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editoriale

Una scelta strategica per il sistema Sardegna

Energia: emergenza del terzo millennio

Un Piano per il rilancio produttivo

Un cappio al collo per le industrie del Sulcis

Un ruolo strategico per metano e carbone

Le reti di distribuzione del gas

Sintesi del Piano energetico regionale

Sardegna, isola digitale

Per il turismo un modello di qualità

 

Un cappio al collo per le industrie del Sulcis

 

La competitività delle nostre produzione è sensibilmente condizionata dall’alto costo dell’energia e dalle modalità di fornitura. La situazione è particolarmente difficile nel settore della chimica e per le imprese del polo metallurgico del Sulcis dove, superato in questi giorni, almeno per il breve periodo, il problema del prezzo del chilowattora, resta da affrontare il problema della realizzazione in loco di una termocentrale a carbone.

di G. G.

 

 

Un'immagine dell'Eurallumina, Portovesme. In primo piano, un cumulo di bauxite
Uno scorcio  dell'Eurallumina,
a Portovesme. In primo piano,
un cumulo di bauxite
È un dato ormai ampiamente assodato che l’apparato industriale sardo registra un elevato fabbisogno di energia elettrica, che ne condiziona la struttura. Una situazione dovuta soprattutto alla presenza delle industrie legate alla produzione dei metalli non ferrosi (zinco, alluminio, piombo), che necessitano di un elevato fabbisogno energetico.

In questa attività, gli usi finali di energia elettrica rappresentano il 54 per cento del totale nazionale. Si legge nel Piano energetico regionale che, allo stato attuale, in Sardegna il mercato dell’energia elettrica, a causa dell’elevato prezzo del chilowattora e delle modalità di fornitura, causa forti difficoltà all’industria. Di fatto, questo settore, pur possedendo tutti i requisiti dei clienti idonei per accedere alle contrattazioni nel mercato libero dell’energia elettrica, incontra difficoltà a causa dei limiti fisici della rete elettrica sarda, attualmente connessa alla rete continentale tramite il solo collegamento in corrente continua Sacoi da 250 MW. Tale limite ha portato più volte nel passato il settore industriale sardo in condizioni di difficoltà grave.

Sostiene l’assessore regionale dell’industria, Giorgio La Spisa, che «il costo dell’energia elettrica è notoriamente il fattore che incrina maggiormente la competitività delle nostre produzioni, a causa della diversa incidenza di questo costo sui bilanci aziendali delle nostre imprese, rispetto ai principali concorrenti internazionali. La situazione che si è determinata è oggettivamente drammatica, sia nel settore della chimica sia per le imprese del polo metallurgico del Sulcis».

Per la chimica, deve essere ancora risolto il problema della centrale elettrica di Ottana, sulla strada tracciata dall’accordo della scorsa estate. Quanto al Sulcis, osserva La Spisa, «occorre affrontare il problema in una prospettiva di medio e lungo periodo, facendo seguito alle intese raggiunte nel dicembre 2003, allo scopo di risolvere contemporaneamente il problema dell’alto costo dell’energia e quello del futuro della Carbosulcis srl».

La preoccupazione della Regione è stata finora quella di tenere legati i destini delle industrie metallurgiche, nella convinzione che il problema dei costi energetici potesse essere risolto in maniera strutturale attraverso una coraggiosa iniziativa di autoproduzione, con una centrale che potrebbe essere gestita anche in forma consortile. Nel breve periodo, però, è necessario dare risposte al fabbisogno immediato di energia elettrica a basso costo: le strade che sono state individuate sono quelle del mantenimento dei regimi speciali con tariffe agevolate, attualmente in vigore, e di una maggiore disponibilità di energia di importazione.  Gli approfondimenti in corso potranno, ci si augura, dare soluzioni sia nel medio che nel breve periodo.

