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editoriale

Una scelta strategica per il sistema Sardegna

Energia: emergenza del terzo millennio

Un Piano per il rilancio produttivo

Un cappio al collo per le industrie del Sulcis

Un ruolo strategico per metano e carbone

Le reti di distribuzione del gas

Sintesi del Piano energetico regionale

Sardegna, isola digitale

Per il turismo un modello di qualità

 

Un Piano per il rilancio produttivo

 

Approvato dalla Giunta, nell’aprile 2003, il Piano energetico regionale è basato sul mercato libero, sulla continuità territoriale energetica, sul riequilibrio delle fonti primarie di energia e su un maggior utilizzo del carbone. Il Piano prevede anche la metanizzazione che vede l’isola al centro di una strategia molto più ampia, come punto di passaggio di una linea di trasporto del gas dall’Algeria verso l’Italia e la Francia.

di Gherardo Gherardini

 

Il ministro per le Attività produttive, Antonio Marzano
Il ministro per le Attività produttive, Antonio Marzano
Di una Sardegna “assetata” di energia abbiamo più volte scritto sulle pagine di “Sardegna industriale”. E se ne è parlato in abbondanza ovunque, a tutti i livelli e su ogni organo di informazione, durante il grande caldo della lunga estate del 2003.

Gli argomenti, quelli di sempre. A partire dalla penalizzazione derivante dall’isolamento, passando attraverso un parco di generazione e di trasmissione dell’energia elettrica ai limiti del collasso, per finire nel sogno sfumato della gassificazione del carbone Sulcis.

La Giunta regionale ha affrontato la “questione energia” con la dovuta risolutezza, portando finalmente a compimento l’annoso percorso del Piano energetico. Merito soprattutto della determinazione dell’assessore dell’Industria, Giorgio La Spisa, ben consapevole che la situazione di crisi che attanagliava le aziende sarde dipendeva  in gran parte dai costi energetici, superiori del 40 per cento rispetto alla media europea.

Diverse le iniziative assunte in prossimità del via libera al Piano energetico. Una riunione del Forum regionale sull’energia era convocata da La Spisa a metà novembre del 2002 e, al termine di un confronto serrato con le parti sociali e produttive, veniva  approvato un documento con le linee guida per gli interventi di sostegno alle industrie sarde ed una serie di indicazioni per colmare l’handicap energetico («Serve una maggiore quantità di energia elettrica non interrompibile ed il passaggio della gestione alla Regione».).

Il documento era utilizzato, pochi giorni dopo, come base di discussione nell’incontro romano col ministro Marzano, presente anche l’allora presidente della Regione, Mauro Pili. «Un incontro costruttivo – dichiarava in quell’occasione l’Assessore regionale dell’Industria – anche se, a differenza degli anni passati, mancavano gli enti di Stato, a cominciare dall’Eni e dall’Enel». Prudente anche il giudizio del rappresentante del governo dell’isola, perché «l’industria sarda non è mai stata vista di buon occhio dal governo nazionale, nemmeno quando era in auge». In effetti, non furono pochi i ministri che, nel corso degli anni, invitarono la Regione a smantellare le industrie in cambio di pochi denari.

Vista dall'alto dell'impianto Targas, della società Sarlux, a Sarroch
Vista dall'alto dell'impianto Targas, della società
Sarlux, a Sarroch
«Abbiamo definito un percorso – affermava, in quell’occasione, Pili – e adesso alcuni temi seguiranno l’alveo legislativo. A dicembre firmeremo l’Accordo di programma quadro per l’energia, che prevede la metanizzazione attraverso l’Algeria». Per la realizzazione di quest’opera Governo e Regione si impegnavano «a definire un’Intesa attuativa del collegato alla Finanziaria, non appena questo sarà approvato dalla Camera».

Il ministro Marzano, infine, sempre nell’incontro del novembre 2002, prendeva una serie di impegni per le procedure sui regimi speciali di Alcoa ed Eurallumina – altra partita aperta da tempo – e per l’ampliamento della capacità di importazione di energia elettrica non interrompibile, a sostegno delle industrie sarde ed in particolare della Portovesme srl. Marzano si impegnava anche a valutare il peso della produzione elettrica con l’utilizzo del carbone. «Considerata la complessità dei problemi, non si poteva fare di più», commentava l’assessore La Spisa. «La volontà non basta in questi casi, ma sicuramente non siamo fermi». 

