenti in Sardegna non più le sole società facenti parte delle Partecipazioni statali, ma importanti società multinazionali».

Per tutto questo, secondo le organizzazioni sindacali, occorre «un impegno negli investimenti in infrastrutture, sicurezza e stabilità civile nel territorio, servizi di base, sviluppo del mercato finanziario, rispetto dell’equilibrio ambientale ed ulteriore potenziamento del trasporto merci».

Una mancanza di sensibilità e di impegno in tale direzione costituirebbe «un atteggiamento pericoloso anche a causa delle situazioni di degrado ambientale che vanno affrontate con determinazione».

Il documento afferma in particolare che le «realtà produttive oggi esistenti sono in gran parte integrate ed offrono una serie di caratteristiche peculiari difficilmente riscontrabili in altre realtà simili a livello nazionale». Caratteristiche peculiari sarebbero infatti: la presenza di una sostanziale interconnessione tra raffinazione e attività chimica, la grande disponibilità di aree industriali, la posizione baricentrica nel Mediterraneo, il possibile collegamento con la ricerca universitaria ed i centri tecnologici esistenti. Sulla base di questi che vengono considerati reali punti di forza, «l’esistente – dicono gli esperti del sindacato – può costituire il nucleo centrale di un nuovo processo di sviluppo». Infatti si sostiene che la «vera debolezza strutturale, con particolare riferimento al settore chimico, è principalmente dovuto alla scarsa interrelazione tra le produzioni esistenti e le attività di trasformazione».

Anche le questioni ambientali, lungi dal rappresentare un handicap per lo sviluppo delle attività chimiche, possono costituire l’epicentro di una «strategia propositiva e non difensivistica, facendo assurgere quelle tematiche a vere e proprie imprescindibili condizioni infrastrutturali».

In tal modo l’esistente può costituire, si afferma, la base per un rilancio della chimica, in antitesi con la tendenza che ha portato ad un ridimensionamento dello sviluppo industriale.

Esiste un grave handicap che deve essere eliminato drasticamente e che è rappresentato dal costo dell’energia termica, sia in conseguenza della mancata metanizzazione sia nella prospettiva negativa che il prezzo dell’energia elettrica non sia competitivo, in Sardegna, rispetto a quelle regioni che possono rivolgersi ad altri fornitori europei in una logica di sana concorrenzialità.

Le organizzazioni sindacali ritengono pertanto necessario «coordinare i vari interventi attraverso uno specifico accordo di programma per la chimica sarda». Gli obiettivi di fondo dovrebbero essere: «mantenimento, rilancio e qualificazione dell’occupazione come punto qualificante dell’accordo; risanamento ambientale a seguito della redazione di un bilancio sullo stato dell’ambiente; costituzione di una Agenzia regionale per la protezione ambientale; realizzazione di infrastrutture per la movimentazione dei prodotti e per il collegamento, redazione delle mappe riguardanti gli utilizzi e le trasformazioni delle produzioni esistenti in Sardegna e di ciò che è importato, ammodernamento degli impianti esistenti con l’utilizzo delle più avanzate tecnologie di processo, connessione stretta fra produzioni primarie e attività di trasformazione, che rappresenta la condizione indispensabile per favorire lo sviluppo.

Si tratta, evidentemente di un progetto estremamente impegnativo da realizzare, e le stesse organizzazioni sindacali si rendono conto delle difficoltà. Per questo sottolineano come «la complessità dei temi richiede il coinvolgimento di una serie di soggetti pubblici e privati: dal Governo alla Federchimica, dalla Confindustria regionale all’Api sarda». Ma si tratta, dicono i rappresentanti dei lavoratori, di una sfida decisiva e necessaria per rendere convenienti e sostenibili gli investimenti sia nel medio che nel lungo periodo, infatti da questo dipende la competitività del settore e la capacità di attrarre così ulteriori investimenti.

Per le organizzazioni sindacali le amministrazioni locali dovranno avere un ruolo determinante nella attuazione dei programmi. È questo, in definitiva, si afferma, il momento determinante che segna la rottura con i modelli ed i sistemi del passato, in quanto si portano al centro dell’attenzione le responsabilità ed il ruolo degli enti locali.