Colata di alluminio nella sala elettrolisi dell'Alcoa, a Portovesme
Colata di alluminio nella sala elettrolisi dell'Alcoa, a        
Portovesme
«Tutto ciò, d’altra parte – afferma l’Assessore dell’Industria – è stato inserito con chiarezza nel Piano energetico approvato dalla Giunta regionale, a seguito di un serrato confronto con le aziende e con i sindacati. Non dimentichiamo poi che il problema energetico, per la Sardegna, ha un’alta incidenza anche sui costi delle famiglie e per le piccole e medie imprese. Per risolvere questo problema – è la ricetta di La Spisa – occorre da un lato proseguire il percorso che porterà alla metanizzazione, dall’altro è importante che si riprenda sotto una nuova veste legislativa il tentativo di avere da parte dell’Unione europea l’autorizzazione ad erogare contributi compensativi dei maggiori oneri che le piccole e medie imprese sopportano a causa dell’assenza del metano. Ciò che conta è che il tavolo aperto continui ad essere operativo e venga allargato a tutte le problematiche che riguardano il complesso delle industrie sarde».

 

Area industriale del Sulcis.  Milleduecento buste paga hanno rischiato di prendere il volo dalla disastrata area industriale del Sulcis. Per gli oltre 700 dipendenti diretti della Portovesme srl dal primo ottobre dello scorso anno si sono infatti spalancate le porte della cassa integrazione, mentre per i 700 delle cosiddette imprese d’appalto il ricorso agli ammortizzatori sociali è stato (e rimane) molto problematico. Una tragedia sociale che si spera non si protragga oltre i sei mesi di fermata programmata degli impianti. La ragione risiede nelle manutenzioni ed adattamenti non ulteriormente procrastinabili, ma non si può nascondere che alla base dello stop c’è anche una serie di cause congiunturali (mercato dei metalli, rapporto euro-dollaro ecc.), ma anche legate ai costi energetici ed alla rete di infrastrutture di Portovesme, assolutamente inadeguata.

Si è così ulteriormente aggravata la crisi dell’occupazione in un’area industriale che ha conosciuto, negli anni Settanta, sino a ottomila occupati. Oggi, non arrivano a 3.500. Gli anni d’oro (si fa per dire) coincidono con quelli delle Partecipazioni statali, evocate con nostalgia (e una buona dose di realismo) durante l’assemblea di sindacalisti e politici tenutasi recentemente nel municipio di Carbonia.

 

 

«Non ci sono più le Partecipazioni statali», ammonivano i rappresentanti dei lavoratori, per spiegare che sono passati i tempi in cui tutte le crisi industriali si risolvevano sotto l’accogliente e generoso ombrello dello Stato. Da quando (negli anni Novanta) sono partite le privatizzazioni, anche i sindacati sono stati costretti a confrontarsi con una nuova logica: quella di chi ragiona solo in termini di mercato. Sono gli americani dell’Alcoa, ma anche gli svizzeri della Glencore international, che controlla Portovesme srl. Tutte aziende sorte a ridosso di Portoscuso negli anni Sessanta, quando è nato il Nucleo di industrializzazione del Sulcis Iglesiente. Obiettivo: creare i posti di lavoro cancellati dal progressivo crollo del settore minerario.

Estrusi in alluminio prodotti dall'ALI srl di Iglesias
Estrusi in alluminio prodotti dall'ALI srl di Iglesias
Per questo era stata individuata un’area di 700 ettari tra Portoscuso e Paringianu, a ridosso del porto industriale di Portovesme. Nel disegno di chi fece quelle scelte, il Consorzio doveva mettere a disposizione delle aziende di base paracadutate dallo Stato le infrastrutture indispensabili: strade, porto, acqua, energia. Obiettivo centrato solo in parte, perché nel cahier de do­­leances delle industrie, una delle voci più frequenti si riferisce proprio alle infrastrutture: il porto in primo luogo, considerato insufficiente per società che importano dalla penisola e dall’estero le materie prime.

Ma la carenza più grave riguarda la produzione di energia elettrica, pagata a carissimo prezzo, nonostante la presenza di una centrale Enel. Ed è proprio intorno al problema energetico che ruota la crisi della Portovesme srl. Lo stesso problema che attanaglia le multinazionali che hanno rilevato i colossi delle Partecipazioni statali, anche se il “caro energia” non è uguale per tutti. A scavare un po’ si scopre che la selva delle ciminiere nasconde una giungla di bollette elettriche. C’è chi paga poco e chi troppo, chi può continuare ad incassare utili e chi incomincia ad accusare conti in rosso.

Privilegi a scadenza, perché i contratti di favore hanno pochi anni di vita, poi bisognerà rifare i conti e saranno dolori. Come quelli della Portovesme srl: «Una bolletta Enel che costa 70 miliardi di vecchie lire all’anno, cioè quanto la società spende per pagare gli stipendi agli 800 dipendenti. Miliardi di perdite ogni mese», sostiene Carlo Lolliri, amministratore delegato della società.