I primi mesi del 2003 servivano per la definizione finale del Piano energetico regionale, sottoposto in bozza alle amministrazioni pubbliche, agli imprenditori, ai sindacati, alle associazioni di categoria, ai tecnici ed ai gruppi ambientalisti. La proposta finale era approvata dalla Giunta regionale nel mese di aprile e, successivamente, presentata ai componenti del Forum regionale per l’energia dall’Assessore dell’Industria. Il Piano energetico (il primo approvato in Sardegna), elaborato da un gruppo di lavoro del Dipartimento di ingegneria del territorio dell’Università di Cagliari – costituito dal responsabile scientifico, professor Pao­lo Giuseppe Mura, e dagli ingegneri Roberto Baccoli, Ubaldo Carlini, Sebastiano Curreli, Gianfranco Dessanai, Roberto Innamorati, Bruno Manca, Stefano Mariotti –  delineava  il futuro del settore in un arco di tempo che va dal 2002 al 2012.

«È un piano – conferma oggi La Spisa – basato sul mercato libero, sulla continuità territoriale energetica, sul riequilibrio delle fonti primarie di energia e su un maggior utilizzo del carbone, anche per ridurre i costi industriali. È anche prevista la metanizzazione, sia pure in una prospettiva di dieci anni, e non si parla della sola metanizzazione della Sardegna, ma di un’opera che, in una strategia molto più ampia, vede la nostra isola come punto di passaggio di una linea di trasporto del gas dall’Algeria all’Europa. Senza indulgere a trionfalismi, c’è già in corso uno studio di fattibilità ed è stato formato un consorzio con l’Algeria».

Ipotesi di percorso, secondo il progetto Galsi, del nuovo metanodotto Algeria-Sardegna-Italia, con possibile diramazione in Corsica. I tal caso, il progetto coinvolgerebbe anche la Francia
  Ipotesi di percorso, secondo il progetto della Galsi spa, del nuovo metanodotto Algeria-
  Sardegna-Italia, con possibile diramazione in Corsica. In tal caso, il piano coinvolgerebbe
  anche la Francia

Nell’arco di un decennio, dunque, dovrebbe essere realizzata una serie di interventi in  grado di potenziare l’apparato produttivo isolano e di renderlo più sicuro. Basti pensare alla crisi che ha investito la Portovesme srl, proprio a causa della carenza di elettricità a prezzi competitivi. Nella stessa situazione si trovano, peraltro, altre aziende, grandi consumatrici di energia, come Alcoa ed Eurallumina, che godono oggi di un regime tariffario privilegiato. In previsione dei problemi che si presenteranno alla scadenza delle facilitazioni, da più parti si auspica l’avvio della costruzione di una nuova centrale consortile, che consentirebbe alle aziende della zona di diventare produttrici autonome di energia.

Posa sottomarina delle condutture del metanodotto Algeria-Italia, nei primi anni Ottanta
Posa sottomarina delle condutture del metanodotto
Algeria-Italia, nei primi anni Ottanta
Il Piano prevede una serie di tappe successive, che dovrebbero trasformare la Sardegna da isola energetica in piattaforma energetica, con una proiezione sul mercato europeo. Primo appuntamento, nel 2005, con la nuova centrale Enel a letto fluido da 340 MW, che brucerà a Portovesme da 350 a 400 mila tonnellate di carbone (che si aggiungeranno alle 350 mila della Sulcis 3). Nello stesso anno, l’estrazione del minerale raggiungerà – secondo le previsioni del Piano – le 800 mila tonnellate.

Nel 2008, dovrebbe essere disponibile il nuovo elettrodotto sottomarino da 1.000 MW, mentre già dal 2007 il carbone Sulcis estratto raggiungerà quota mille tonnellate. Quantità indispensabile per consentire alla Carbosulcis di operare in termini economicamente vantaggiosi, ma anche per rifornire la nuova centrale che le aziende di Portovesme, Enel e Consorzio industriale potrebbero costruire entro il 2008. Nel 2010 è previsto il gasdotto Algeria-Sardegna-Continente e, proprio utilizzando il gas, nello stesso anno, potrebbe nascere la prima centrale a metano da 400 MW.

Scadenze da libro dei sogni? Può darsi, ma Mura punta al bersaglio grosso: «Il Cipe ha deliberato che entro il 2005 la Sardegna debba avere il cavo da 1.000 MW, ma la data potrebbe slittare al 2008. Bisogna darsi da fare per evitare ritardi troppo vistosi».

 

 

L’attuale cavo Sacoi (Sardegna-Cor­sica-Italia) è una sorta di cordone ombelicale che funziona a doppio senso di marcia: per importare ed esportare energia. «Attualmente – spiega Mura – la Sardegna sta bene, dal punto di vista energetico, quando tutte le centrali funzionano a dovere. Le cose si complicano se un grosso gruppo entra in crisi, perché il Sacoi, con i suoi 250 MW (50 vanno infatti alla Corsica), è assai debole rispetto al fabbisogno di picco dell’isola». Insomma, oggi è un paracadute troppo piccolo.