Nonostante ciò i venti gelidi della chiusura continuano a soffiare dalle parti di Macchiareddu, ed ai timori per le produzioni del cloro si aggiungono adesso quelle per l’acrilonitrile di cui si dice che l’Enichem vorrebbe disfarsi. Questo, oltre a determinare una ulteriore riduzione dell’occupazione nell’area di Assemini, potrebbe avere anche gravi ripercussioni sulla produzione delle fibre di Ottana. Le organizzazioni sindacali hanno immediatamente fatto appello alla Regione e l’assessorato all’Industria si è subito attivato per aprire un confronto sulla partita chimica.

«La Giunta regionale è fortemente preoccupata per i segnali negativi provenienti dal settore della chimica ed attiverà un tavolo con il ministero dell’Industria affinché non si accentui ulteriormente il pesante ridimensionamento del comparto soprattutto da parte di aziende attualmente fortemente partecipate dallo Stato», questo il pensiero dell’assessore all’Industria, Pirastu.

La Giunta regionale sarà molto attenta, si afferma, ad evitare un ulteriore depauperamento del tessuto industriale isolano. Tutto ciò, ovviamente, nel quadro delle linee già individuate dalla Regione «la quale sta puntando, in particolare sullo sviluppo della piccola e media industria, modificando in tal modo il modello di sviluppo attivato negli anni ’60 che invece puntava sulla grande industria in generale e che ha creato i grandi dissolvimenti della Sir, della Montefibre o oggi, in parte, dell’Enichem. «La legge fondamentale di agevolazione alle industrie (l.r. 15/93) – ricorda a questo riguardo Pirastu –, eroga contributi soltanto alle iniziative promosse dalle Pmi e dalle società di servizi nelle quali sono attualmente inserite le attività della cosiddetta “new economy”».

Ad una precisa domanda sullo sviluppo industriale della Sardegna centrale negli ultimi due decenni, il rappresentante del Governo regionale precisa che «il giudizio deve necessariamente essere articolato in quanto le politiche di industrializzazione della Sardegna centrale hanno in parte riguardato lo sviluppo della sola industria chimica, che purtroppo ha avuto una fine quasi totalmente ingloriosa. Solo recentemente si è registrato un notevole sviluppo di Pmi che in una buona percentuale ha avuto dei favorevoli sviluppi con iniziative che nel tempo si sono ampliate ed hanno determinato dei buoni livelli occupativi».

Che dire in questo quadro delle politiche industriali dell’Enichem? Sicuramente sarà battaglia anche dura per difendere l’occupazione. Il rappresentante dell’Esecutivo regionale garantisce infatti che «la Sardegna sarà molto vigile affinché non si addivenga alla dismissione dei suoi stabilimenti senza che non vengano trovate idonee iniziative tendenti alla rioccupazione delle maestranze attualmente occupate».

Occorre comunque uno sviluppo industriale compatibile con le questioni ambientali e con lo sviluppo di altre risorse economiche legate al territorio. «Indubbiamente il Turismo – afferma al riguardo l’Assessore all’Industria – potrà essere una delle colonne portanti del sistema economico sardo così come lo sviluppo industriale nel settore agroalimentare sarà sempre promosso ed agevolato (proprio il 24 settembre scorso è scaduto il bando per la presentazione di domande di contributo per il comparto agroalimentare di Oristano per il quale la legge 402 ha stanziato16 miliardi di lire)». «È peraltro indubbio – soggiunge tuttavia Pirastu – che non si possa fare a meno di un tessuto di Pmi nel settore manifatturiero che sviluppi anche i settori tradizionali della nostra Isola ed in particolare il settore sugheriero, quello dei marmi e graniti ed il settore tessile; senza peraltro tralasciare gli altri settori».

Analoga l’opinione del presidente della Sesta commissione, Industria, del Consiglio regionale, Nicolò Rassu. «Ha sempre destato molte perplessità la scelta avviata nei primi anni del Piano di Rinascita concernente l’avvento di una monocultura industriale basata sulla petrolchimica ed in particolare l’insediamento della grande industria di base nell’area della Sardegna centrale, che come un corpo estraneo ha impedito o ritardato lo sviluppo delle risorse locali e quindi della vera vocazione economica di quel territorio». Questo il giudizio di Rassu che così continua: «Certe scelte di politica economica operate negli anni ’60 e ’70, e successivamente sostenute dalle politiche degli anni Ottanta con il passaggio dall’era di Rovelli a quella delle Partecipazioni statali, sono state in buona parte negative. Non si può tuttavia che essere preoccupati per il rischio sempre più concreto di una ulteriore riduzione della base produttiva chimica, che ormai fa parte del patrimonio industriale e produttivo della nostra regione e che non può essere cancellato all’improvviso».