Energia a caro prezzo, contemporaneo crollo delle quotazioni di piombo e zinco sui mercati internazionali, sono bastati per fare “saltare” il banco della società. I rimedi? La fermata degli impianti e 1.200 lavoratori, imprese d’appalto comprese, a spasso, almeno fino ai primi quattro mesi del 2004.

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Fusione di alluminio nello stabilimento dell'ILA
di Portovesme
Peraltro, il caso Portovesme srl rischia di ripetersi. Le due aziende più grosse del polo industriale, l’Eurallumina e l’Alcoa, infatti, potrebbero essere costrette a loro volta a fare i conti col caro-energia. Per ora ne sono al riparo, protette da contratti speciali, ma la scadenza non è poi così lontana. L’Eurallumina (600 dipendenti) paga la corrente come la Portovesme srl, cioè 40 centesimi a chilowattora, ma trae il maggior vantaggio dalla defiscalizzazione del prezzo dell’olio combustibile. «Se dovessero abolirla, saremmo morti», ammette l’amministratore delegato Vincenzo Rosino. Nello stabilimento accanto, l’Alcoa gode di un trattamento ancora migliore: corrente a meno della metà della Portovesme. Ciò è possibile in base ad un contratto speciale legato alla cessione all’Enel della vecchia centrale ex Alsar. La scadenza è per il 2006. Dopo, cosa succederà?

Antonio Serra, presidente dell’Asvi­si (l’Associazione di operatori economici per lo sviluppo del Nucleo di industrializzazione del Sulcis Iglesiente), ha proposto pochi mesi fa una strategia comune: «Un piano energetico in grado di razionalizzare la produzione e ridurre i costi. A Portovesme si consuma gran parte di tutta l’energia generata in Sardegna – sottolinea Serra –. Non si può non tener conto di questa realtà».

 

Portovesme srl. La difficile situazione della Portovesme srl, uno stabilimento in grado di produrre ogni anno tonnellate su tonnellate di piombo e di zinco, è quella che desta maggiore preoccupazione. «Le vicende di questa azienda – ricorda Giorgio La Spisa – fra le prime in Italia nella produzione di piombo e zinco, è stata seguita sempre con la massima attenzione, avendo un consistente numero di lavoratori e rappresentando un’importante realtà nel panorama industriale isolano. Il management della società, dopo aver studiato per oltre un anno la situazione, confrontandosi costantemente con l’assessorato dell’Industria, ha deciso la fermata di una parte degli impianti e, conseguentemente, la cassa integrazione per la maggior parte dei suoi dipendenti».

Sala elettrolisi della Portovesme srl
Sala elettrolisi nello stabilimento della Portovesme
Tre sono i fattori che hanno determinato la situazione di crisi: il costo dell’energia, che accomuna la Portovesme srl alle altre industrie energivore; il prezzo dello zinco, mai così basso come nell’ultimo anno; infine, il cambio euro-dollaro. Prosegue La Spisa: «Da un lato si può confidare nella massima responsabilità che i dirigenti hanno sempre dimostrato, dichiarando che il periodo di fermata degli impianti sarebbe stato ridotto al minimo indispensabile. Dall’altro lato, è necessario ottenere, nel breve periodo, il mantenimento e l’estensione dei quantitativi di energia di importazione, avendo la Portovesme srl bisogno vitale di energia elettrica ad un costo accettabile. Nel medio-lungo periodo, invece, si deve puntare all’abbattimento dei costi energetici attraverso l’autoproduzione, o con una propria centrale o con la partecipazione alla realizzazione di una centrale elettrica consortile, al servizio delle principali industrie energivore del Sulcis. Deve comunque essere chiaro – è la conclusione dell’Assessore – che , in linea con quanto avvenuto nei mesi scorsi, l’azienda non sarà lasciata sola».