Veduta parziale della centrale termoelettrica di Fiumesanto (foto G. Anedda)
Veduta parziale della centrale termoelettrica di
Fiumesanto (foto G. Anedda)
Col cavo da 1.000 MW le cose dovrebbero andare decisamente meglio. Purché lo si utilizzi a pieno regime, soprattutto per esportare in Europa energia prodotta in Sardegna. Secondo il Piano, infatti, il Sapei superpotente consentirebbe di vendere oltremare 8.000 GWh/a (gigawattora all’anno), pari a circa l’80% della domanda elettrica dell’isola, stimata in 12.000 GWh/a. Ciò, ovviamente, presuppone che bisogna pianificare una produzione dell’ordine di 20.000 GWh/a, che coinvolgerebbe numerosi operatori e fonti energetiche diversificate.

Tutto questo tenendo conto dei parametri di sviluppo sostenibile fissati a Kyoto e verificando – si legge nel Piano – se esistono le condizioni fisiche, di disponibilità di energia primaria, per produrre da 20 a 24.000 GWh/a, nonché le condizioni economiche, di costi di produzione e trasporto perché l’export sia proponibile.

Fonti di energia primaria di cui dovrebbe essere pianificato l’impiego, come quelle rinnovabili (eolica e solare), ma anche il carbone Sulcis e di importazione; i prodotti petroliferi ed i residui di raffinazione; il gas algerino (quando sarà disponibile, nel 2010). Un mix molto equilibrato «perché attualmente – precisa Mura – il carbone è quello che assicura i costi minori. Seguono il gas naturale e l’olio combustibile. Il più caro è il gasolio».

Il carbone, dunque. Nel Piano energetico regionale la risorsa carbonifera si afferma come fonte primaria per lo sviluppo del sistema, dopo la rinuncia al nucleare ed al ridimensionamento del comparto del gas metano. «Nella logica del processo di liberalizzazione delineato dal decreto Bersani – spiega l’assessore La Spisa – diventa più che mai necessario prevedere, all’interno del Piano, il potenziamento e l’ottimizzazione degli impianti di produzione che utilizzano il carbone per l’abbattimento dei prezzi di acquisto dell’energia». Ma anche quella del carbone è una prospettiva, seppure concreta, piuttosto lontana. Così come il nuovo cavo Sapei e la realizzazione del gasdotto che ci unirà all’Algeria.

Allo stato attuale, quindi, le industrie isolane attraversano un momento critico per la completa dipendenza dal prodotto petrolifero e, nel breve termine, si intravedono poche, pochissime soluzioni. Dai dati del Gestore della rete di trasmissione nazionale (Grtn) si ricava che la produzione di elettricità in Sardegna si fonda per il 96% sugli impianti elettrici, con una incidenza dei prodotti petroliferi pari al 90%, contro il 64 della media nazionale. L’industria sarda assorbe il 66% della produzione elettrica, superando notevolmente la quantità di energia sufficiente a soddisfare il proprio fabbisogno, e sottopone le centrali ad un eccesso di produzione.

Mediamente la Sardegna produce 1.900-2.000 MW al giorno, contro un fabbisogno di circa 1.200-1.300. I maggiori produttori di energia in Sardegna sono l’Endesa, l’Enel e la Sarlux.

L’Endesa è proprietaria dei quattro gruppi di Fiumesanto. La società spagnola, approdata in Italia dopo la liberalizzazione del mercato,  ha acquisito alcune delle centrali dell’Enel, costretta a rinunciare ad un ruolo di monopolio. In Sardegna, è così finita nelle mani dell’azienda iberica la centrale di Fiumesanto, con i suoi quattro gruppi di produzione: due da 160 MW ed altrettanti da 300. Due gruppi sono alimentati con olio combustibile, uno va a carbone, il quarto è in fase di adeguamento al carbone.

L’Enel soddisfa mediamente il 30 % del fabbisogno elettrico isolano. Ciò grazie alla centrale Sulcis da 240 megawatt, a quella da 160 (sempre di Portoscuso), all’impianto del Taloro da 314 MW e  alla centrale del Flumendosa da 46 MW. «In previsione – spiegano all’Enel  – a Portoscuso entrerà in funzione nei primi mesi del 2005 l’impianto a letto fluido circolante, che subentrerà ai due gruppi attuali quando sarà necessario garantire la loro manutenzione».

Sezione
Sezione Saturazione syngas
dell'impianto Targas della
società Sarlux, a Sarroch
Non basta. Ad assicurare la corrente elettrica nelle case dei sardi, in molti centri e città dell’isola, ma anche in tante industrie, è il mega-impianto di gassificazione della Sarlux, realizzato qualche anno fa a Sarroch e capace di creare energia dal trattamento dei residui della lavorazione del petrolio. Numeri alla mano, la centrale «ha una capacità di produzione di energia pari a 550 megawatt», come dichiara Antioco Mario Gregu, direttore della raffineria Saras. «In effetti – aggiungono alla Saras – produciamo all’incirca il 40% della quantità complessiva richiesta dalla Sardegna e da alcuni anni, grazie al gassificatore Sarlux, l’isola esporta energia elettrica». Utilizzando proprio quel cavo Sacoi che, come un cordone ombelicale, ci lega alla Corsica ed all’Italia.