«Ciò non esclude – ha aggiunto Rassu – l’esigenza di guardare avanti e tracciare linee di sviluppo alternative. In questo senso devono essere interpretati il contratto di programma del Nord Sardegna (Alghero-Ozieri), per circa 350 miliardi di investimenti nell’agro-alimentare e 850 nuovi posti di lavoro stimati, e il contratto d’aerea Alghero-Sassari-Portotorres già avviato per 350 posti di lavoro stimati, o ancora il contratto dell’area di Ottana».

«Quanto all’azione delle istituzioni regionali, il Consiglio regionale e la Commissione Industria saranno ovviamente molto attenti – ha assicurato Rassu – affinché l’eventuale esodo dell’Enichem da Assemini o da altre aree della Sardegna non debba determinare una chiusura di impianti o il ridimensionamento della base occupazionale».

«Diverso – ha precisato – è il discorso nel caso (come sembrerebbe dalle intenzioni dell’Enichem) di eventuali cessioni ad altre società, qualora queste fossero affidabili e garantissero continuità produttiva e livelli occupativi; società magari anche più motivate a sviluppare i propri business e quindi eventualmente interessate a potenziare e sviluppare sia l’attività produttiva sia la forza lavoro. Certo non è apprezzabile questa volontà di disimpegno dell’Eni».

«Quanto al futuro prossimo – ha ricordato il Presidente della Commissione consiliare – se da un lato le nuove frontiere dell’economia e le grandi trasformazioni in atto sembrano tracciare per sistemi economici regionali scenari esaltanti, tuttavia hanno ancora una ragione d’essere, seppure temporaneamente, le attività produttive legate alla grande industria, se queste sono capaci di trainare nuovi investimenti in altri settori».

«È comunque evidente che, in una prospettiva strategica e considerando la velocità dei mutamenti planetari, tali insediamenti – ha aggiunto Nicolò Rassu – dovranno cedere il passo, prima o poi, ad altri modelli di sviluppo basati, come per tutte le società più avanzate, sulla new economy, sul terziario avanzato e sul turismo di qualità. Lo sviluppo fondato sul Turismo e sull’Agroalimentare ad esso collegato, per esempio, nonché sui servizi avanzati e sulle nuove tecnologie, oltre ad instaurare una nuova fase di compatibilità con le ormai inderogabili esigenze ambientali, è in grado di promuovere una espansione delle stesse attività industriali di carattere manifatturiero, legate alle piccole e medie industrie ed all’artigianato produttivo».

Piccole e medie imprese, dunque, nel futuro della Sardegna, senza tuttavia abbandonare – si continua a sostenere – quello che fino a pochi anni fa ha rappresentato il nocciolo duro dell’industrializzazione sarda. I problemi, è vero, non sono finiti. Dopo l’estinzione della Sir, dopo le vicende alterne legate al simbolo del cane a sei zampe dell’Eni, dopo la meteora Enimont (con la joint venture Eni-Montedison), è stata la volta dell’Enichem; che tuttavia non ha risparmiato ristrutturazioni e razionalizzazioni, le quali pure hanno restituito, anche a costo di pesanti sacrifici in termini umani, competitività ed efficienza a molti impianti. Ma ora tutto sembra ancora una volta, inesorabilmente, rimesso in discussione. Almeno stando a quanto sostengono i sindacati, che vedono ormai prossima la smobilitazione totale.

Gli impianti, si continua a dire, producono e fanno utili, tant’è vero che società a capitale straniero hanno acquistato e lavorano con soddisfazione. Ma di sicuro i prossimi mesi, anche in conseguenza delle vicende legate alle trasformazioni mondiali dei mercati, saranno decisivi per le sorti della chimica sarda. E così il 2001 potrebbe essere ricordato non solo come l’inizio del Terzo millennio, ma anche come il principio di una svolta epocale, in una maniera o nell’altra, per il sistema produttivo isolano.