Un’azienda che fin dal 2001 ha iniziato a lanciare i primi segnali di allarme sulla possibile chiusura dell’impianto di Portovesme: al ministro delle Attività produttive, Antonio Marzano; al Presidente della Regione; ai sindaci di Portoscuso, Iglesias, Carbonia e San Gavino. «Tre anni fa abbiamo scritto a tutto il mondo, compreso il presidente Ciampi, per risolvere il problema energetico. Non è successo niente, o quasi». Chi parla è Carlo Lolliri, amministratore delegato della Portovesme srl, una società leader che ogni anno sforna 200 mila tonnellate di zinco, 120 mila di piombo, 370 mila di acido solforico, 300 di argento e 400 chili d’oro, per un fatturato di 330 milioni di euro. Lo stabilimento occupa una superficie di 70 ettari, dove funzionano i reparti Imperial Smelting, elettrolitico e Kivcet; la fonderia è ubicata a San Gavino. L’energia elettrica è la materia prima della fabbrica ed i consumi hanno registrato (sino alla fermata) una continua crescita:  dai 579 GWh del 1999 ai 635 del 2002. I costi della bolletta sono saliti, dai 24.745.000 euro del 1999, ai 34.147.000 del 2002.

Nonostante tutto, questo gigante, con poco più di quattro anni di vita, è entrato in crisi. Nato il primo giugno 1999, in seguito alla privatizzazione dell’Enirisorse (gruppo Eni), fa parte dell’impero Glencore international A. G., multinazionale svizzera nella produzione di metalli. Dal primo di ottobre dello scorso anno ha fermato quasi tutti gli impianti ed ha messo in cassa integrazione, per almeno sei mesi, 700 dipendenti, mentre altri 500 (delle aziende d’appalto) si sono trovati a rischio di restare senza lavoro né ammortizzatori sociali. Ma «in presenza di condizioni economiche favorevoli», si legge nel verbale di accordo coi sindacati, l’attività produttiva potrebbe riprendere nell’aprile del 2004.

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Colata di piombo fuso in un reparto della Portovesme
 
A mettere (temporaneamente) al tappeto Portovesme srl è stato il problema energetico. «Quando abbiamo lanciato il primo allarme – spiega Lolliri – pagavamo l’energia elettrica circa 100 lire al chilowattora. Per noi si tratta di materia prima: consumiamo 650 milioni di chilowattora all’anno, per una spesa complessiva pari a 35 milioni di euro. In Spagna, la concorrenza paga 15 centesimi a kW, per non parlare dei cinesi, che hanno un costo-lavoro insignificante e spese irrisorie per la tutela dell’ambiente».

Per Lolliri, lo stabilimento di Portovesme deve essere considerato strategico dal 1992, quando lo Stato ha fatto una scelta ben precisa, imponendo all’Eni di abbandonare il settore metallurgico, mentre la Comunità europea ha fatto concentrare a Portoscuso la produzione di piombo e zinco. «All’epoca il prezzo dell’energia oscillava tra le 50 e le 60 lire, ma col passare del tempo è aumentato».

All’allarme lanciato da Portovesme srl nel novembre 2001 lo Stato ha risposto con un anno di ritardo: «Il Ministero ha promesso facilitazioni nella Finanziaria – prosegue Lolliri – concedendoci la possibilità di rifornirci all’estero. Ma purtroppo il provvedimento ufficiale (allegato alla Finanziaria) è comparso solo il 22 dicembre 2002, troppo tardi, quando oramai eravamo già impegnati nelle gare per l’acquisto dell’energia. A quel punto, in attesa di una soluzione definitiva, ci è stato concesso l’uso della cosiddetta energia interrompibile a tariffa ridotta (40-45 centesimi), ma con l’incognita che l’Enel può, in qualsiasi momento, interrompere la fornitura».

Una soluzione provvisoria, giusto per fronteggiare l’emergenza. Intanto, nell’area industriale si discuteva se (e come) realizzare un’altra centrale elettrica. Candidati: un’associazione di imprese o il Nucleo per l’industrializzazione del Sulcis-Iglesiente. Nel frattempo, è capitato l’imprevedibile: «Il dollaro si è deprezzato rispetto all’euro. In questa situazione di mercato – dicono alla Portovesme – fattori come l’energia ed i trasporti finiscono per incidere in misura insopportabile, per cui abbiamo deciso di chiudere, temporaneamente, lo stabilimento e di modificare gli impianti, in attesa di una situazione economica più favorevole».