In linea teorica, quindi, la Sardegna potrebbe essere un’isola “energeticamente” felice. A questo punto, però, diventa evidente la debolezza del collegamento Sacoi, di soli 300 MW, con la penisola. Se infatti entra in collasso improvviso una centrale come quella Endesa di Porto Torres, da 320 MW, il cavo ci sostiene solo in parte, il deficit si ripercuote su tutte le altre centrali e c’è il pericolo di una crisi. Anche perché, come abbiamo visto, i 300 MW non sono tutti destinati alla Sardegna: 50  devono andare alla Corsica.

Da qui la necessità di assicurare all’isola una potenza di riserva che la metta al riparo da situazioni imprevedibili, come il guasto ad una centrale, ma anche dalla normale crescita delle esigenze civili ed industriali. Ipotesi prevista nel Piano energetico regionale.

C’è peraltro chi, nell’attesa che le previsioni del Piano trovino attuazione, si ingegna con interessanti soluzioni alternative. È il caso del Consorzio nazionale “Romagna Energia”, al quale aderiscono anche le associazioni industriali di Cagliari, Oristano e Sassari. In una Sardegna che dal 1998 al 2001, tra imprese e famiglie, ha visto i consumi aumentare dell’11%, è di vitale importanza poter contare su un’importante riduzione dei costi. Se ne è  accorto per primo il Consorzio Sinergia Nuoro, presieduto da Roberto Bornioli e costituito per cogliere le opportunità offerte dalla liberalizzazione del mercato energetico, avviata nel 1999 dall’allora ministro Bersani. «Niente business – precisa Bornioli – ma un mutuo soccorso fra consorziati per far fronte ad un costo dell’energia che in Sardegna pesa fino al 30% in più rispetto ad altre aree nazionali, ed addirittura fino al 70% rispetto ad altri Paesi dell’Unione europea». Due primati spettano al Consorzio Sinergia: essere stato il primo avviato nell’isola (attualmente, sono tre i consorzi d’acquisto creati dalla Confindustria regionale) ed aver esteso nel 2001 la sua attività a tutta la regione, superando un vincolo territoriale di legge che, di fatto, bloccava in tutta l’Italia l’estensione dei Consorzi.

Il presidente della Saras, Gin Marco Moratti
Il presidente della Saras, Gian Marco Moratti
Per concludere questa breve panoramica sulla situazione energetica nell’isola, anche alla luce del nuovo Piano energetico regionale, facciamo un breve accenno ai risultati dell’ultimo incontro fra Regione e Governo nazionale del dicembre scorso. A conclusione di questa riunione, il Governo si è impegnato:  a destinare alle imprese della Sardegna, a partire dal gennaio 2004, una quota del 30% dell’energia d’importazione “interrompibile”, aggiuntiva rispetto a quella attuale, pari a 80 MW; e a sostenere in sede europea, adottando gli atti di propria competenza, la proposta di estensione del “regime speciale alla società Portovesme, adottando gli atti di propria competenza. Viene confermato infine anche l’impegno per il gasdotto Algeria-Sardegna e per il nuovo elettrodotto da 1.000 MW.

A proposito di quest’ultimo, Confindustria e sindacati puntano molto sulla sua realizzazione. «Questo fatto consentirà l’attuazione dei programmi a suo tempo presentati nelle diverse sedi – spiegano in un documento congiunto Assoindustriali, Cgil, Cisl ed Uil – con riflessi significativi per la realizzazione della nuova dorsale energetica tra Fiumesanto, Olbia e Latina, secondo il progetto presentato dal marzo 2003 al Gestore della rete nazionale».

Un’operazione che, di fatto, consentirà anche il consolidamento degli investimenti che sono stati programmati da Endesa Italia per i prossimi anni sui quattro gruppi della centrale elettrica. E proprio all’Endesa di Fiumesanto, Assoindustriali e sindacati chiedono «di sciogliere le ultime riserve e di confermare le risorse pianificate, pari a 200 milioni di euro, per la riconversione dei gruppi 1 e 2 della centrale elettrica».

È evidente, e non lo si scopre da oggi, che gran parte del futuro sviluppo economico, industriale ed occupativo del nord Sardegna si gioca proprio con la partita energetica. Per questo, soprattutto i sindacati premono per una accelerazione dei tempi di realizzazione dell’elettrodotto che, una volta avviato, potrebbe essere completato entro il 2008 «con evidenti benefici per l’intero sistema produttivo sardo».