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Portovesme: billette di alluminio, prodotte dalla Alcoa, alla legatura per il trasporto
Il 2 dicembre 2003, l’attesa notizia, comunicata dal ministro Buttiglione durante l’incontro tenutosi a Roma: «L’Unione europea ha espresso parere favorevole alle richieste presentate dal Governo per le tariffe agevolate. Ora sarà il ministero per le Attività produttive a portare avanti l’iter per riconoscere alla Portovesme srl le condizioni tariffarie richieste». Un sospiro di sollievo si levava dallo stabilimento, che aveva ospitato per due volte nel giro di un mese il presidente della Regione, Italo Masala, duramente contestato durante un’assemblea con i lavoratori.

Il 20 dicembre, il Governo nazionale comunicava alla delegazione sarda la conferma dell’energia scontata per l’Alcoa e la sua estensione anche alla Portovesme srl.

Una soluzione in tre punti. Il primo, quello di estrema emergenza, riguardava le tariffe elettriche: sarebbe stato riconosciuto alla Portovesme srl un regime tariffario simile a quello praticato per l’Alcoa, che pagava un costo di pochi centesimi a chilowattora. Il secondo: entro gennaio 2004 il prezzo dell’energia praticato a tutte le industrie energivore sarebbe stato parificato all’intero paese, per evitare trattamenti discriminatori tra le varie realtà produttive dell’Italia. Ed infine, sempre entro gennaio, non appena Portovesme srl avesse ottenuto lo sconto sul prezzo del chilowattora, l’azienda avrebbe dovuto presentare un piano per il riavvio degli impianti produttivi.

Per chiudere il discorso delle proposte, il Governo nazionale si impegnava a modificare il decreto del ’94 per impiegare le somme destinate alla gassificazione del carbone Sulcis alla costruzione di una termocentrale alimentata – in parte – col combustibile fossile della miniera di Nuraxi Figus. Una centrale che potrebbe salvare il polo industriale di Portovesme dal collasso energetico, sarebbe la soluzione strutturale in grado di affrancare le grandi industrie energivore dal cappio del costo elevato dell’energia elettrica. Il progetto è al vaglio di un pull di tecnici della Sotacarbo, che ne devono verificare la fattibilità. L’Enea e la Regione, alla vigilia dell’estate, hanno conferito a questa società l’incarico di valutare convenienza e costi dell’iniziativa. Il responso dovrebbe essere imminente.

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Il sindaco di Carbonia, Salvatore Cherchi
Per superare definitivamente l’emergenza, Paolo Giuseppe Mura, responsabile scientifico del gruppo che ha predisposto il Piano energetico, consiglia la costituzione di un consorzio: «Dovrebbero farne parte Portovesme srl, Alcoa, Eurallumina, Enel e Consorzio industriale del Sulcis Iglesiente. Investendo direttamente e col sostegno europeo, potrebbero realizzare una centrale a carbone a letto fluido, gemella di quella da 340 MW che l’Enel conta di mettere in attività nel 2005». L’Enel, precisa Mura, dispone già dei progetti e del sito. Con quella centrale, le aziende consorziate pagherebbero il kWh ad un prezzo quasi uguale a quello di costo. «Sappiamo infatti – osserva Mura – che miscelando una percentuale del 70% di carbone proveniente dall’estero con un 30% di carbone Sulcis, si può produrre a circa 20 centesimi al kWh». Cifra sicuramente inferiore al prezzo medio che sarà fissato dalla Borsa dell’energia, una volta definito il mercato unico.

Nessuna novità, invece, sul fronte del decreto per la riduzione delle tariffe elettriche. Passato inutilmente gennaio, scendono in campo, al fianco dei lavoratori, Tore Cherchi e Paolo Collu, sindaci rispettivamente di Carbonia ed Iglesias, ovvero i due centri più grossi del territorio. «Il Governo non ha mantenuto gli impegni assunti per garantire prezzi dell’energia elettrica comparabili con la media europea – dichiarano i due sindaci in un comunicato congiunto –. L’occupazione è a rischio e si prospetta ormai un allungamento della cassa integrazione. Ci trasferiremo davanti ai cancelli per manifestare solidarietà ai lavoratori e in segno di partecipazione alle prese di posizione dei sindacati».

«La soluzione della vertenza energetica veniva data per scontata. Purtroppo – osserva Cherchi – così non è stato. Il Governo si era impegnato indicando date precise, che poi invece non sono state rispettate, senza che nemmeno venissero spiegati i motivi. Io ed il mio collega di Iglesias ci siamo sentiti in dovere di esprimere la preoccupazione presente in tutto il territorio. Non siamo amanti delle iniziative eclatanti, ma questa è un’autentica emergenza. Quindi abbiamo deciso di trasferire davanti ai cancelli della fabbrica i nostri uffici e lì resteremo fino alla conclusione della vertenza. Giorno e notte, per essere chiari».

Quasi contemporaneamente, una delegazione di sindacalisti, accompagnati dall’assessore regionale La Spisa, si reca a Roma per cercare di venire a capo dell’impasse. Una sorta di pellegrinaggio attraverso gli uffici ministeriali, per capire cosa fosse cambiato dal 19 dicembre in poi. Il 3 febbraio, finalmente, l’atteso annuncio: il Consiglio dei ministri aveva deliberato il regime speciale per la Portovesme srl. Il sacco a pelo dei sindaci non serve più.

Il sindaco di Iglesias, Paolo Collu
Il sindaco di Iglesias,  Paolo
Collu
Il decreto, che porta la firma del presidente Berlusconi, parla chiaro: il trattamento previsto nel 1995 per le produzioni di alluminio, sarà applicato anche all’industria di piombo, zinco ed argento, in quegli impianti «situati in territori insulari caratterizzati da collegamenti assenti o insufficienti alle reti nazionali dell’energia elettrica e del gas». Clausola importantissima, perché riconosce ufficialmente l’handicap dell’insularità. Il regime speciale, comunque, non durerà in eterno, perché le agevolazioni nell’acquisto dell’energia elettrica cesseranno nel luglio del 2007. Comunque, finchè saranno in vigore, le tariffe ridotte faranno risparmiare alla Portovesme srl circa 15 milioni di euro all’anno e consentiranno all’azienda di marciare al ritmo della concorrenza europea.

«Questo decreto è un segnale di forte attenzione del Governo nazionale verso la Sardegna ed il Sulcis in particolare – sostiene l’assessore dell’Industria, La Spisa –. Dobbiamo essere soddisfatti soprattutto per i lavoratori che per mesi hanno convissuto con un futuro di incertezza. Questa è una vittoria corale, di tutte le forze impegnate nella vertenza. Le tariffe concesse dal decreto hanno una scadenza e per questo motivo già da subito dobbiamo studiare una soluzione strutturale che possa garantire l’autoproduzione energetica alle industrie». L’ipotesi della centrale a carbone sembra la più gettonata, anche perché, aggiunge La Spisa, garantirebbe il rilancio del carbone locale.

Portato a casa (non senza grandi sacrifici) il regime speciale, resta da affrontare un percorso delicato e costellato di ostacoli che, secondo i progetti, dovrebbe concludersi con la costruzione di una centrale elettrica (a carbone, come detto) da 650 MW. «D’ora in avanti tutti i nostri sforzi dovranno concentrarsi verso questo obiettivo – ribadisce Fabio Enne, segretario territoriale della Femca Cisl – perché non è pensabile che si arrivi al luglio 2007 con l’acqua alla gola».

Ma non è solo la Portovesme srl il destinatario del decreto firmato dal presidente del Consiglio dei ministri. Anche l’Alcoa, multinazionale americana dell’alluminio, tira un sospiro di sollievo. Il regime speciale, come già detto, fu concesso per la prima volta nel ’95 proprio alla fabbrica d’alluminio: le tariffe agevolate avevano una durata di dieci anni, quindi il problema del caro-energia si sarebbe proposto a fine anno anche per i 700 operai Alcoa. Ora, il decreto proroga il trattamento per la produzione di alluminio, estendendolo anche alla fabbrica di piombo e zinco. La prossima scadenza, per tutti, a luglio 2007: tre anni di tempo per una soluzione strutturale.

Un periodo che i sindacati non intendono far passare invano. «Riuniremo subito le segreterie territoriali per far ripartire la mobilitazione – afferma, smorzando gli entusiasmi, Marco Grecu della Cgil – perché Regione e Governo affrontino il caso Sulcis». Insomma, la vertenza continua, come conferma Antonello Corda, segretario territoriale della Cisl. «Siamo delusi, perché il Governo ha rimosso l’emergenza, ma non ha risolto i problemi. Gli impegni assunti erano diversi, perché parlavano di interventi strutturali».

Le forze sociali chiedono, insomma, soluzioni definitive e non circoscritte ad Alcoa e Portovesme srl. La mobilitazione riparte. Anzi, non si è mai fermata.